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Ictus, quello sconosciuto


Meno della metà degli italiani sa esattamente che cos’è un ictus, tre su quattro ignorano cosa sia la trombolisi, cinque su sei non sanno il significato di stroke unit. Questi i risultati di un’indagine condotta da A.L.I.Ce. Italia Onlus, Censis e Università di Firenze.

28 OTT - Uno ogni sei secondi. È con questa frequenza che si verificano gli ictus nel mondo. E domani, la VI Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale, cercherà di ricordare l’importanza di prevenire un evento che ogni giorno colpisce 600 persone in Italia e che nel mondo ne uccide ogni anno 6 milioni, più di Aids, tubercolosi e malaria messi insieme.
“Ciò che emerge infatti nella popolazione è purtroppo la scarsa conoscenza di cosa sia un ictus, come si manifesti e quanto sia importante il ricovero in ospedale il prima possibile”, ha sottolineato Maria Luisa Sacchetti, presidente della Federazione A.L.I.Ce. (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) Italia Onlus.
La conferma delle parole di Sacchetti viene da una ricerca realizzata da A.L.I.Ce. Italia Onlus, Censis e Università degli Studi di Firenze che ha indagato la conoscenza dell’ictus e i costi che gravano sui malati e i loro congiunti. Il 77 per cento degli italiani pensa di sapere cosa sia un ictus, ma tra loro è solo il 55,8 per cento a identificarlo correttamente come una malattia del cervello, mentre il 14,2 ritiene che sia un tipo di infarto cardiaco e l‘11,6 lo considera una malattia del sangue. I sintomi specifici dell’ictus vengono identificati con maggior precisione: il 68,7 per cento indica l’improvvisa paralisi di un lato del corpo come uno di essi, mentre il 58,8 fa riferimento all’improvvisa difficoltà a parlare o a comprendere quello che ci viene detto. Soltanto l’11 per cento riconosce però nel problema di vista o cecità improvvisa un sintomo dell’ictus. Tuttavia “è soprattutto la mancata conoscenza dell’importanza enorme che possono avere l’instaurazione tempestiva della trombolisi (il 26,2% sa cos’è) e l’invio a una stroke unit (è appena il 15,0% a sapere di cosa si tratta) a costituire un dato preoccupante”, ha affermato Ketty Vaccaro, Responsabile Welfare e Salute del Censis. Sono queste, infatti, “le misure terapeutiche che possono ridurre in modo decisivo i danni dell’ictus”.
L’indagine ha mostrato inoltre come il carico assistenziale connesso all’ictus ricada soprattutto sulle famiglie: i caregiver convivono con i pazienti nel 66,2 per cento dei casi, comunque li vedono per 6,6 giorni a settimana e prestano mediamente loro 6,9 ore al giorno di assistenza diretta. “L’impatto dell’assistenza sulla loro vita – ribadisce Vaccaro – è assolutamente dirompente: il 55,7 per cento non ha più tempo libero e nel 77,8 per cento dei casi indicano che la qualità della loro vita è peggiorata, o molto peggiorata, a causa dell’onere assistenziale. Il 72,1 per cento - ha aggiunto - si sente stanco e uno su quattro soffre di depressione”. Il supporto principale all’assistenza giunge dalle badanti, cui ricorre il 38,7 per cento delle famiglie, ma che comporta per esse una spesa assolutamente non irrilevante, pari in media a 830 euro mensili.
“Data l’enorme incidenza della malattia, il grave handicap personale e i costi così elevati per la società il problema ictus meriterebbe di essere affrontato con più attenzione”, Domenico Inzitari, professore di Neurologia presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Università di Firenze. “Nel nostro Paese non si fa prevenzione,  soltanto il 40 per cento delle persone colpite da ictus arriva in ospedale entro le prime 3 ore e, una volta dimessi dall’ospedale, i pazienti non sanno cosa fare perché non esiste un percorso di riabilitazione definitivo. La mancanza d’informazione fa sì che l’ictus abbia conseguenze più gravi di quelle che già comporta”. 

28 ottobre 2010
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