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Urologia. Al Cardarelli nuove frontiere chirurgiche

Operati in diretta live, durante il Congresso nazionale Uroleague svolto a Napoli, alcuni pazienti con gravi malattie urologiche già sottoposti a chirurgia con esito negativo. Fedelini (Cardarelli): “Abbiamo infranto un tabù che da sempre aleggia intorno alla chirurgia: effettuare un secondo intervento sullo stesso paziente”.

01 OTT - “Il secondo intervento può risolvere il problema”. È questo il messaggio lanciato dagli urologi riuniti nei giorni scorsi a Napoli per il congresso nazionale Uroleague, dove, in diretta live, sono stati operati con le più aggiornate e avanzate tecniche chirurgiche pazienti con gravi malattie urologiche già sottoposti a chirurgia con esito negativo. Un evento “coraggioso”, sottolinea il dottor Paolo Fedelini, direttore del congresso e primario facente funzione dell’Urologia del Cardarelli, “perché ha infranto un tabù che da sempre aleggia intorno alla chirurgia: la necessità di effettuare un secondo intervento sullo stesso paziente dopo il fallimento del primo intervento. Importante, perché ha riunito il meglio della chirurgia italiana per ogni specifica patologia”.

Lo stesso dottor Fedelini, riferisce una nota, ha operato una ragazza poco più che ventenne, affetta dalla nascita da una malformazione che ostruisce il passaggio dell’urina dal rene all’uretere. “Fu operata circa 40 giorni dopo la nascita, e per anni la situazione è stata ragionevolmente accettabile - spiega Fedelini - ma pochi mesi fa l’equilibrio si è rotto, il problema si è ripresentato in tutta la sua gravità ed è stato necessario applicare alla ragazza una cannula, che fuoriuscendo dal fianco scaricava l’urina. Una situazione clinicamente precaria e psicologicamente devastante. Siamo intervenuti con una tecnica laparoscopica per asportare il tratto che si era nuovamente ristretto in questo modo abbiano ristabilito il collegamento che consente un deflusso delle urine stabile e ‘naturale’”.

Il dottor Giovanni Ferrari, responsabile del servizio di Urologia presso l’Hesperia Hospital di Modena e pioniere in Italia dell’impiego del laser Greenlight per la cura dell’ipertrofia prostatica benigna, ha effettuato un intervento di enucleazione prostatica su un paziente di 58 anni già operato con la tradizionale tecnica Turp, ma che dal mese di luglio è in condizioni di ritenzione totale dell’urina e quindi portatore di catetere. Spiega il dottor Ferrari: “Si è ricreata una situazione adenomatosa, la prostata ha assunto una forma irregolare e con due protuberanze ingombranti e la formazione di tessuto fibromatoso: tutto ciò ha portato all’occlusione del condotto di scorrimento dell’urina. La situazione ci è stata confermata da un’opportuna cistoscopia. Con il laser abbiano ridato alla ghiandola le sue giuste dimensioni, asportando millimetricamente solo la parte in eccesso. L’impiego del laser è un aiuto fondamentale per eseguire al meglio il nostro compito, in quanto evitando il sanguinamento ci consente una perfetta visione del campo operatorio. Inoltre, in prospettiva post-intervento, solo in casi rarissimi l’impiego del laser porta a reazioni infiammatorie e fibrotiche”.

Il dottor Maurizio Carrino, urologo e responsabile Chirurgia operativa andrologica del Cardarelli, un’eccellenza per l’impianto protesi peniene. “Abbiamo proceduto a un secondo impianto di protesi in un paziente di 48 anni, già operato anni fa per una grave forma di impotenza “da fuga venosa” (non affluiva nei corpi cavernosi del pene abbastanza sangue per arrivare a una erezione completa) e quindi sottoposto a un primo impianto con protesi malleabile un modello che non offre la possibilità di una vera erezione né riporta a uno stato di flaccidità normale e che comunque necessita di un minimo residuo di attività erettiva. “Il vero guaio”, puntualizza il dottor Carrino, “si è avuto quasi subito, quando la protesi ha iniziato a subire una fase di rigetto, fino alla completa espulsione. Il trauma fisico ma soprattutto psicologico del paziente è stato devastante. Abbiamo effettuato ora un nuovo impianto, con una protesi di ultimo modello, la tricomponente, quella che il paziente azione agendo su un pulsante collocato sotto la cute nell’area dello scroto. E’ stato un lavoro particolarmente delicato, perché siamo dovuti intervenire su un abbondante tessuto fibrotico che è stato asportato per fare posto alla nuova protesi”.

Il dottor Cristian Gozzi, professore contratto di Urologia presso l’Università di Pisa, ha affrontato un caso di incontinenza urinaria conseguente all’asportazione totale della prostata affetta da tumore. Il paziente ha 60 anni . “In questo caso”, spiega Gozzi , “E’ stata impiantata una sling - una retina di polipropilene (particolare materiale biocompatibile) che riposiziona l’uretra ,dislocata dall’intervento sulla prostata, nella sua sede anatomica naturale ristabilendo la normale continenza urinaria”. “Questa nuova tecnica mini-invasiva “Advance” – conclude la nota - ideata dallo stesso Cristian Gozzi impiegata con successo in migliaia di uomini (la sua casistica personale è di oltre 5 mila pazienti) rispetto alla tecniche chirurgiche del passato invasive e con risultati non sempre soddisfacenti, risolve definitivamente l’incontinenza urinaria da lieve a moderata. Per le forme più gravi si ricorre allo sfintere artificiale”.

01 ottobre 2015
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