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Foresti (Assogenerici): dai biosimilari risorse per l’innovazione


Un convegno di Assogenerici richiama l’attenzione sui farmaci biotech senza protezione brevettuale: medicinali ancora sottoutilizzati in Italia che potrebbero non solo fornire importanti strumenti di cura per malattie gravi ma anche costituire una notevole fonte di risparmio per la spesa sanitaria regionale.

24 MAR - Un problema che, al momento, interessa un mercato ancora ristretto nel nostro Paese. Ma che nel prossimo quadriennio potrebbe offrire un sostegno davvero robusto sia sul piano terapeutico, sia su quello economico, all’assistenza farmaceutica in Italia. Stiamo parlando dei farmaci biotecnologici e di quelli conosciuti come biosimilari, in sostanza medicinali biotech senza più protezione brevettuale. Il sostegno a cui si accennava sta nel fatto che entro il 2015 agli attuali quattro principi attivi biosimiliari (somatropina, epoietina alfa, epoietina zeta, filgrastim) che hanno ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, se ne dovrebbero aggiungere altri 45 (molti anticorpi monoclonali, per esempio). Secondo stime elaborate da Assogenerici, l’Associazione che rappresenta le aziende produttrici di farmaci con brevetto scaduto, se nel territorio della UE gli attuali biosimiliari fossero utilizzati come alternativa ai sette farmaci biotech “tradizionali”, se ne potrebbe ricavare un risparmio di oltre 2 miliardi di euro l’anno. Una prospettiva allettante per le casse in crisi dei vari sistemi sanitari nazionali. E che qualcuno dei nostri partner europei ha già iniziato a cogliere, mentre in Italia solo un paziente su mille viene curato con un biosimilare.

Questi dati sono stati ribaditi nel corso del convegno “Farmaci biotecnologici e Governance - Due modelli a confronto: Campania e Toscana”, organizzato oggi a Roma proprio da Assogenerici. Un’occasione non solo per esaminare quale sia lo stato dell’arte di questa particolare tipologia di medicinali nel nostro Paese, ma anche per cercare di diffondere maggiori informazioni sulla loro utilità in campo terapeutico ed economico. A farlo è stato Armando Genazzani, docente di Farmacologia della facoltà di Farmacia dell’Università del Piemonte Orientale. Che, nel suo intervento, ha spiegato come, in sostanza, nel settore delle biotecnologie applicate ai farmaci, non sia possibile determinare una totale e completa uguaglianza tra un farmaco e l’altro: un principio che vale per i biosimilari ma, anche e soprattutto, per gli stessi farmaci originatori. Questi, infatti, come ha  sottolineato, sono diversi tra loro per tutta una serie di microeterogeneità riscontrabili nei vari processi di produzione. E, allo stesso modo, lo sono i biosimilari. In parole povere, uguali anche nella diversità. A dimostrarlo ci sono studi e ricerche, ma anche la copiosa documentazione prodotta da organismi internazionali quali, ad esempio le linee guida in materia di biotech dell’ICH (International Conference on Harmonisation) nella quale confluiscono oltre alla Fda americana, la nostra Ema e l’Autorità regolatoria giapponese. Il biosimiliare, dunque, non si propone come la copia esatta del suo originatore (che , a sua volta, può presentare variazioni da loto a lotto): proprio per questo deve seguire una procedura autorizzativa particolarmente complessa pressoché uguale a quella necessaria per un farmaco nuovo.
Da qui nascono spontanee la perplessità sulle difficoltà che questi farmaci incontrano nel nostro Paese dove solo poche realtà regionali prevedono gare per l’acquisto dei farmaci ospedalieri con condizioni paritarie tra biosimilari e originatori. Senza contare il “disinteresse” mostrato da olti medici nella prescrizione di questi medicinali.

E l’incontro romano ha voluto proporre un sintetico panorama di quanto è accaduto – e accade – in due Regioni profondamente differenti sul piano della gestione della spesa sanitaria – Campania e Toscana – ma accomunate dalla volontà di far guadagnare spazio a medicinali che potrebbero assicurare risparmi sostanziosi, nell’ordine del 30%, senza modificazioni sostanziali dei cicli di terapia dei pazienti. Anche questo un elemento non da poco, se si considera che la spesa farmaceutica ospedaliera del 2010 ha registrato uno sfondamento di 1,6 miliardi di euro e che tra i medicinali che hanno maggiormente contributo a questa situazione, le eritropoietine occupano il secondo posto.
Anche per questo Campania e Toscana, anche grazie al sostegno tecnico-scientifico dell’Ema e della stessa Agenzia italiana del farmaco (secondo la quale per i pazienti mai trattati in precedenza o naive non si giustifica alcuna prudenza prescrittiva), in merito ai requisiti di sicurezza ed efficacia sulla qualità, sicurezza ed efficacia del prodotto, hanno scelto percorsi che individuano nei farmaci biosimilari una preziosa opportunità di rafforzare il sistema di governance della loro spesa sanitaria.
La Campania, in particolare ha emanato due provvedimenti (Decreti 15/2009 e 44/2010) che puntano a ottenere, attraverso l’uso dei farmaci biosimilari, un obiettivo di risparmio medio per costo terapia di almeno il 40%. 
La recente Delibera 592 del 7 giugno 2010 della Regione Toscana, invece, si fissano specifiche modalità per le procedure pubbliche di acquisto  dei medicinali biologici che, di fatto, eliminano ogni differenza tra originatori e biosimilari. E, al tempo stesso, impongono al medico che prescriva un farmaco diverso da quello che si è aggiudicato la gara, di motivare le ragioni della sua scelta. In proposito, nel corso dell’incontro romano, sono stati comunque ricordate le varie controversie sorte nei tribunali amministrativi intorno a queste scelte regionali. Controversie che sono state in gran parte risolte  a favore delle Regioni, non solo dai vari Tar ma anche dal Consiglio di Stato.

Si tratta di conclusioni che hanno visto un’ampia condivisione da parte dei partecipanti al convegno, nel corso del quale è stata anche più volte ricordata la recentissima segnalazione inviata dall’Antitrust  al Parlamento con la quale si consiglia l’adozione nelle gare pubbliche d’acquisto relative a farmaci biotech originatori e biosimilari, del principio di equivalenza terapeutica, mettendo questi farmaci tutti sullo stesso piano. Come ricorda l’Antitrust nella citata segnalazione, divieti in tal senso sarebbero “sproporzionati”  rispetto alla tutela della salute pubblica. E comunque si concretizzerebbe un “ingiustificato restringimento della concorrenza” a tutto danno della spesa pubblica.  Ma anche dell’innovazione che si troverebbe dinanzi  a un mercato senza risorse.
Lo ha ben ricordato Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici: “L'uso del generico equivalente e del biosimilare consente di generare risorse per l’innovazione: è oggi di dominio pubblico che i farmaci biologici sono e saranno sempre più utilizzati per il trattamento di patologie invalidanti e rischiose per la vita del paziente, come ad esempio la sclerosi laterale amiotrofica (conosciuta come SLA o morbo di Lou Gehrig): il trattamento di tali patologie ha un costo elevatissimo e sarà accessibile ai molti pazienti che ne sono affetti solo quando si provvederà a razionalizzare la spesa favorendo l’introduzione dei farmaci biosimilari”.
 

24 marzo 2011
© Riproduzione riservata

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