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Usa. Pena di morte e farmaci “introvabili”. Medici e farmacisti sotto accusa. E domani un'altra esecuzione a rischio "agonia"

di Maria Rita Montebelli

Dopo l’esecuzione di Dennis McGuire con un’iniezione letale che gli ha provocato un’agonia di 13 minuti, è esploso il problema della fornitura dei farmaci tradizionalmente usati nelle esecuzioni. Quelli “vecchi” e sperimentati non li vuole vendere più nessuno per motivi etici e i “nuovi” danno problemi. Ma le autorità sembrano prendersela con gli operatori sanitari “poco collaborativi”

28 GEN - Il 16 gennaio scorso è andata in scena una delle pagine più brutte e drammatiche della giustizia americana. Ci sono voluti tredici minuti di agonia, tra convulsioni e crisi di soffocamento, perché la vita lasciasse per sempre il corpo di Dennis McGuire, arrivato nel braccio della morte, dopo aver confessato di aver violentato e poi assassinato una donna, incinta di sette mesi. Così, giusto a titolo di cronaca, vale la pena ricordare che l’Ottavo Emendamento degli Stati Uniti vieta di fare ricorso a “pene crudeli e inusitate” (cruel and unusual punishments); questo tipo di esecuzione insomma sarebbe non conforme alla Costituzione stelle e strisce.
 
McGuire è stato il primo condannato a morte americano, giustiziato seguendo un nuovo protocollo di iniezione letale: il sedativo midazolam e l’antidolorifico idromorfone, al posto dei barbiturici (thiopental, pentobarbital), utilizzati negli ultimi anni a questo scopo.
Un infelice cambio di direzione, del quale sono in parte ‘responsabili’ alcune industrie del farmaco americane e del Vecchio Continente.
Hospira, l’unica industria statunitense produttrice di thiopental, lo ha tolto di produzione dal 2009 perché veniva utilizzato per le esecuzioni capitali nei 35 Stati Usa dove venivano praticate. In una nota pubblicata su Nature esattamente 3 anni fa, viene ricordato che Hospira ha preso questa decisione dopo aver giocato la sua ultima carta: spostare la produzione di thiopental in Italia (esattamente a Liscate, vicino Milano); ma non potendo dare garanzie alle autorità italiane che il barbiturico di produzione tricolore non venisse più utilizzato per le condanne a morte, alla fine ha gettato la spugna.
Nello stesso periodo, anche Dream Pharma, un’azienda londinese produttrice di thiopental, ha rifiutato di esportarlo oltre-oceano per evitare che il suo farmaco fosse utilizzato dal boia. La stessa cosa è stata fatta dalle aziende tedesche. Come dire, il mondo del commercio è global, ma costumi e morale, restano assolutamentelocal.
 
E’ stato allora che è cominciata la corsa al pentobarbital, come sostituto del thiopental, il barbiturico della morte per eccellenza. Ma anche in questo caso, di certo per nobili intenti, ma naturalmente anche per immagine, la danese Lundbeck nell’estate del 2011 ha deciso di bloccare la vendita del suo pentobarbital negli Stati Uniti, qualora non le fossero state date garanzie che ne venisse evitato l’uso ‘off-label’ nel braccio della morte. La distribuzione del farmaco di fatto non è stata mai interrotta, perché l’azienda danese è riuscita ad ottenere che i distributori non vendessero più il barbiturico ai penitenziari.
 
Ironia della sorte, il pentobarbital continua ad essere abitualmente utilizzato per il suicidio medicalmente assistito non solo in Olanda e in Svizzera, ma anche in alcuni Stati americani (l’eutanasia è stata legalizzata in Oregon, Vermont, Montana e nello stato di Washington, mentre rimane illegale nel resto degli Stati Uniti).
Il pentobarbital inoltre viene comunemente utilizzato in tutto il mondo anche per l’eutanasia animale. Per questo, le ultime esecuzioni capitali (Kenneth Hogan lo scorso 24 gennaio e Michael Lee Wilsonil 9 gennaio), eseguite in Oklahoma con questo barbiturico, sono state additate dalla stampa internazionale come ‘una morte da animali’. Ma le scorte di questo farmaco sono ormai agli sgoccioli nei penitenziari USA e, come visto, il nuovo protocollo (midazolam 10 mg i.m. e idromorfone 40 mg i.m.) non garantisce certo una morte migliore.
 
La colpa è dei medici – si difende lo Stato dell’Ohio – che, per non tradire il giuramento di Ippocrate ed essere additati come paria dai loro pari, non danno una mano a mettere a punto protocolli di esecuzione più dolcemente letali. E certo, non gli si può dare torto, visto che l’American Medical Association ha proibito ai suoi membri non solo di prendere parte alle esecuzioni capitali, ma anche solo di ‘prescrivere’ i farmaci necessari per la procedura.
 
Domani un'altra iniezione letale
Ma intanto nuovi protagonisti si stanno affacciando alla ribalta. Herbert Smulls è il prossimo dead man walking; per lui, l’appuntamento con la morte è fissato per il 29 gennaio prossimo in un penitenziario del Missouri. La sua legale, Cheryl Pilate, nel tentativo di ritardarne l’esecuzione, ha denunciato il Department of Correction per aver violato le leggi dello Stato e quelle federali, con tanto di lettera inviata all’FDA. Il motivo? Il pentobarbital per l’iniezione letale sarebbe stato acquistato presso una compounding pharmacy dell’Oklahoma, che non ha la licenza per vendere farmaci allo Stato del Missouri. Senza contare il fatto – afferma in un affidavit il farmacologo Larry Sasich – che in quello stato il farmaco viene conservato a temperatura ambiente (e non in frigorifero), cosa che crea un grave rischio di contaminazione e potrebbe essere causa di dolore straziante durante l’esecuzione. E naturalmente, il farmaco non avrebbe potuto essere venduto se non dietro presentazione di una ricetta medica. Insomma un gran pasticcio causato – ma guarda un po’ – da medici e farmacisti.
 
Il rapporto annuale del Death Penalty Information Center (DPIC), continua a far registrare una netta riduzione nelle esecuzioni capitali comminate negli Usa (la parte del leone, con 16 e 7 condanne a morte, è spettata rispettivamente a Texas e Florida): nel 2013, c’è stata una flessione del 10% rispetto all’anno precedente e un crollo del 60% rispetto al 1999; il numero degli Stati che ha abrogato la pena di morte infine è salito a 18.
 
In ogni caso sono state comunque 39 le sentenze capitali comminate l'anno scorso. Di cui chissà quante avranno dovranno fare i conti con questo nuovo “problema”.
 
Maria Rita Montebelli

28 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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