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Al Ceinge di Napoli scoperto un interruttore molecolare che blocca le metastasi del medulloblastoma

I ricercatori hanno svelato la “regia” delle metastasi ed hanno sperimentato in vivo un nuovo farmaco in grado non solo di fermare la proliferazione metastatica, ma di invertire il processo da maligno in benigno. La molecola, frutto di una collaborazione internazionale, è stata testata su modelli murini ed è risultata pienamente efficace e senza controindicazioni.

07 MAR - La ricerca campana segna un traguardo importante per la diagnosi e la cura di un tipo tumore pediatrico per il quale oggi esiste solo la possibilità di attuare un protocollo cosiddetto “ad alto rischio”. In pratica non esiste terapia. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Brain” (Oxford, Journal of Neurology), è stato realizzato dall’equipe di ricercatori coordinata da Massimo Zollo, docente di Genetica presso l’Università Federico II di Napoli Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche e “Principal Investigator” del Ceinge, responsabile di Unità e della “Banca dei gruppi rari” presso il Dipartimento assistenziale di Medicina trasfusionale della Azienda Ospedaliera Federico II.

Gran parte degli esperimenti, avviati da Pasquale de Antonellis, sono stati eseguiti da una giovane dottoranda della Semm (Scuola europea di medicina molecolare con sede al Ceinge). Veronica Ferrucci ha identificato il meccanismo di azione del processo metastatico che parte da medullosfere “cellule staminali tumorali” presenti nel cervelletto e genera metastasi nella colonna spinale del bambino affetto. Questa azione è stata replicata in modelli murini, che hanno subito xenotrapianto delle cellule di gruppo 3 ed è stato dimostrato che è possibile inibire il processo di proliferazione e di migrazione di queste cellule nel cervelletto dei topi le quali non sono più in grado di attivare il processo metastatico grazie all’uso di un nuovo farmaco messo a punto dal gruppo di ricerca e testato per la sua efficacia e tossicità nel modello murino.

Un altro dato presente nel lavoro dimostra che la combinazione tra le radiazioni alle cellule metastatiche di MB gruppo 3 e la presenza del farmaco raggiunge un effetto superiore rispetto al singolo utilizzo delle due componenti terapeutiche e che è quindi applicabile nell’ambito di protocolli di terapia “convenzionale” per i tumori definiti “ad alto rischio” nel bambino.

Inoltre, grazie agli studi di Next-Generation-Sequencing svolti nella facility del Ceinge e coordinati da Francesco Salvatore e da Valeria d’Argenio, sono state identificate le mutazioni occorrenti durante la progressione tumorale con il sequenziamento dell’intero genoma delle cellule metastatiche del bambino affetto da medulloblastoma del gruppo 3.

“In questo modo sono stati identificati altri nuovi geni targets” – spiega Massimo Zollo – le cui mutazioni erano sconosciute per la terapia nell’uomo. Questo studio definisce per prima volta che i tumori nel cervelletto del bambino presentano geni mutati che influenzano negativamente l’azione del sistema immunitario attivo nel cervello. Quindi l’approccio immunoterapeutico che agisce attraverso una sua specifica attivazione delle cellule immunitarie stesse per combattere il tumore deve essere usato con cautela proprio per la presenza di meccanismi genetici di evasione dall’azione del sistema immunitario nel combattere il Medulloblastoma. Si tratta del primo lavoro che dimostra una efficacia di terapia nei tumori di gruppo 3 di Medulloblastoma – sottolinea Zollo -, al momento lo studio dimostra efficacia in modelli murini e mostra assenza di tossicità nel topo, ma apre la strada all’utilizzo nell’uomo, che potrà essere attuato appena saranno completati gli studi di tossicità e farmacodinamica nell’uomo”.

Collaborazione tra ricercatori internazionali. Un lavoro di squadra quello che ha portato a tale risultato, a metà strada tra sala operatoria e laboratori, tra clinica e ricerca scientifica. In tanti e con diversi know how hanno contribuito alla scoperta: genetisti, chimici, biochimici, farmacologi, structural biologist, chirurghi, patologi. Da Napoli a Londra, passando per Dusseldorf, Parigi e Uppsala, fino a Toronto e San Francisco.

