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Speciale QS. La sanità a L’Aquila a due anni dal terremoto


Quotidiano Sanità è tornato a visitare le strutture sanitarie del territorio aquilano colpito dal sisma del 6 aprile 2009.  La situazione è migliorata ma il ritorno alla normalità appare ancora lontano. L’ospedale cittadino funziona al 70% delle sue potenzialità, le farmacie del centro restano nei container e le strutture territoriali sono ancora quelle provvisorie messe su all’indomani dei crolli.

06 APR - C’è chi ha tagliato il traguardo e lavora in un reparto nuovo di zecca. C’è invece chi, dopo aver curato i pazienti  per un anno nelle tende,  ha conquistato uno spazio nella struttura prefabbricata del G8. Sistemazione “nobile”, ma pur sempre provvisoria. E c’è anche chi continua a lavorare nei container e in spazi angusti come farmacisti e medici del territorio. A due anni esatti dal sisma che ha inferto una ferita mortale alla città de L’Aquila, l’ospedale San Salvatore, che con il suo cemento “disarmato” è diventato simbolo del malaffare negli appalti svelato dal terremoto, non ha ancora recuperato in toto la sua operatività. Così come sono rimaste al palo anche le attività delle farmacie e di chi lavora sul territorio, ancora costretto, senza sapere per quanto tempo, a lavorare nei container.
Questa è la nostra terza visita all’Aquila. L’ultima risale a poco meno di un anno fa. Ma, anche se è indubbio che la situazione sia visibilmente migliorata,  è purtroppo evidente che il ripristino di condizioni di effettiva normalità nella sanità del territorio colpito dal sisma del 6 aprile 2009 non è ancora compiuto. 
 
L’ospedale San Salvatore ancora al 70%
 
Il nostro viaggio a L’Aquila non poteva partire che dal simbolo della sanità cittadina: l’ospedale San Salvatore che molto lentamente e non senza ritardi e difficoltà tenta di tornare ai livelli pre-sisma. Le camere operatorie sono state tutte riattivate. Utic, cardiologia, pronto soccorso pediatrico e anche la nefrologia, che solo fino a pochi mesi fa era ospitata nei container, hanno trovato una nuova collocazione in reparti completamente ristrutturati. Tuttavia altre specialità come otorino, oculistica, maxillofacciale, endoscopia e l’ambulatorio dei trapianti sono ancora confinate nella struttura prefabbricata del G8. L’anatomia patologica e  il centro trasfusionale sono ancora nei container. Il numero dei posti letto che già dal dicembre del 2009, come da cronoprogramma, sarebbe dovuto tornare ad essere quello ante sisma (circa 460), a distanza di un anno si è incrementato di poco (da 315 posti letto a maggio 2010 siamo a circa 330 disponibili). Soprattutto nell’ala della struttura abruzzese conosciuta dagli addetti ai lavori come “Delta 8”, sede del dipartimento chirurgico di rilevanza strategica per l’attività ospedaliera, che avrebbe dovuto riaprire i battenti al massimo entro gli inizi del 2011, come aveva dichiarato un anno fa il Direttore generale Giancarlo Silveri, tutto è rimasto fermo alla notte del 6 aprile 2009.
Eppure i soldi c’erano. O meglio, ci sarebbero stati. Una parte considerevole dei 47 milioni di euro ricavati dalla riscossione della polizza assicurativa stipulata dal San Salvatore prima del sisma sono stati risucchiati  nel fondo indistinto della Asl de L’Aquila, Avezzano e Sulmona, e quelli del fondo nazionale per l’edilizia sanitaria sui quali l’ospedale avrebbe dovuto fare affidamento non sono ancora entrati nelle casse dell’ospedale.
E così, medici e infermieri continuano la loro battaglia per mantenere alta la qualità di una struttura che fino a due anni fa era considerata il fiore all’occhiello della sanità abruzzese e assistono sempre più demotivati.
“Ci sono stati molti passi in avanti – ha spiegato Alessandro Grimaldi, segretario aziendale dell’Anaao Assomed e direttore del reparto di malattie infettive –  ma si procede con troppa lentezza. Abbiamo affrontato con mezzi ordinari una situazione straordinaria. Così come sono state recuperate celermente le scuole, si sarebbe dovuto procedere con la stessa rapidità al recupero totale dell’ospedale. I medici e tutto il personale sanitario hanno fatto un grandissimo sforzo, hanno lavorato nelle tende per mesi, hanno dato fondo a tutte le loro energie per non abbandonare i pazienti. Sforzi che avrebbero dovuto essere premiati. La sensazione è che si sia persa la grande occasione di riprogettare in maniera migliorativa e più razionale l’ospedale. Anche perché c’erano i fondi dell’assicurazione”. Non solo, ha aggiunto Grimaldi, i medici hanno la sensazione che ci sia, in generale nella sanità abruzzese, l’intenzione di tagliare soprattutto il sistema sanitario pubblico. “Temiamo tagli alle nostre  unità operative – ha aggiunto – un’operazione che snaturerebbe la funzione del San Salvatore che è quella di ospedale hub. Eravamo l’ospedale con la più alta mobilità attiva in Regione, il 48% di quella per  i ricoveri ordinari e il 64% per i Day hospital, un altissimo peso medio dei ricoveri, intorno a 1,10, il più basso tasso di ricoveri inappropriati. Sarebbe gravissimo se tutto questo venisse svilito”.
 
