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Risarcita perché nata down. Sieog: “No a derive eugenetiche della legge 194”


La Società di Ecografia Ostetrico-Ginecologica contesta la sentenza della Cassazione che ha riconosciuto il risarcimento al neonato con malformazione perché il ginecologo non aveva sottoposto la madre ad accertamenti che avrebbero potuto fare optare per l’aborto, evitando così al nascituro una vita "impeditiva".

24 OTT - "Si considera la disabilità come una condizione che non merita di esistere” e “si spinge a un aumento indiscriminato di procedure diagnostiche  invasive con il conseguente aumento dei costi sia in termini economici, sia in termini di perdite fetali”. Queste le maggiori preoccupazioni della Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica (Sieog) sulla recente sentenza 16754 del 02 /10/2012 che ha visto riconosce la possibilità di risarcimento direttamente all’individuo nato affetto da una malformazione o da una sindrome genetica, oltre al risarcimento già riconosciuto alla madre per non essere stata sottoposta a maggiori accertamenti tesi a verificare la presenza di malformazioni e dunque non messa nelle condizioni di poter eventualmente richiedere la applicazione della legge 194.

Una sentenza che la stessa Cassazione riassume così: “Il risarcimento del danno c.d. da nascita indesiderata, scaturente dall’errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito, impedisca alla madre l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, spetta non solo ai genitori del bimbo nato malformato, ma anche ai suoi fratelli. Nel caso in cui il medico ometta di segnalare alla gestante l'esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l'esistenza d'una una malformazione congenita del concepito, quest’ultimo, ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza ha diritto, fondato sugli art. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione., ad essere risarcito da parte del sanitario del danno consistente nell’essere nato non sano, rappresentato dell'interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità”.

Ma la Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica (Sieog) non ci sta. Perché, afferma, con questa sentenza la Corte di Cassazione “ha praticamente ammesso la tesi secondo la quale se vi è una disabilità del feto diagnosticata in utero, lo stesso deve essere sottoposto ad interruzione di gravidanza”. Un’interpretazione verso cui la Sieog esprime “profondo stupore e la propria preoccupazione per questa sentenza, in quanto la stessa contraddice elementi sostanziali della legge 194 in forza di interpretazioni soggettive di norme costituzionali, solleva profondi problemi etici e determina importanti ricadute sulla pratica medica. La legge 194 infatti – sottolinea la Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica - non prevede l’interruzione di gravidanza per il riscontro di feti malformati o portatori di handicap, ma solo in funzione del rischio psichico che un tale evento può comportare per la donna. La legge italiana non è quindi una legge eugenetica, come questa sentenza farebbe considerare”.

In particolare, la Sieog teme che la sentenza “porterà ad un aumento indiscriminato di procedure invasive (amniocentesi e villocentesi) con il conseguente aumento dei costi sia in termini economici, sia in termini di perdite fetali. Infatti, circa ogni duecento amniocentesi o villocentesi si causa la perdita di un feto sano. E questo trend all’aumento della diagnosi invasiva è contrario a quanto da un paio di decenni sta accadendo in tutto il mondo dove sono sempre più diffusi i test di screening per la sindrome di Down (bi-test e tri-test, basati su misure ecografiche e su un prelievo di sangue), che forniscono un’indicazione molto precisa della probabilità più o meno alta che il feto sia affetto. E la donna e la coppia decidono, sulla base di questa informazione, se optare per la diagnosi invasiva (amniocentesi). L’aumento indiscriminato di procedure invasive ha inoltre anche un impatto negativo sulla spesa pubblica, laddove il costo di un’amniocentesi è decisamente superiore a quello di un test di screening”.

Ma la sentenza, sottolinea la Sieog, “solleva anche un problema etico molto rilevante. Riconoscere il diritto a non nascere e risarcire un individuo affetto da un handicap per il fatto di essere nato significa considerare la disabilità in sé come una condizione che non merita di esistere. Un caso quasi analogo (noto come caso Perruche) che si verificò in Francia nel 2002 portò allo sciopero a oltranza di tutti i ginecologi che effettuavano ecografie ostetriche e suscitò forti rimostranze di tutte le Associazioni che si occupavano a vario titolo di soggetti disabili fino alla promulgazione di una legge che limitasse il riconoscimento di un tale presunto “diritto” (Francia: legge 303 del 4/3/2002)”.

La Siego si riserva quindi di analizzare in modo maggiormente approfondito le argomentazioni della sentenza in oggetto con l’ausilio di esperti del Diritto ma ritiene “opportuno e fondamentale l’intervento immediato del Legislatore per fare chiarezza una volta per tutte su di una materia molto complessa sulla quale la Corte di Legittimità da almeno un decennio produce sentenze che hanno indotto dubbi e preoccupazioni negli addetti ai lavori”.
 

24 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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