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Intervista a Lord Nat Wei, l'uomo della "Big Society" che ha stregato Cameron


Abbiamo incontrato Lord Nat Wei, responsabile per il Governo britannico del programma "Big Society", oggi a Roma per illustrare la riforma del welfare basata su una società civile sempre più attiva. Un grande progetto ma sul quale predominano molte incognite. "Per vederlo compiuto - ci ha detto Nat Wei - potrebbero essere necessari anche più di 60 anni”.

24 FEB - Più potere ai cittadini coinvolgendoli nell’amministrazione del Paese e nell’erogazione dei servizi pubblici (anche in ambiti importanti come la sanità, trasporti pubblici, la sicurezza e l’istruzione) allo scopo di responsabilizzarli ed esaltare il loro spirito di iniziativa. Ma anche di realizzare cospicui risparmi per lo Stato, realizzando, con il tempo, un massiccio trasferimento di poteri e doveri alle comunità locali e alle organizzazioni civili. Ma a tutto beneficio dei cittadini, assicura il Governo inglese. Perché le persone conoscono bene i loro problemi e spesso sanno risolverli meglio di quanto possa fare un il livello centrale.
È intorno a tutto questo che ruota la Big Society, il grande progetto di riforma del Welfare del Governo di David Cameron.

Per illustrarne i principi, la Fondazione Roma ha invitato oggi a parlarne Lord Nat Wei, responsabile per il Governo britannico del programma Big Society.
Genitori cinesi, 33 anni, Lord Wei è il più giovane membro della Camera dei Lord del Parlamento inglese. “Ci sono tre presupposti da cui partire per comprendere le ragioni di questa riforma”, spiega.
“La prima è la mancanza di fiducia nelle istituzioni. Solo 2 inglesi su 5 si dicono soddisfatti de i servizi pubblici e la fiducia nei confronti del Governo è ai livelli più bassi mai raggiunti dopo la Seconda Guerra mondiale”. Insomma, se gli inglesi non si fidano delle istituzioni, che siano loro ad occuparsi della “cosa pubblica” e attraverso la valorizzazione delle loro competenze, del loro spirito di iniziativa e del loro legame con quel territorio, quel servizio, quel bene comune.

Ma c’è altro. “In Inghilterra ci sono disuguaglianze sociali molto forti e un’ampia fascia della popolazione vive in condizioni di disagio. Le dimissioni ospedaliere alcol correlate sono cresciute del 5,7% dal 2006 al 2009”. La Big Society, spiega l’esperto del governo britannico, permetterà a tante persone in difficoltà non solo di essere aiutate, ma anche di diventare protagoniste di tutta una serie di attività che gli permetteranno di guadagnare qualche soldo, di sviluppare competenze, di spezzare quell’emarginazione in cui si trovano oggi.

Terzo presupposto: la crisi economica, che impone sfide e cambiamenti, anche considerato come lo sviluppo industriale si sia ormai spostato nell’Est del mondo rendendo ancora più difficile la ripresa economica nei Paesi occidentali. Cosa fare, allora? Se i finanziamenti statali sono destinati a diminuire, la risposta ai bisogni dei cittadini sta nella sussidiarietà.

E così, lo Stato si fa da parte e saranno le comunità locali, raccolte in cooperative o associazioni di volontariato a gestire tutta una serie di servizi pubblici di cui oggi si occupa lo Stato. E lo faranno attraverso i fondi messi a disposizione dalla “Big Society Bank” (che nell’idea del Governo sarà in parte finanziata attraverso i conti correnti dormienti di cui nessuno rivendica la titolarità da 15 anni) o attraverso fondi creati dai cittadini stessi.
Questo permetterà alla comunità civile di poter essere artefice del proprio destino, di rispondere agli specifici bisogni della loro realtà territoriale, di preservare la loro storia e di immaginare il loro futuro. Ma permetterà anche allo Stato di ottenere notevoli risparmi. “Le nostre stime parlano di risparmi che variano dall’8 al 15%, a seconda della tipologia di servizi. Risorse che il Governo potrà poi investire di nuovo in interventi ed attività a vantaggio della Big Society”.

Principi senz'altro innovativi. Forse troppo, tant'è che la riforma prospettata da Cameron, a leggere molti resoconti sulla stampa britannica, non sembra convincere del tutto gli inglesi, secondo i quali la Big Society è una bella maschera dietro la quale si nascondono pesanti tagli. Il timore è che i cittadini si troveranno con molti meno servizi e di qualità inferiore a quelli su cui possono contare oggi. A mantenere un certo pessimismo è anche la vaghezza, di cui si accusa il Governo Cameron, sugli strumenti che dovrebbero permettere di realizzare questa "perfetta" società civile.

Lord Wei, in certi casi si parla di servizi molto importanti, come quelli sanitari. Il Governo avrà un ruolo regolatore e di verifica della qualità dei servizi che le “imprese di cittadini” riusciranno ad erogare e per garantire che non vi siano aree critiche abbandonate perché i cittadini non vogliono investirvi le proprie forze?
Io credo che la grande sfida della Big Society sia proprio quella del ruolo dello Stato e di come viene esercitato questo ruolo in termini di garanzia di uguaglianza nei servizi forniti ai cittadini. Ma la Big Society è un progetto in divenire, che ogni giorno cambia per rispondere agli elementi che emergono. Ed è un progetto che vogliamo realizzare con i cittadini. Consapevoli che per vederlo compiuto potrebbero essere necessari anche di 60 anni”.
Abbiamo una tela molto ampia sulla quale stiamo operando, soprattutto nel settore dei meno abbienti, per liberare delle risorse, che sono limitate, nelle aree dove ce ne è più bisogno. In Inghilterra ci sono settori che hanno bisogno di più solidarietà e settori che ne hanno meno bisogno. Credo che dare alla società un ruolo da protagonista nelle aree di fragilità porterà un incremento della qualità dei servizi offerti. Soprattutto in quei servizi dove il Governo non può o non vuole agire.
La Big Society chiaramente deve confrontarsi con gli obiettivi del Governo e con quelli dei cittadini. Ma non c’è una comunità che possa agire senza il supporto del Governo.

Secondo quali criteri i fondi della Big Society Bank verranno assegnati ai progetti presentati dai cittadini?
La Big Society Bank gestirà solo denaro da investire nel settore sociale, ma non sarà in diretto contatto con i cittadini o con gli enti caritatevoli. La Big Bank Society agirà attraverso le piccole banche locali, che poi assegneranno i fondi ai vari progetti in modo da rispondere alle necessità locali.

Quali saranno i prossimi passi?
Ci sono tre settori, in particolare, su cui ci stiamo già concentrando. Uno è l’aggiornamento e la riforma dei servizi civili, poi il miglioramento della struttura legale e normativa in materia di “impresa sociale”, e l’individuazione di strumenti finanziari, come le agevolazioni fiscali e una nuova politica degli investimenti da parte delle banche.
Il percorso è lungo e difficile, ma citando Margaret Meade, “Mai dubitare del fatto che un piccolo gruppo di persone consapevoli e attente possa cambiare il mondo. Infatti è sempre stato l'unico modo per riuscirci”.

L.C.


 

24 febbraio 2011
© Riproduzione riservata

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