“Lavoriamo da due anni nei container – ha raccontato Giuseppe Carvisi, anatomopatologo – continuando a portare avanti la nostra attività come prima del sisma con grandi sacrifici di tutto il personale, nonostante la situazione oggettivamente non sia a norma. Ora ci hanno promesso che dovremmo rientrare nella struttura a dicembre, ma i lavori ancora non sono cominciati. Paghiamo le escursioni climatiche, che non giovano in particolare ai macchinari, e così se fa molto freddo vanno in tilt. Questo comporta inevitabilmente dei  ritardi nelle risposte degli esami effettuati dai cittadini. Cerchiamo di barcamenarci per le urgenze, ma è sempre difficile, anche perché in oncologia tutto è prioritario. Per le biopsie i tempi di attesa non superano i sei giorni. Ma gli esami oncologici a secondo dell’organo hanno tempi diversi. Per la mammella non riusciamo a dare risposte prima dei venti giorni. Per le autopsie invece dobbiamo spostarci ad Avezzano. Paghiamo poi oltre al disagio in cui operiamo, la scarsità di personale. Molti dei tecnici sono precari. Stringiamo i denti, ma è veramente dura”.
“Ormai da un anno siamo ospitati nell’ospedale prefabbricato ereditato dal G8, dopo i primi 12 mesi passati negli ospedali-tenda  – ha detto Loreto Lombardi, direttore della struttura semplice di endoscopia interventistica – e finalmente nelle prossime settimane dovremmo rientrare nella struttura muraria. Insomma qualcosa è migliorato, ma i problemi non mancano. Lavoriamo in maniera “normale”, rispondiamo come prima alle richieste dei pazienti, ma il senso di disagio è enorme perché non vediamo vie di uscita per quanto riguarda la città. Infatti a distanza di due anni molti di noi sono già andati via e tanti stanno pensando di farsi trasferire in altre strutture. È quindi altissimo il  rischio di un depauperamento della componente medica e anche non medica. La sensazione è  che si stia cercando, più o meno scientemente, di ridurre la forza di questo ospedale che era il miglior ospedale d’Abruzzo. Molti di noi non riescono a vedere in questo momento il proprio futuro”.
 
Farmacie sempre nei container
 
Quest’anno non si cambia, stessa strada, stesso container. “Proprio così – spiega Piergiovanni Battibocca titolare di una farmacia andata distrutta – al contrario di ciò che si dice in giro non è cambiato nulla, a cominciare dai prezzi degli affitti per una struttura in muratura, che dopo il sisma sono saliti alle stelle”. “Avevamo chiesto degli indennizzi ma a causa di procedure burocratiche farraginose ancora non arrivano”. Intanto si resta nei container dati in comodato d’uso dalla protezione civile del Piemonte, grazie all'intervento della Fofi, in attesa della pianta organica che “si potrà fare solo quando la popolazione aquilana si sarà assestata e ciò potrà essere verificato”. E come se non bastasse il Dott. Battibocca conferma l’aumento dell’assunzione di antidepressivi. “Dopo due anni nessun dato va in controtendenza e anzi si instaurano patologie di tipo ansioso depressivo a scoppio ritardato che non si erano mostrate prima  e questo è dovuto al fatto che non si vede una ripartenza, un futuro”. Insomma, ad un anno di distanza nulla è cambiato, o forse sì, ora c’è un cartello sulla strada che indica l’ubicazione per la farmacia container.
 
 
L’assistenza territoriale passa dal destino di Collemaggio
 
Intorno al destino dell’ex complesso sanitario di Collemaggio si  gioca la partita sulla futura assistenza territoriale nell’aquilano. A due anni di distanza dal sisma una buona parte degli uffici amministrativi della Asl si trova ancora nei container, alcuni dei quali donati dalla Croce rossa, che, a onor del vero, sono comunque molto spaziosi e di ottima qualità. A livello di prestazioni, presso Collemaggio di nuovo c’è solo la riapertura degli ambulatori del piano terra nella vecchia sede in muratura del distretto aquilano, per il resto si effettuano servizi di riabilitazione. Altri ambulatori container o casette in legno si trovano ancora presso Paganica dove è molto probabile che rimarranno per molto tempo. Ma perché non si procede alla ricostruzione del distretto sanitario che potrebbe ospitare una cittadina del welfare con la presenza degli uffici Asl, Inail, Inpdap e Inps?
“Il fatto – ci spiega il consigliere comunale del Pd e medico, Antonello Bernardi – è che c’è il rischio che si voglia provare a cartolarizzare, e quindi di fatto a vendere, Collemaggio per ripianare i debiti della sanità abruzzese. Ritengo sia una mossa che non faccia altro che depauperare il nostro patrimonio già esiguo senza pensare al domani. Collemaggio ha necessità di essere valorizzato anche perché si trova in una zona strategica anche in considerazione del posizionamento delle nuove new town”.
Bernardi poi spiega come Collemaggio, la cui superficie si aggira al di sopra dei 75.000 mq, sia una zona che debba essere sviluppata seguendo le direttrici della sanità e della cultura, un po’ come già accadeva prima del sisma con la presenza all’interno dell’area dell’Accademia dell’immagine. “Bisogna recuperare questa zona e occorre valutare cosa debba essere abbattuto e cosa si possa definitivamente recuperare. Qui a L’Aquila si stanno costruendo tante strutture provvisorie mentre la città ha bisogno di recuperare i propri luoghi, quelli che appartengono al vissuto della città”. Ed è proprio questo che manca agli abitanti de L’Aquila: il suo cuore, la sua anima, i suoi punti di riferimento che rimangono immobili e puntellati al centro della città.
 
a cura di Luciano Fassari ed Ester Maragò

06 aprile 2011
© Riproduzione riservata

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