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Gang giovanili. Anche le Asl possono fare qualcosa

19 GEN - Gentile direttore,
l’allarme sulle baby gang che è esploso negli ultimi mesi a Napoli, ma anche in altre regioni italiane, merita una riflessione sugli interventi di ordine sanitario necessari oltre che quelli di ordine pubblico indispensabili. Contro la violenza minorile servono a tal proposito attività suffragate da evidenze scientifiche.

I commenti di autorevoli personalità sulla questione della violenza perpetrata dai minori concordano sulla centralità della prevenzione e degli interventi educativi e sociali. Come sottolinea il questore De Iesu la soluzione non può essere la repressione. La dott.ssa Gemma Tuccillo, responsabile del Dipartimento per la giustizia minorile, afferma che bisogna “cominiciare dalla scuola”, non dai licei, “ma molto prima: dalle medie e le elementari”.
 
In realtà, come sottolinea nel suo intervento anche il pediatra napoletano Paolo Siani, le ricerche scientifiche indicano che bisogna intervenire ancora prima, nel periodo che va dal concepimento ai tre anni di vita del bambino. In effetti già le ricerche di Piaget e Kohlberg avevano evidenziato come lo sviluppo morale è strettamente connesso a quello cognitivo e relazionale. Oggi le neuroscienze ci dicono che il cervello evolve e si plasma soprattutto nei primi anni di vita e lo fa sulla base delle esperienze vissute dal bambino. Se questi è adeguatamente stimolato e compreso, se vive in un ambiente sereno e caratterizzato da relazioni di amore, rispetto, stima, se viene accudito con competenza si porranno le basi per un ottimale sviluppo cognitivo, relazionale, morale. In caso contrario il rischio di difficoltà cognitive e relazionali (e d'insuccesso scolastico, con le relative conseguenze) e di scarso sviluppo morale è alto. I bambini di 0-3 anni sono oltre 150.000 in Campania ed è impensabile agire su tutti.
 
Bisogna, allora, individuare i bambini che hanno più bisogno e intervenire tempestivamente. Ma anche utilizzando criteri stringenti, il numero di bambini su cui intervenire è di qualche decina di migliaia. Se si vuole affrontare davvero questo grave problema occorrono assistenti sociali, educatori,b psicologi in numero molto maggiore di quello oggi presente nei Comuni e nelle Asl della Regione.
 
E' necessario, inoltre, che gli interventi che si attuano abbiano evidenze di efficacia, un buon rapporto efficacia-costo, che siano sostenibili nel tempo e che riescano a raggiungere un numero consistente di soggetti, soprattutto di quelli più bisognosi. Le “lezioni periodiche alle quali dovrebbero partecipare gli alunni insieme con i propri genitori, ed estese anche agli insegnanti” non mi risultano essere una metodologia che risponda a questi criteri. Per fortuna oggi esiste una vasta letteratura scientifica su cosa più facilmente funziona e su cosa non funziona, sia in età prescolare che per gli interventi scolastici ed extrascolastici.
 
Proprio perché gli operatori disponibili nelle varie istituzioni sono pochi, è ancor più necessario che siano impegnati in attività che le ricerche scientifiche indicano come efficaci. Tra queste ricordo gli interventi di sostegno alla genitorialità, di promozione della lettura ad alta voce ai bambini già dal primo anno, i progetti scolastici Kiva e NoTrap per la prevenzione del bullismo previsti dal piano regionale prevenzione ma in larghissima parte del tutto inattuati.
 
Per quanto riguarda le Asl, esse hanno avuto indicazioni in tal senso dalla Regione Campania con il Piano di Prevenzione 2014-18 e l'Atto di Indirizzo per le Attività di educazione e promozione della Salute (Dgr 501/17). Ma esse soffrono l'estrema carenza di personale (educatori, assistenti sanitari, psicologi, assistenti sociali) da dedicare a tali attività da anni trascurate. I risultati di tali carenze, che bisognerebbe adeguatamente finanziare, sono ora sotto gli occhi di tutti e sulla pelle di tutti i cittadini napoletani.
 
Pio Russo Krauss
Ex responsabile educazione sanitaria Asl Napoli 1 centro 


19 gennaio 2018
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