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Epatite C: più di 10mila morti l’anno. Eppure gli italiani la ignorano


Circa due milioni di italiani convive con l’epatite C, la causa principale di mortalità per cirrosi e carcinoma epatico e l’indicazione più frequente al trapianto di fegato. Eppure è scarsa la percezione della diffusione e della gravità dell’infezione. È quanto emerso dall’indagine “Epatite C percezione e conoscenza”, commissionata da Donneinrete Onlus e Women in Hepatology e condotta da Swg e Health Communication, presentata oggi a Roma alla Camera dei Deputati. Lanciata anche la campagna “Per salvare il fegato non ci vuole fegato. Solo un test”.

02 MAR - Oltre 10mila decessi e 3mila nuovi casi ogni anno. Ben due milioni di persone infette in Italia. Eppure di fronte a questi dati la conoscenza degli italiani si caratterizza per lo più con nozioni generiche, pregiudizi e luoghi comuni. Infatti, benché la popolazione si ritenga informata e sia consapevole che esistono tre o quattro tipi di epatite e che l’organo più colpito sia il fegato, la loro competenza si sfalda quando si va a scavare più a fondo.
Lo dimostra l’indagine “Epatite C percezione e conoscenza”, commissionata da Donneinrete Onlus e Women in Hepatology e condotta da Swg e Health Communication, presentata oggi a Roma alla Camera dei Deputati.
Solo un italiano su cinque ha percezione della reale diffusione dell’infezione e molti, tra quanti vivono da vicino la malattia, non hanno idea di quale sia stata la fonte del contagio. In assenza di informazioni, poi, si continuano a temere le trasfusioni e i contatti con persone infette. Nonostante ciò, l’epatite C non è considerata fonte di preoccupazione dalla popolazione ed è surclassata da malattie come la demenza senile e più rare come la sclerosi multipla. Gli italiani però (soprattutto le donne) sono ben consapevoli della necessità di ricevere più informazioni.
Uno scenario allarmante sul quale le due Associazioni hanno voluto puntare i riflettori non solo per portare alla luce il livello di informazione tra la popolazione italiana, ma anche per tutelare la salute delle donne che chiedono maggiori informazioni su questa patologia. Per questo DonneinRete e Women in Hepatology promuoveranno attraverso la stampa, portali web, radio e tv una campagna sociale dal titolo “Per salvare il fegato non ci vuole fegato. Solo un test”. Rivolgiti al tuo medico, alla tua Asl o informati su: www.donneinrete.net. Per l’occasione è stato inoltre realizzato, per Donneinrete, un video dell’Associazione TooGeniusFreaks www.toogeniusfreaks.it.
Alla campagna hanno aderito i parlamentari Fiorenza Bassoli, Laura Bianconi, Franca Biondelli, Rossana Boldi, Gianni Mancuso e Ignazio Marino.
“Ci sono tre elementi particolarmente critici che suggeriscono una attenzione speciale all’universo femminile – spiega Rosaria Iardino, presidente di Donneinrete - il primo è la tradizionale minore attenzione delle donne, soprattutto se madri di famiglia non più giovanissime, a prendersi cura della propria salute. Il secondo elemento riguarda il problema dell’alcolismo. Un abuso che quando interessa le donne rimane celato tra le mura domestiche. Il terzo elemento è dato dal fatto che l’infezione da Hcv può avere ripercussioni al momento della gravidanza e del parto, aspetto di cui le donne devono essere consapevoli”.
Ci sono poi le differenze di genere che impongono nuovi approcci alla malattia.
“È fondamentale definire – sottolinea Erica Villa, Presidente di Women in Hepatology e professore ordinario di gastroenterologia all’Università di Modena e Reggio Emilia – quelle che sono le esigenze della donna in termini di necessità di cura e di protocolli dedicati. In sostanza è prioritario arrivare a un riconoscimento della diversità di genere, anche nello studio dell’Hcv. Da studi scientifici è emerso, ad esempio, che la menopausa modifica drasticamente la risposta alla terapia con interferone nell’epatite C rendendo la donna resistente alla terapia. Non solo, la malattia dopo la menopausa diventa rapidamente più severa in quanto si perde la protezione contro lo sviluppo del tumore assicurata alla donna fino a quando è in età fertile. Ecco perché è essenziale che tutti gli studi vadano ripensati in termini di valutazione dello stato riproduttivo”.
Sulla stessa linea Flavia Franconi, professore ordinario di farmacologa all’Università di Sassari e presidente italiano di Salute e Genere: “Le diversità di genere sono importanti anche quando ci troviamo in presenza di malattie infettive, soprattutto viste le molte difformità a livello epatico tra il mondo femminile e quello maschile come comprovato da studi scientifici. È quindi possibile ipotizzare che esistano anche differenti reazioni alle infezioni da epatite C. Di sicuro c’è una maggiore incidenza di effetti collaterali tra le donne rispetto agli uomini, soprattutto relativamente all’anemia e anche una diversa risposta vaccinale nelle donne che rispondono più dell’uomo. Ma tutto questo va indagato”.

