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Maggior chiarezza sulle biobanche. Perché il cancro si batte anche condividendolo


“Le biobanche possono rappresentare il futuro contro le neoplasie. Ma servono procedure più semplici e sicure”. Gli esperti della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) da Milano lanciano un appello: “Senza interventi si frena la ricerca”.

08 OTT - Un vuoto normativo rischia di bloccare la ricerca contro il cancro. È quello che riguarda le biobanche, raccolte organizzate di campioni biologici (in particolare tessuti, cellule, sangue). In Europa, infatti, sono attualmente presenti un grande numero di biobanche, tuttavia raramente collegate tra loro. Riuscire ad accedervi è spesso difficile per la mancanza di regole comuni. Un altro capitolo controverso è quello relativo all’ampiezza del consenso al trattamento dei dati personali. Le cose, però, presto potrebbero cambiare. E proprio grazie all’Italia. Il nostro Paese si candida infatti ad essere il primo a definire punti condivisi, elaborati da un comitato di esperti, da sottoporre al Garante per la privacy per
Ad annunciarlo sono stati gli esperti della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), nel corso di un convegno organizzato a Milano per inaugurare il 35° Congresso ESMO, in programma da oggi al 12 ottobre.
Ogni anno in Italia più di 250mila persone sono colpite da tumore, un dato in costante crescita. Le biobanche custodiscono un’immensa mole di informazioni, un patrimonio di grande rilevanza scientifica. Forniscono strumenti essenziali per la ricerca perché possono favorire significativi avanzamenti nella definizione delle terapie personalizzate, che sono diventate sempre di più il paradigma nella lotta contro il cancro.
Il presupposto per il loro funzionamento è che il malato compia una donazione del proprio tessuto tumorale: un atto non solo solidaristico ma in grado di pronosticare l’evoluzione della patologia oppure predire l’efficacia della terapia.
“Questo tipo di raccolta – ha spiegato Roberto Labianca, oncologo degli Ospedali Riuniti di Bergamo e presidente del Comitato italiano del Congresso ESMO 2010  - si adatta perfettamente allo studio dei tumori, gli unici tessuti patologici che possiedono un genoma (e quindi una costituzione molecolare) diverso da quello dell’individuo di origine e capace di rapida evoluzione”.
In Lombardia sono attive due strutture (a Monza e Vimercate) che si occupano della raccolta di bio-tessuti per lo studio del tumore del colon. E una iniziativa coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Giovanni Paolo II di Bari sulle patologie oncologiche coinvolge 17 centri in tutta Italia ed è finalizzata soprattutto agli aspetti regolatori e alla condivisione di procedure operative standard e di programmi gestionali. 
Il Comitato etico indipendente (CEI) della Fondazione IRCCS Istituto dei Tumori di Milano a partire dal 2008 ha avviato un percorso di consultazione e condivisione di criteri con gli altri CEI disponibili e con diversi attori (ricercatori, esperti di bioetica, giuristi). Il risultato? Un documento che contiene le raccomandazioni per definire i nodi critici. Alla stesura del testo ha offerto un contributo decisivo la Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO). “Oggi vi sono solo alcune indicazioni del Garante della privacy, sottoposte però a interpretazioni giuridiche non univoche – ha sottolineato Francesco De Lorenzo, presidente della FAVO -. È duplice il ruolo dell’autore dell’atto di disposizione: da un lato è donatore, dall’altro utilizzatore delle possibili informazioni, fino a oggi del tutto trascurate, provenienti dalla biobanca per la cura della sua malattia. Vogliamo che la donazione sia resa non solo più semplice, ma anche più sicura e aderente agli interessi dei malati e dei loro familiari. Ciò si traduce in un vantaggio per la ricerca”. 
 
Nel testo elaborato dal comitato di esperti uno dei punti fondamentali è la terzietà delle biobanche: devono essere indipendenti rispetto ai donatori, ai ricercatori (e ai loro sponsor) e alle Istituzioni di ricerca e cura (deve esserne normata l’indipendenza come avviene per i CE). 
Essenziale è facilitare il collegamento e l’accesso, per permettere che nello stesso studio siano utilizzabili campioni provenienti da diverse strutture. La mancanza di questa possibilità, spiegano gli esperti, produce la duplicazione di progetti simili e uno spreco di risorse e di energie, senza una politica di finanziamenti a lungo termine.
Un altro capitolo controverso è quello relativo all’ampiezza del consenso al trattamento dei dati personali. “Lo sviluppo costante della scienza nel settore biomedico – ha aggiunto Paolo Marchetti, membro del Direttivo AIOM – non consente di informare in anticipo il donatore di tutte le possibili indagini scientifiche che potrebbero essere eseguite in futuro sui campioni. Una limitazione che non comporta alcun pregiudizio per gli interessati. Va infatti in ogni caso tutelata la riservatezza dei cittadini coinvolti, che devono essere informati sulle modalità di trattamento dei loro dati”. Inoltre, attraverso vincoli di segretezza e idonei strumenti tecnologici, solo il personale della biobanca potrà associare l’identità dei pazienti con i campioni conservati ed aggiornare i dati clinici.  
“Sarà ovviamente possibile revocare il consenso – ha sottolineato De Lorenzo -. Ciò non può comportare l’obbligo di distruzione del campione nella sua consistenza materiale, ma solo quello di renderlo anonimo, non più identificabile. La donazione in quanto tale non può essere revocabile riguardo alla materialità del tessuto donato, per evitare l’instabilità nel tempo delle biobanche”.
C’è poi un altro aspetto. Come ha spiegato Paolo Casali dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, “anche se il donatore conferisce alcuni poteri di controllo sul campione nella sua consistenza naturale, mantiene però un interesse individuale soprattutto per due aspetti: protezione dei dati personali e disponibilità di informazioni utili per sé o per i familiari. I cittadini che donano i loro tessuti devono poter accedere al patrimonio informativo racchiuso”. È dunque compito della biobanca garantire una adeguata conservazione dei tessuti per un tempo sufficientemente lungo.
“Credo - ha concluso Landi di Chiavenna-  che sul fronte della ricerca scientifica occorra porsi di fronte alle sfide della scienza con animo liberale: non tutto è possibile, ma dobbiamo lavorare affinché il discrimine tra ciò che è fattibile e ciò che non lo è non si fondi su pregiudizi, bensì su sperimentazioni suscettibili di verifica e su quesiti morali posti in modo dialettico, attento, scrupoloso”. 
 



 

08 ottobre 2010
© Riproduzione riservata

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