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Il buco della Asp di Reggio Calabria manderà in default tutta la Regione?

Il rischio è reale e da non sottovalutare, perché i 600/650 milioni di buco della Asp reggina non potranno che pesare sui bilanci regionali in quanto, checché si dica, la copertura dei disavanzi di bilancio delle aziende sanitarie non può che ricadere sulla responsabilità diretta della Regione

13 GIU - La triade commissariale, preposta a sostituire, quantomeno per 18 mesi, la direzione generale dell'Asp di Reggio Calabria, sciolta (per la seconda volta in dieci anni) per infiltrazione della 'ndrangheta, a mente del combinato disposto di cui agli artt. 143 e 146 del Tuel (che, a differenza di quanto sarà precisato dopo in relazione al dissesto, vi fa specifico riferimento!), ha prodotto un primo risultato apprezzabile.
 
Un lavoro fatto bene e secondo coscienza, ma soprattutto funzionale a conseguire un risultato rendicontativo di pregio, prescindendo dalla precisione millimetrica del dato (tendente al peggioramento) che, nel caso di specie, non poteva essere garantita a causa del poco tempo disponibile dalla nomina e degli scarsi mezzi a disposizione, intendendo per tale un insufficiente suffragio documentale, da sempre verosimilmente precario.
  
(finalmente) Un buono esempio amministrativo
Un accaduto amministrativo che, si spera, presago:
- della sopravvenuta volontà della politica governativa (che, ci si augura, vada nel senso del comportamento tenuto dalla anzidetta triade commissariale straordinaria di nomina ministeriale preposta all'azienda sanitaria territoriale reggina) di fare finalmente chiarezza sui risultati di gestione dell'Asp medesima, con la speranza, per l'appunto, che si faccia altrettanto con tutto il resto del Ssr, ivi compresa quella riferita alla cosiddetta accentrata regionale;
 
- dell'impegno a definire gli atti ricognitivi propedeutici a ripartire da capo nella programmazione e gestione della sanità regionale, tenendo finalmente conto delle verità giuridico-contabili che ci si augura emergano dalla più generale attività accertativa da compiersi, che rappresenta la concreta mission del D.L. salva-Calabria in corso di conversione a cura del Parlamento.
 
Un obiettivo, quest'ultimo, certamente ragionevole ma difficile da conseguire con la mera applicazione delle «regole non regole» individuate nell'originario testo del D.L. 35/2019 e irragionevolmente non implementate in quello venuto fuori dall'esame favorevole della Camera dei deputati.
 
Un testo approvato con alcune opportune modificazioni, trascurando tuttavia le correzioni utili a rendere il provvedimento, quantomeno nel Capo Primo, non più affetto da una palese incostituzionalità riferita, come non mai, a numerosissimi articoli della Carta (2, 3, 5, 32, 77, 81, 97, 114, 117, 119, 121, 123).   
 
L'occasione perduta
Relativamente al risultato cui è pervenuta la ripetuta triade commissariale preposta alla gestione straordinaria dell'Asp di Reggio Calabria, c'è però da dire che esso era da tempo conosciuto dall'autorità regionale, ivi compresi i Commissari ad acta che si sono succeduti, ex art. 120 Cost.
 
Ciò in quanto, con la relazione conclusiva (rinvenibile negli atti da parte di chi ne ha interesse istituzionale!) dell'allora Commissario per la protezione civile, Vincenzo Spaziante, si rappresentò un deficit patrimoniale rettificato miliardario, al lordo delle sopravvenienze passive/insussistenze dell'attivo generate a tutto il 31 dicembre 2007.
 
Circa 389 milioni dell'Asl (era tale all'epoca e non già Asp com'è oggi) reggina e quasi 117 milioni di quella di Locri - entrambe con tendenza al peggioramento determinato da mancata annotazione contabile di componenti negativi di reddito, nonostante le già individuate azioni di recupero per indebiti reiterati pagamenti di fatture più volte erroneamente onorate - oltre a quello allora indeterminabile nell'Asl di Palmi a causa di una assoluta precarietà nella tenuta delle contabilità relative.
 
