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Cassazione. Paziente muore. Assolto medico che aveva sbagliato diagnosi


Una nuova sentenza della Suprema Corte conferma l’assoluzione in appello di una dottoressa ligure, condannata in primo grado per omicidio colposo. Un uomo da lei visitato e dimesso senza diagnosticargli l'infarto in atto era poi deceduto. Ma i giudici hanno stabilito che, non essendoci la certezza che una diagnosi corretta con relative terapie avrebbe salvato il paziente, non vi può essere responsabilità del medico.

28 APR - Una nuova sentenza della Cassazione sulla responsabilità dei medici (sez. IV Penale, sentenza n. 13758/11; depositata il 7 aprile) che non mancherà di suscitare dibattito e polemica. Questa volta i giudici della Suprema Corte hanno stabilito il principio, rifacendosi anche a precedenti pronunzie della stessa Corte di Cassazione, secondo il quale un medico non può essere giudicato colpevole di atti omissivi senza valutare le conseguenze pratiche della presunta omissione. Ciò vuol dire che sbagliare diagnosi e omettere di prescrivere accertamenti conseguenti non costituisce di per sé una mancanza professionale perseguibile qualora non sia dimostrabile che quello sbaglio sia stato causa diretta di danni al paziente.  In altre parole, se non è certo che il paziente poteva essere salvato da una diagnosi corretta, il medico non va punito anche se ha sbagliato diagnosi.

Il caso era quello di una dottoressa ligure condannata a due anni di reclusione in primo grado nel dicembre 2008 con l’accusa di omicidio colposo. Il Tribunale di Genova aveva infatti riconosciuto un comportamento omissivo da parte del medico nei confronti di un paziente da lei visitato in pronto soccorso che accusava dolore toracico, formicolio al braccio sinistro, ipertensione. Eseguito l’elettrocardiogramma che dava risultato negativo, il paziente veniva dimesso senza prescrizioni particolari. La notte successiva il paziente decedeva a causa di “acuta insufficienza cardiocircolatoria, secondaria a tamponamento cardiaco da rottura della parete posteriore del ventricolo sinistro in soggetto con infarto miocardio acuto".
La responsabilità del medico, secondo i giudici di primo grado, stava nel fatto di aver omesso di prescrivere immediatamente l’esecuzione di esami di laboratorio finalizzati allo studio di enzimi cardiaci di necrosi miocardica.
Secondo la Corte di Appello, invece, il medico andava assolto “non potendosi ritenere certo che l’immediato ricovero del paziente, ad infarto praticamente già in atto, presso un’unità cardiologica attrezzata avrebbe potuto scongiurare la rottura del cuore”.
E inoltre, rileva la Cassazione, nella sua sentenza di conferma dell’assoluzione, la Corte di Appello aveva “conclusivamente rilevato che l'effettuata valutazione controfattuale non consentiva di affermare in termini di certezza che, nel caso in cui fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall'ordinamento, l'evento non si sarebbe verificato ovvero che si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore”.
Da qui la decisione della Cassazione di rigettare il ricorso della Procura generale della repubblica presso la Corte di Appello di Genova, confermando quindi la sentenza di assoluzione per il medico.
 
Sul tema vedi anche altra sentenza della Cassazione che ha confermato assoluzione per medici di fronte a "casi difficili" e "urgenti".

 

28 aprile 2011
© Riproduzione riservata

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