I risultati dell’indagine

Conoscenza e percezione della malattia.
In questo momento storico la salute pubblica e le malattie non sono una priorità per gli italiani. Soltanto un quinto (in particolare le donne) se ne preoccupa, mentre più forti sono i timori per la crisi economica e la disoccupazione. Tra le malattie più temute, il cancro svetta in testa a ogni classifica: è in assoluto la malattia che fa più paura, seguita dalla demenza senile, dalla sclerosi multipla e dall’Aids. Mentre l’epatite, considerata tra le patologie più diffuse nel mondo solo da due intervistati su dieci, non viene percepita come pericolosa. Non è perciò considerata fonte di preoccupazione per nessuno degli intervistati, nonostante la maggioranza dichiari di saperne molto sull’epatite C e la ritenga tra tutte le forme di epatite la più temibile. E così il 48 per cento della popolazione interpellata si ritiene informata o molto informata sull’epatite, e il 44 per cento si dichiara poco informata. Soltanto il 12 per cento dice di non saperne nulla. Tre persone su quattro sanno che esistono tre o più tipi di questa malattia: una percentuale che oscilla tra il 65 per cento e il 71 per cento dichiara di aver sentito parlate di epatite A, di epatite B e di epatite C. La maggioranza assoluta sa che l’organo colpito è il fegato. La gran parte ritiene che sia abbastanza grave contrarre l’epatite in forma A (46 per cento) e B (65 per cento), mentre ben la metà (50 per cento) crede che sia molto grave prendere l’epatite C.

Le modalità di trasmissione.
Trasfusioni di sangue e trapianti, uso di siringhe o aghi infetti, così come l’effettuazione di piercing e tatuaggi e i rapporti sessuali senza preservativo, sono le principali vie di contagio indicate dagli intervistati e quelle che spaventano di più. Ma c’è anche chi pensa sia possibile contrarre l’epatite C attraverso l’uso comune di bicchieri o stoviglie, di servizi igienici e docce, così come con la puntura di zanzara o con un bacio e persino attraverso il contatto con mani sudate, con colpi di tosse e starnuti. Tossicodipendenti, prostitute, persone ricoverate in ospedale, personale medico-sanitario e donatori di sangue sono le prime cinque categorie ritenute a maggior rischio di contagio. Seguono omosessuali, adolescenti, e clienti di centri di estetica (manicure, ecc.). Ma circa tre persone su dieci pensano che indistintamente tutte queste categorie corrano pericoli. Un quinto degli intervistati ha conosciuto direttamente la malattia perché contratta in prima persona o perché ha colpito un familiare, e la maggioranza afferma che si trattava proprio di epatite C. Ma ben un terzo non ha saputo indicare come sia avvenuto il contagio. Per tutti gli altri la fonte è da attribuire a intossicazioni alimentari (in molti casi frutti di mare), trasfusioni e/o operazioni in ospedale o dal dentista.

Paure e stereotipi.
L’epatite C non spaventa gli italiani che hanno una visione della malattia spesso ancorata a notizie non sempre veritiere e a stereotipi. La maggioranza della popolazione (il 59 per cento) ha infatti dichiarato di avere poca o nessuna paura di essere contagiato. E il restante 41 per cento, che è invece molto o abbastanza spaventato per sé o per la propria famiglia, è composto soprattutto da donne e da residenti del Sud Italia, dove forse più spesso si sente parlare di episodi di malasanità. Il 62 per cento degli intervistati concorda sul fatto che le trasfusioni sono pericolose in quanto si può contrarre l'epatite (la pensano così soprattutto le donne, il 67 per cento). Il 62 per cento afferma che epatite e tossicodipendenza vadano di pari passo e il 52 per cento che la prostituzione straniera favorisca la diffusione dell’epatite. E tre persone su dieci ritengono che l'omosessualità sia la principale causa del diffondersi dell'epatite.
 
Quali cure.
In base alle loro conoscenze, poco più di un terzo degli intervistati (il 34 per cento) pensa che esistano farmaci e cure in grado di rallentare il decorso della malattia, ma senza curarla. Poco meno di un terzo (il 26 per cento) che l’epatite si possa prevenire grazie ad un vaccino. Il 17 per cento ritiene invece sia possibile curarla definitivamente, e il 4 per cento è convinto che non esista nulla di tutto questo. Il 19 per cento non sa. Comunque, per il 40 per cento degli intervistati occorre investire sull’educazione e sulla prevenzione per sconfiggere questa patologia; il 17 per cento punta invece sulla ricerca. Ma la maggioranza pensa che entrambe siano le carte vincenti.
 
Quale informazione.
È infine opinione diffusa che l’informazione fornita finora sull’epatite sia stata largamente insufficiente, in particolare la quasi totalità degli intervistati (circa il 90%) vorrebbe avere più notizie proprio sull’epatite C. In particolare, gli italiani vorrebbero ricevere maggiori chiarimenti sui sistemi di prevenzione e su come avviene il contagio (rispettivamente il 60 e il 56 per cento). Chiedono notizie sugli effetti e sui sintomi della patologia e sono soprattutto le donne a formulare questa richiesta (il 40 per cento). E sempre dalla popolazione femminile arriva una forte domanda di informazioni sulla possibilità di terapie e sugli effettivi rischi di contagio in Italia.

02 marzo 2011
© Riproduzione riservata

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