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Femminicidio: nel 2013 uccise in Italia 128 donne


08 MAR - Lo scorso anno 128 donne tra i 15 e gli 89 anni sono state della furia omicida degli uomini: mariti, compagni, figli, fratelli o nipoti. È il dato sul dramma del femminicidio raccolto dal Telefono Rosa, che in un’indagine dedicata alla violenza sulle donne e condotta su 1.504 vittime che si sono rivolte nel 2013 al Telefono Rosa, ha evidenziato come vi sia stato un aumento del tempo di esposizione alla violenza (dal 18% al 21% da 5 a 10 anni e dal 16% al 19% da più di 10 anni) e una maggiore ripetitività degli episodi di violenza nell’83% dei casi.
 
La violenza, come l’Associazione denuncia da tempo, si continua a consumare all’interno della coppia e della famiglia, nel corso di una relazione affettiva (fidanzamento, matrimonio, convivenza per il 58%) e dopo la separazione (24%). Si assiste però a uno spostamento dell’età media delle vittime: dal 25% al 28% tra i 45 e i 54 anni) e degli autori (17% 55-65 anni e 10% oltre i 65 anni.
Ma violenza non si manifesta solo con l’omicidio. Vi sono forme sempre meno palesi, sempre più subdole e più invisibili, difficili da riconoscere: violenza psicologica (segnalata dal 35% delle donne esaminate nella ricerca), minacce (15%) e stalking (6%). La percentuale della violenza fisica (22%) anche con oggetti pericolosi (3%) si conferma stabile rispetto agli anni passati.
Cresce la percentuale di donne (dal 9% al 12%) che individua l’inizio della violenza al momento della gravidanza e/o alla nascita dei figli, cioè in un momento particolarmente delicato e fragile della propria vita.
 
L’autore continua ad agire lucidamente, sale infatti dal 12% al 15 % la percentuale delle vittime che riconducono alla gelosia e soprattutto alla possessività l’origine dell’atto violento. Una particolare ripetitività (93%) riguarda la violenza di tipo economico che si esprime attraverso impegni economici imposti, controllo o appropriazione del salario della donna, negazione dell'accesso all'istruzione o al lavoro, privazione deliberata di cibo, vestiti o beni essenziali. La violenza economica, tesa a ledere la capacità di autonomia della donna, quando si esprime attraverso la mancanza di sostegno o la mancata corresponsione degli alimenti, danneggia soprattutto i figli, vittime della stessa violenza agita contro la madre.
 
Nell’elaborazione 2013 le vittime appaiono però emotivamente più consapevoli, non solo delle conseguenze che anni di esposizione alla violenza hanno prodotto dentro di loro, ma anche della propria forza e delle proprie risorse interne: la somma dei fattori quali la debolezza (21%), la vergogna (6%) e la paura di restare sola (4%) passa dal 26% al 31% nel 2013, mentre si riduce dal 18% al 14% la paura di subire altra violenza (11%) o ritorsioni (3%); aumenta anche la quota di quante riconoscono di sopportare la situazione per necessità di carattere economico (dal 12% al 14%).
 
L’80% delle donne esaminate nella ricerca ha figli di cui il 60% è di età minore ai 18 anni. “Un dato molto preoccupante – spiega Telefono Rosa - è che nel 29% dei casi i figli reagiscono attivamente contro il padre per difendere la madre facendole da scudo (17%) o affrontandolo direttamente sullo stesso piano (12%). Tale modo di reagire non è  minimamente legato all’età; a questo proposito, infatti, sottolineiamo come durante i colloqui con le vittime di violenza assistita condotti dalle Professioniste dell’Associazione, spesso emergono racconti di quando all’età di 3 o 4 anni cercavano di difendere la propria madre con le modalità  precedentemente descritte”.
 
Per Telefono Rosa è infatti fondamentale non dimenticare che dietro ad ogni donna vittima di violenza c’è un figlio vittima della stessa violenza. “Dal nostro campione emerge che il 31% dei violenti ha alle spalle storie di padri violenti (63%) e il 18% delle donne è stata a sua volta vittima in contesti in cui era ancora una volta la figura maschile (62% il padre, 10% il fratello) ad esercitare la violenza; lì dove non si riescono, invece, a individuare elementi nella storia personale per comprendere le manifestazioni della violenza, si rintraccia un modello educativo impregnato di stereotipi di genere, che contempla la prevaricazione e la sottomissione della figura femminile”.

08 marzo 2014
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