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Assobiomedica: "Per dispositivi medici atteso crollo del 33% degli acquisti nel pubblico"


Questo l'impatto sul biennio 2013-2014 delle manovre approvate tra luglio 2011 e oggi. Negli ultimi 18 mesi persi un migliaio di posti di lavoro tra mobilità e blocco del turn over. Centinaia di lavoratori sono in cassa integrazione. A rischio altri 10mila lavoratori. Ecco il rapporto di Assobiomedica.

01 FEB - “Le manovre sul biennio 2012-2014 sottendono misure che nel complesso mettono a rischio le fondamenta del Servizio sanitario nazionale. Si tratta di un definanziamento statale pari a 14.320 milioni di euro, 8.520 milioni solo nel 2014. Stimiamo che le manovre possano avere un impatto sulla spesa pubblica in dispositivi medici del -33% nel biennio 2013-2014”. E come se non bastasse, "negli ultimi 18 mesi, nel settore, si sono persi un migliaio di posti di lavoro tra mobilità e blocco del turn over e centinaia di lavoratori sono in cassa integrazione”. E a rischio ce ne sono altri 10mila. Questi i principali numeri presentati oggi dal presidente di Assobiomedica, Stefano Rimondi, nel convegno “Quale futuro per il SSN: opinioni a confronto per ripensare il sistema salute” svolto a Roma per presentare l'analisi dell'impatto sulla sanità e il settore dei dispositivi medici derivanti dalle manovre approvate dai governi Berlusconi e Monti tra luglio 2011 e oggi.
 
L'incontro ha radunato intorno a un tavolo una serie di esperti, di vari settori della sanità: legislatori, docenti universitari, rappresentanti della società civile, rappresentanti del mondo dell’industria e delle istituzioni, chiedendo loro opinioni su come ripensare il sistema salute in tempi di spending review.

“La sostenibilità di un Paese – ha dichiarato Rimondi - dovrebbe essere definita in base ai livelli di qualità della sanità al di là dei puri conteggi del Pil. Non si può continuare a deteriorare il Ssn perseguendo l’obiettivo della sostenibilità finanziaria e riducendo ulteriormente la spesa sanitaria che incide già del 7,1% sul Pil. Si tratta di cifre che non sono da Paese europeo, ma da Paese in via di sviluppo. I tagli lineari alla spesa sanitaria non sono giustificati soprattutto se si considera quanto il Servizio sanitario italiano sia ‘risparmioso’ rispetto agli altri stati”. “Le nostre imprese – ha proseguito il presidente di Assobiomedica – sono seriamente preoccupate e vedono profilarsi il rischio di procedere a pesanti ridimensionamenti occupazionali e a interrompere gli investimenti in ricerca e innovazione. Prevediamo che con i provvedimenti messi in atto dal Governo andremo a tagliare circa 10mila posti di lavoro invece di contribuire a rendere la sanità italiana tra quelle di eccellenza nel mondo”.
 
Eppure, il presidente di Assobiomedica ha sottolineato come la sanità sia un sistema fondamentale per la coesione sociale e un potente traino per l’economia e lo sviluppo industriale in settori ad alta tecnologia e intensità di ricerca. In Italia, dati di Confindustria, la filiera della salute genera oltre l’11% del Pil e gli addetti che vi lavorano sono oltre 1,5 milioni (2,8 con l’indotto). Eppure anche la sanità è stata chiamata a pagare un tributo pesante alla politica di rigore messa in campo dal governo Monti nel tentativo di scongiurare la crisi finanziaria del Paese.
 
Il settore dei dispositivi medici “è stato particolarmente colpito dalle tante manovre finanziarie. A subire danni saranno tutti se verrà applicato il tetto alla spesa per dispositivi medici”, ha sottolineato Rimondi lanciado un appello al prossimo governo affinché “la sanità sia considerata una priorità”.
 
Per Giovanni Bissoni, presidente Agenas “la manovra impatta sui servizi e la manovra è fatta a partire dal Fondo sanitario e non dalla spesa sanitaria”. E il danno è ancora più evidente in quanto, spiega Bissoni “il Fondo è quello che garantiva per esempio il pareggio di bilancio a regioni come la Toscana”. Poi il presidente dell’Agenas parla del Titolo V è del rapporto tra regioni del Centro-Nord da un lato e del Centro-Sud dall’altro per ribadire come “i poteri sostitutivi non sono stati utilizzati per riordinare il sistema ma per mettere sotto controllo la spesa. L’eccesso di economia sul sistema ha comportato un decadimento delle politiche sanitarie, abbiamo bisogno di centralità”. Infine secondo Bissoni “se la sanità non è materia di mercato i beni e servizi devono essere soggetti al mercato con regole competitive. Dobbiamo costruire un mercato di beni e servizi per avere il prezzo corretto dei dispositivi”.
Infine Giovanni Bissoni ha ha annunciato che è “pronto l'aggiornamento dell'elenco dei prezzi dei beni e servizi. Lo abbiamo inviato all’Autorità di vigilanza e stiamo aspettando che decida cosa farne. Quindi in attesa dell'arrivo del decreto ministeriale in materia nel frattempo ci siamo portati avanti”. 