Un vizio, quest'ultimo, reiterato alle latitudini dello Stretto, dal momento che l'Asp di Reggio Calabria - per come ufficializzato attraverso la stampa - non ha formalizzato bilanci dal 2013 sino ad oggi, con buona pace anche della Corte dei conti.
 
Un dato allarmante, già reso alla formale conoscenza, nel dicembre 2008, del governatore regionale dell'epoca, Agazio Loiero, e nel gennaio 2009 al Premier del tempo, Silvio Berlusconi, cui nessuno - revisori (regionali e aziendali), advisor (costato milioni di euro, senza fare nulla, così come dimostra l'assunto cui sono pervenuti i commissari reggini e sulla quale inadempienza si attende la valutazione che ne farà, si suppone, la magistratura), dirigenza regionale e tavolo ministeriale competente (allora denominato Massicci) - ha dato assolutamente seguito con l'evidenziazione del risultato e l'individuazione delle soluzioni relative.
 
Una nuova epoca?
Quanto al saldo negativo recentemente emerso - a cura dell'organismo straordinario preposto dal Governo a seguito dell'intervenuto scioglimento della direzione generale dell'Asp reggina (DPR 11 marzo 2019 in G.U. n. 78 del 2 aprile successivo) - in relazione al netto patrimoniale aziendale, è appena il caso di supporre che l'enormità di esso (valutabile cautelativamente nell'ordine di 600/650 milioni di euro, anche essi con tendenza al sensibile peggioramento) fa correre il rischio (molto più di quanto già lo sia!) di default alla Regione, con naturale preoccupazione della continuità delle retribuzioni dei dipendenti, e alla Calabria intera.
 
Una soluzione errata e il conseguente rischio di aggravamento
Ciò in quanto il ricorso al preannunciato dissesto finanziario è da ritenersi quantomeno improprio, atteso che l'istituto non è applicabile al caso di specie in quanto inammissibile, perché riservato solo agli enti locali e suoi enti «derivati» (intendendo per tali quelli comunque partecipati), con conseguente ricaduta del «buco» di bilancio su quello regionale chiamato così a provvedere con proprie risorse.
 
Un riferimento, questo, cui fa, altrettanto impropriamente, riferimento specifico l'art. 5 del ripetuto D.L. salva-Calabria che imporrebbe, a seguito di una fantasiosa procedura di nomine di commissari straordinari che sembrano accavallarsi l'uno con l'altro, l'applicazione alle aziende della salute delle regole liquidatorie individuate, si badi bene esclusivamente per gli enti locali, negli artt. 244 e seguenti, per l'appunto, del Tuel.
 
Un «incidente» redazionale forse causato dalla non dimestichezza del redattore a districarsi nelle norme di riferimento ma soprattutto di quelle attraverso le quali la Costituzione attribuisce l'autonomia istituzionale a Comuni e, dunque, alle Regioni, con conseguente assunzione delle rispettive responsabilità di bilancio dei «danni» prodotti dagli enti ad essi subordinati e, quindi, dalle aziende sanitarie e ospedaliere componenti il relativo Ssr.
 
Pensare diversamente, così come sancito nel D.L. 35/2019 in corso di conversione, si lede ancora una volta la Costituzione e le leggi fondanti della contabilità pubblica e di quelle che disciplinano il sistema sanitario nazionale.  
 
Un rischio, quello riferibile al deficit patrimoniale accertato, che andrà tra l'altro ad incrementarsi naturalmente a causa delle emersioni che si renderà necessario appalesare, a cura dei previsti commissari straordinari ex D.L. 35/2019, nelle altre aziende della salute, soprattutto di quelle territoriali e ospedaliera universitaria.
 
La doverosa incredulità
Insomma, un bel problema nei confronti del quale dovrà essere opposta la tanto attesa soluzione.
Riusciranno i nostri eroi, di mutata estrazione politica ma, a quanto pare, con gli stessi vizi di superficialità di sempre? E forse con qualche problema in più, soprattutto riferibile a ciò che occorre alla Calabria e ai calabresi per godere, finalmente, di un po' di assistenza sanitaria quantomeno accettabile? Stante le più ragionevoli previsioni, la tendenza è anche qui al peggioramento!
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

13 giugno 2019
© Riproduzione riservata

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