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Fit For Work. Cresce la spesa economica e socio sanitaria delle malattie muscolo-scheletriche


Tra il 2001 e il 2012 sono state accolte dall'Inps 47.130 nuove domande per assegno di invalidità. E si registra un incremento del 10% dei costi indiretti dovuti alle pensioni di invalidità, passati da 94 mln di euro nel 2009 ai 104 mln nel 2012. Una spesa sottostimata.

04 LUG - Negli ultimi dieci anni circa il 10% del totale delle nuove prestazioni erogate dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale è riconducibile a domande accolte per assegni di invalidità per le patologie muscolo-scheletriche. Non solo: l’onere economico a carico dell’Inps è cresciuto di circa il 10% passando dai 94 milioni di euro spesi nel 2009 ai 104 milioni di euro nel 2012.
Cifre importanti che non considerano però i costi indiretti totali legati a queste patologie. Rimangono infatti escluse dal conteggio le spese afferenti al settore assistenziale (es. pensioni e indennità riferibili all’invalidità civile) e le spese temporanee (trattamenti di malattia).
 
È quanto emerso dai lavori del tavolo economico, tenutosi oggi a Roma, di Fit for Work, progetto internazionale focalizzato sull’analisi del rapporto tra disordini muscolo-scheletrici e mercato del lavoro, coordinato in Italia dall'Associazione malati reumatici (Anmar), da Cittadinazattiva, dalla Società italiana di reumatologia (Sir) e dal Collegioreumetologi ospedalieri italiani (Croi). Al centro del dibattito: l’impatto dei costi sociali e indiretti legati a queste patologie, di cui soffrono circa 4 milioni di italiani, sulla spesa pubblica del nostro Paese.
 
Dall’analisi dei dati provenienti dal settore previdenziale dell’Inps è emerso che, complessivamente, tra il 2001 ed il 2012, sono state accolte 47.130 nuove domande per assegno di invalidità per malattie delle ossa e degli organi di locomozione, con una media per anno pari a quasi 4.000 nuove domande accolte. Questo valore risulta inferiore soltanto al numero totale di assegni di invalidità erogati per neoplasie (118.840) e malattie del sistema circolatorio (96.700) nello stesso periodo. Se si guarda al numero delle prestazioni erogate dal 2001 al 2012, gli assegni di invalidità per le malattie delle ossa e degli organi di locomozione sono stati 165.609, con una media di 13.801 prestazioni erogate all’anno e un valore percentuale pari a circa il 12% del totale degli assegni di invalidità erogati in questo periodo. Anche in questo caso il valore degli assegni stanziati per malattie muscolo-scheletriche risulta inferiore solamente a quello registrato per le patologie legate al sistema circolatorio (318.563) e alle neoplasie (316.706).
 
Dati, sottolinea il tavolo, sicuramente con una stima a ribasso dei costi indiretti totali legati alle patologie muscolo-scheletriche. Sono stati infatti considerati unicamente le spese afferenti al settore previdenziale dell’Inps, completamente telematizzate da anni e per questo di facile analisi, mentre rimangono escluse dal conteggio le spese afferenti al settore assistenziale (es. pensioni e indennità riferibili all’invalidità civile) e le spese temporanee (trattamenti di malattia) solo recentemente telematizzate e ancora soggette a problemi di codifica nosologica, nonché i costi di competenza Inail e tutti quei costi, a carico delle imprese, relativi alle assenze per malattia ma anche e soprattutto le perdite di produttività riconducibili al fenomeno del presenteismo.
 
“I risultati di questa prima analisi – ha spiegato Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria dell’Università Tor Vergata di Roma – sono sufficienti a farci comprendere la portata, tanto economica quanto socio sanitaria, delle malattie muscolo-scheletriche anche per quanto attiene i costi indiretti, in particolare riferiti al sistema previdenziale, che potrebbero ridursi mediante l’adozione di corrette politiche di prevenzione accompagnate da cure efficaci ed appropriate”
 
Sempre sul fronte dei costi indiretti, ancora poco esplorato è il fenomeno del turnover. Una tematica che sarà approfondita nell’ambito dei lavori del tavolo economico del programma Fit for Work Italia. Alcuni studi d’oltreoceano dimostrano che le percentuali del costo del turnover possono variare dal 75 al 200% dello stipendio del lavoratore uscente. In particolare, secondo uno studio statunitense, la sostituzione di un membro competente dello staff corrisponderebbe all’incirca ad un anno di stipendio di questo lavoratore (Thomas, 2010). Un’altra analisi si spinge anche oltre distinguendo i costi del turnover sulla base del livello di esperienza del lavoratore. Secondo tale schema una risorsa entry level che lascia il proprio impiego avrà un peso economico pari al 30-50% del suo stipendio annuale, percentuale che sale al 150% nel caso di una risorsa mid-level e raggiunge il 400% del salario annuale per un high-level (Blake, 2006).
 
“È da considerare che tali stime appartengono al contesto americano – ha evidenziato Sergio Iavicoli, Direttore Dipartimento di Medicina del Lavoro, Inail-settore ricerca – e sono quindi di difficile traslazione nel quadro giuridico ed economico italiano. La produzione di stime di livello nazionale è tuttavia di grande importanza al fine di accrescere la consapevolezza della problematica e permettere lo sviluppo di azioni tese a contenere il fenomeno Allo stesso tempo è necessario compiere sforzi in tre principali direzioni. La prima riguarda l’inclusione di tali problematiche nel sistema di gestione di prevenzione aziendale, affinché vengano compiute azioni per la prevenzione degli abbandoni precoci dovuti a disabilità. La seconda riguarda la customizzazione di interventi basati sulle caratteristiche e i mutamenti della forza lavoro italiana. Infine, è necessario sviluppare e offrire approcci multi-disciplinari al fine di contribuire allo sviluppo di sistemi integrati di gestione della salute e sicurezza sul lavoro”.

04 luglio 2013
© Riproduzione riservata

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