Altro problema a lungo sviscerato nel corso del convegno è l’annoso rapporto ospedale-territorio “Da vent’anni a questa parte si dibatte dell’integrazione del territorio-ospedale. – ha ricordato Federico Lega, Docente Associato Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico, Università Bocconi – Quello che c’è scritto nel decreto Balduzzi è lì da tempo e rischia anche questa volta di restare sulla carta. L’ospedale deve organizzarsi in modo da far girare meglio la macchina operativa, dopodiché il territorio ha un suo ruolo che deve essere unico mentre ora ci sono troppe regole, per quanto riguarda il lavoro, che rendono difficile l’organizzazione del territorio”.
 
“La sanità è sostenibile quanto un Paese decide che lo sia”. Così Nerina Dirindin, Docente di economia pubblica di scienza delle finanze, Università di Torino, riportando una frase di Roy Romanow, colui che negli anni ‘90 in Canada, a capo di una commissione che porta il suo nome, si poneva le stesse domande sulla sostenibilità del sistema. “Noi dobbiamo chiederci quanto l’Italia pensa che la tutela della salute sia fondamentale. Se tutti ritenessero la sanità fondamentale, al di la dei tagli, ci sarebbe una luce perché sapremmo che appena possibile tornerebbe a crescere. La tutela della salute mi auguro che emerga come problema. Perché invece l’allarme? La crisi ha un suo ruolo ma il rischio è che la sanità venga considerata come un bacino su cui far cassa con la conseguenza che si faccia scadere il Ssn”.
 
“Io non ho ricette” ha detto la Dirindin però ha portato una serie di esempi di cose da non fare. “Ogni regione deve rinunciare a riforme ardite; occorre riconoscere che del sociale ha bisogno la sanità; occorre inoltre smetterla con l’allarme che la popolazione invecchia, anche perché invecchiamo nel modo migliore spostando in avanti la cronicità di 4/5 anni rispetto a quanto avveniva solo 10 anni fa; infine dobbiamo dare maggiore attenzione e dignità al lavoro di cura”.
 
Due i punti su cui ha insistito Angelo Lino Del Favero, presidente Federsanità – Anci il quale ha ribadito che “il momento è delicato in quanto le aziende momento stanno predisponendo i budget per il prossimo anno e saranno budget che dovranno prevedere misure di riduzione della spesa invece che, come finora, misure di contenimento. Cambia dunque lo scenario in cui si opera”. Altro punto sottolineato da Del Favero è “l’eccessiva rigidità del lavoro che va reso inevitabilmente più flessibile”.
 
Critico sull’eccesso di politiche di rigore con scarsa propensione allo sviluppo è stato Giuseppe Scaramuzza, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato Cittadinanzattiva secondo il quale “La salute dovrebbe essere un fattore di sviluppo, l’Ue ci chiede questo, ma da noi invece sembra che il comparto salute sia sempre di più vissuto come un fardello da eliminare per far tornare i conti”. La lotta alla corruzione in sanità per Scaramuzza è un altro tema caldo su cui si pone poca attenzione “mentre la Corte dei Conti stima un costo pari a 60 miliardi”.

È stata poi la volta della politica con Ignazio Marino senatore del Pd che ha ricordato come in Italia “investiamo un 25/30% in meno di paesi come la Francia e la Germania”. E pur non avendo soluzioni su come risolvere il problema Marino ha però illustrato una serie di eidee su come intervenire in termini di sostenibilità: “Incentivare la medicina di gruppo per Mmg con ambulatori tecnologicamente attrezzati, aperti 12 ore al giorno sette giorni su sette. Eliminare i reparti ospedalieri inutili e ridondanti spesso crearti per affidare un incarico a un nuovo primario. Sanzionare economicamente gli ospedali che ricoverano con anticipo i pazienti per interventi programmati. Intervenire su servizi che nono trovano giustificazione terapeutica reale come ad esempio i parti cesarei che costano il doppio rispetto a quelli naturali. Attribuire poteri stringenti alle agenzie regionali per gli acquisti del materiale di consumo all’interno degli ospedali e delle strutture accreditate con il Ssn. Contenere la crescita dei costi spingendo ad esempio sui generici. Rilanciare la medicina preventiva educando agli stili di vita per evitare le malattie ad alto costo”. Infine è stato l’invito di Marino occorre passare “da un’etica del taglio ad una politica di eliminazione degli sprechi”. Solo in questo modo sarà possibile perseguire la sostenibilità “perché – ha concluso – non vogliamo rinunciare ad un Ssn accessibile a tutti”.
 
Altro rappresentante politico presente Claudio Gustavino, senatore dell’Udc il quale ha esordito affermando che “dire via la politica dalla sanità è una sciocchezza sesquipedale, la sanità ne ha bisogno, quello che occorre limitare è l’ideologia. Compito della politica è indicare priorità”.
Gustavino ha ribadito quello che secondo lui è un problema e cioè che “oggi il Ssn non esiste più, viviamo in un sistema sanitario frammentato con 21 sistemi di carattere regionale. Nella sanità lo stato deve tornare centrale. La riforma del Titolo V ha fallito e ha comportato, tra l’altro, un aumento del contenzioso Stato-regioni con conseguente aumento dei costi e degli sprechi”.
Se per Gustavino “il Ssn è nato da un’idea semplice ma è stato utilizzato male e sta in piedi grazie alla passione di chi ci lavora”.
Infine anche Gustavino torna sul rapporto ospedale-territorio che va riformato ma “per farlo occorre avere una visione d’insieme. Se restiamo con 21 sistemi regionali non otteniamo nulla e il problema ce lo porremo di continuo”. 

01 febbraio 2013
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