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Hiv. In Campania approvato il protocollo attuativo PrEP e Pep inclusivo delle associazioni di attivisti CBCVT

La PrEp, profilassi pre-esposizione, permette di ridurre di oltre il 92% il rischio contagio dopo aver avuto un rapporto a rischio di trasmissione di Hiv, con benefici anche sul rapporto costo-efficacia per la riduzione di future spese gestionali di un possibile paziente Hiv positivo. Per quel che riguarda la PeP, profilassi post esposizione, viene rinforzata la rete ospedaliera già esistente per la riduzione del rischio di trasmissione del virus.

04 OTT - Il comitato di coordinamento regionale di lotta all’Aids della Regione Campania ha approvato, lo scorso 1 giugno, il protocollo attuativo sull’impiego dei PrEP e PeP sulla base di quanto stabilito dal piano nazionale Aids ormai nel lontano 2017.

“Sulla base di dati scientificamente provati - ricorda Nps Campania nella nota che annuncia l’approvazione del protocollo - la profilassi pre- esposizione consiste nel prendere farmaci antiretrovirali per curare l’Hiv per prevenire un contagio dopo aver avuto un rapporto a rischio di trasmissione di Hiv. Tale profilassi riduce il rischio di contagio di oltre il 92% e può essere considerata costo- efficacia per la riduzione di futuri costi gestionali di un possibile paziente Hiv positivo. Quindi sebbene il costo del farmaco da protocollo sia ancora a carico del singolo individuo (come in tutta Italia ancora), tutto ciò che concerne la presa in carico sanitaria della persona è a carico del SSN. Mentre per quel che riguarda la PeP viene rinforzata la rete ospedaliera già esistente per la riduzione del rischio della trasmissione del virus dopo un evento certo di possibile trasmissione”.

NPS Italia, sezione Campania, esprime dunque soddisfazione, anche per avere “contribuito a questo risultato a stretto contatto con chi nel comitato regionale di Lotta all’Aids, di cui fa parte e presieduto dal prof. Guglielmo Borgia, ha lavorato nel dettaglio a questo protocollo”, afferma la presidente Nps, Margherita Errico. “L’elemento di valore aggiunto in questo lavoro - prosegue - è rappresentato dalle azioni previste nel protocollo che vedono al centro le associazioni della società civile, in particolare quelle così dette community based ovvero precisamente definite CBVCT (community based voluntary counselling and testing), acronimo inglese che rappresenta le associazioni fatte da persone con Hiv che volontariamente effettuano colloqui e test Hiv rapidi a chi volontariamente si avvicina a questo servizio".

“In questo modo – conclude la presidente Enrico – finalmente le associazioni di pazienti attivisti, ormai sempre più formati secondo le normative vigenti, vengono riconosciute come il naturale complemento sul territorio al fianco delle diverse AA.SS.LL. e delle AA. OO.per diversificare l’offerta di prevenzione e raggiungere anche i gruppi più vulnerabili, compresi i detenuti e con un approccio di genere, con il principale obiettivo dell’identificazione precoce clinica delle persone con Hiv (early detection)”.

04 ottobre 2021
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