Il lavoro coordinato da Zollo ha collaboratori italiani. In particolare, il team di neurochirurgia dell’Ospedale Santobono (Giuseppe Cinalli, Lucia Quaglietta). Vittoria Donofrio (Santobono) ha curato l’aspetto patologico e clinico insieme a Felice Giangaspero dell’Università la Sapienza di Roma e ad Angela Mastronuzzi dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma. Gli studi molecolari legati alla sintesi e alla definizione attraverso studi dinamici di interazione del farmaco con la proteina Prune-1 sono stati condotti da Aldo Galeone (Federico II di Napoli, dipartimento di Farmacia) e da Roberto Fattorusso (Università L. Vanvitelli). Hanno partecipato allo studio anche laboratori di ricerca internazionali. In particolare, in Inghilterra il Cancer Research Institute (Louis Chesler), col quale sono stati condivisi modelli murini del modello di medulloblastoma del gruppo 3,  l’Istituto Curie di Parigi (Olivier Delattre), l’Università di Dusseldolf in Germania (Mark Remke e Pickard), l’Università di Uppsala in Svezia (Frederick Swartling), l’Università di San Francisco, California USA (William Weiss).

Infine, di enorme importanza è stata la collaborazione con il Sick-Kids Hospital di Toronto in Canada, coordinato dal professor Michael Taylor, soprattutto con i suoi collaboratori, due scienziati italiani, Pasqualino De Antonellis e Livia Garzia, ex studenti di Zollo.
 
Leo, il bambino che ha donato una parte di sé alla ricerca. Sono passati 28 mesi da quando Leo è volato in cielo. Così dicono i suoi compagni di classe, che portano il conto di una mancanza incolmabile, di una distanza crudele dall’amico eroe che combatteva contro un male allora incurabile. Leonardo era affetto da un medulloblastoma di tipo 3, che non gli ha lasciato scampo. Aveva 5 anni quando gli è stato diagnosticato.

«Un giorno è venuto qui al Ceinge con i suoi genitori – racconta Zollo – al suo papà aveva chiesto di trovare il migliore studioso del suo male. Leo è stato con noi, è entrato nei laboratori, ha conosciuto i nostri ricercatori. Ha voluto che gli spiegassimo cosa facciamo. Il suo coraggio non è stato vano».

Lo studio del gruppo di Zollo è stato fatto proprio su un campione di Leo. Da allora Zollo e i suoi non hanno smesso un attimo di studiare, di provare, di verificare. «C’è voluta tanta tenacia, fatica e determinazione per portare avanti questo studio e tutte le forze messe in campo, parlo di tutte le collaborazioni nazionali ed internazionali che abbiano avuto, hanno avuto un ruolo importante. E non nascondo che Leo è stato ed è sempre nei nostri cuori, la nostra guida».

Leo se ne è andato nell’ottobre del 2015. Nessuno ha dimenticato quel coraggioso bambino, il suo sorriso, la sua forza. La scuola che frequentava, insieme alla famiglia, agli insegnanti e agli alunni, sostiene con una serie di iniziative la ricerca scientifica, che si svolge a Napoli.

Forse proprio grazie a Leonardo oggi Massimo Zollo può finalmente dare la “buona notizia”: il medulloblastoma di tipo 3 si potrà sconfiggere. «Basta andare sulla pagina Facebook della scuola di Leonardo, leggere quello che fanno i suoi compagni di scuola, vedere tutto l’amore e la solidarietà che esiste, per capire perché lavoriamo senza sosta», ha detto Massimo Zollo, il ricercatore napoletano che lo stesso Leo ha voluto conoscere e al quale ha lasciato in eredità una parte di se stesso.
 
Il futuro delle terapie. I risultati della ricerca hanno implicazioni nel campo medico diagnostico e terapeutico. Sarà possibile effettuare diagnosi precoci della patologia per identificare l’asse di azione molecolare di questo gruppo di tumori, ma soprattutto sarà possibile curare i bambini grazie all’identificazione della molecola che è in grado di bloccare il processo metastatico indotto da Prune-1, al momento testata nei modelli murini di gruppi 3 di medulloblastoma.

«Ora siamo in grado di fare diagnosi dei medulloblastoma del gruppo 3 - chiarisce Zollo – che purtroppo hanno attualmente una prognosi infausta. Adesso finalmente abbiamo un arma, una piccola molecola che può essere usata per sviluppi clinici. Purtroppo, per avviare questa attività per studi nell’uomo occorrono investimenti, siamo pronti ad accogliere azioni di aziende farmaceutiche che vogliano investire in questo sviluppo e portare questa molecola a diventare farmaco. Siamo in grado di passare subito agli studi di fase 1, in Italia e all’estero».
 
Ettore Mautone
 

07 marzo 2018
© Riproduzione riservata

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