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Lazio. Emergenza Parkinson. La denuncia dei pazienti


Forte preoccupazione della sezione laziale dell'Associazione "Azione Parkinson" sui tagli alla sanità regionali che incideranno sull'assistenza ospedaliera e fisioterapica. Gli esperti: problemi anche per l'assunzione di farmaci che richiede assistenza; dubbi su efficacia generici.

12 DIC - Il 73% dei pazienti parkinsoniani ha bisogno di aiuto nella vita quotidiana. Nel 58% l’aiuto ai malati arriva dalla famiglia. Nel 10% dei casi è la badante a occuparsene ma per i malati più gravi il numero delle badanti sale al 25%. Più del 57 % dei parkinsoniani si sente inutile e più del 13% dei malati racconta che a causa della malattia la famiglia si è disgregata.
 
Questi alcuni dati diffusi oggi riferiti a una ricerca su un campione di circa 400 persone affette da Parkinson in un incontro promosso da Azione Parkinson tra i pazienti e gli esperti del settore welfare salute, realizzato grazie al contributo non condizionato di Abbott.
In tempi di scure sulla sanità laziale e in un momento in cui dal rapporto del Censis emerge che la scarsità delle cure domiciliari e dell’integrazione socio-sanitaria pesa per 28 miliardi di euro sulle famiglie (pari all’1,76% del PIL), il rapporto tra medico e paziente diventa ancora più importante. “Il legame tra il medico – e la persona malata di Parkinson - racconta Claudio Passalacqua, presidente dell’Associazione Parkinson, è essenziale. La nostra qualità della vita (per una malattia che al momento non ha guarigione) dipende molto dal supporto psicologico che ci viene fornito. Le Istituzioni non danno risposte - lamenta Passalacqua - e sottolinea come negli ambulatori medici si dedicano dai dieci ai quindici minuti per un malato di Parkinson quando per una visita neurologica accurata i tempi prevedono almeno un’ora e mezza. Inoltre – aggiunge - occorrerebbe aumentare il numero delle sedute di fisioterapia (troppo poche quelle previste dalla Regione Lazio), che sono l’unico rimedio per migliorare un po’ la qualità di vita del parkinsoniano. Se diagnosticato in tempo sono molteplici i vantaggi che ne derivano”, dichiara Claudio Passalacqua.
 
La malattia del Parkinson provoca una varietà di sintomi e le limitazioni non riguardano solo la sfera motoria ma molto anche quella psicologica. ”Il 57 % dei parkinsoniani - illustra Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare Censis - lamenta che la malattia lo fa sentire inutile e per i pazienti più anziani, la gestione della terapia farmacologica rappresenta una notevole incombenza”, commenta l’esperta. “In media, devono assumerli 7,1 volte al giorno, con valori che oscillano da 4,9 somministrazioni per i malati lievi a 8,3 nei casi molto gravi. Il 49% dei pazienti – sottolinea Ketty Vaccaro - ha bisogno di farsi aiutare da qualcuno per ricordarsi di prendere i farmaci negli orari giusti. A uno su quattro poi succede almeno due volte alla settimana di perdere il conto delle somministrazioni giornaliere; a uno su cinque capita invece di dimenticare del tutto di prenderli. Il 17% lamenta difficoltà relative alle modalità burocratiche per ottenere i farmaci, problema riferito con maggiore frequenza dai pazienti più gravi (31%). Il peso economico dei farmaci sul budget familiare viene indicato come un problema da un paziente su tre”.
 
Va un pochino meglio nelle regioni del nord Italia. “La quasi totalità dei Centri dove si effettuano terapie avanzate si trovano nelle regioni dell’Italia settentrionali - ricorda Alfonso Fasano dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma -. Continuare a garantire servizi a breve termine e a non investire su terapie di ampio respiro ha, secondo Alfonso Fasano, il paradossale risultato di posticipare una spesa economica ben maggiore”. E su quanto sia errato garantire servizi solo a breve termine interviene anche Fabio Viselli dell’ospedale dei Cavalieri di Malta S. Giovanni Battista di Roma che concorda nel dire che “un risparmio economico immediato sarà sempre molto inferiore a quanto il servizio sanitario dovrà poi sborsare quando i pazienti andranno incontro a prolungate e più costose cure per gli effetti secondari alla mancanza di riabilitazione, (basti pensare al costo chirurgico delle fratture dovute alla cadute o alla ospedalizzazione prolungata nei reparti di lungodegenza)”.
 
“Se negli ultimi quindici anni - asserisce Nicola Vanacore del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute, dell’Istituto Superiore di Sanità - vi è stata una notevole accelerazione nell’ambito della ricerca sull’eziopatogenesi e trattamento nella malattia di Parkinson, è necessario stimolare, ancor più, una ricerca indipendente sul farmaco e la creazione e implementazione di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali e riabilitativi, a livello di ASL o di distretti sanitari, con il coinvolgimento organizzato di tutti gli operatori sanitari che si dedicano all’assistenza dei pazienti parkinsoniani”.
 
Il taglio dei letti previsti negli ultimi provvedimenti del Ministero della Salute preoccupa molto Stefano Ruggieri dell’università di Roma la Sapienza perché “comporterà un peggioramento del trattamento del parkinsoniamo che ha bisogno di maggior tempi di osservazione per assegnare la giusta terapia”. Ruggieri infine è molto critico sulla proposta dei farmaci generici che “non possono essere validi per tutti i parkinsoniani che hanno una terapia molto personalizzata”.

12 dicembre 2012
© Riproduzione riservata

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