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Il cesareo cambierà la civiltà umana. E non in meglio


La presentazione del libro “Il cesareo” di Michel Odent all'ospedale San Camillo-Forlanini di Roma ha offerto lo spunto per una riflessione sugli effetti a lungo termine dell’eccessivo ricorso ai tagli cesarei: il momento del parto potrebbe essere quello in cui con più forza i geni e l’ambiente interagiscono.

12 MAG - E se il prezzo dell’eccessivo ricorso ai cesarei si pagasse a decenni di distanza? Se, piuttosto che valutare gli esiti a breve termine su mortalità e morbilità, si cominciassero a indagare gli effetti a lungo termine del taglio cesareo? Cosa si scoprirebbe?
Sono queste alcune delle domande che Michel Odent, medico, pensatore e forte sostenitore del parto naturale, ha sollevato questa mattina nel corso della presentazione di un suo volume dedicato all’argomento (Il Cesareo, BLU Edizioni) tenutasi presso l’Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini.Odent, che da anni si batte per contrastare l’ubriacatura da cesarei, ha elaborato negli ultimi decenni un vero e proprio “pensiero” in cui la medicina, la biologia, la psicologia e l’ecologia si fondano. E in cui il periodo che va dal concepimento al primo anno di vita sono visti come essenziali per lo sviluppo del bambino (e dell’uomo): per questa ragione qualunque evento incida su questa fase non può essere valutato in un’ottica di breve periodo.
“I contenuti e le classificazioni delle statistiche che oggi usiamo non sono adatte per il XXI secolo”, ha illustrato l’autore. “Quando si fa una classificazione delle diverse modalità di nascita, per esempio, oggi si fa riferimento ai cesarei, all’impiego del forcipe o della ventosa, al parto naturale. Ma quanto c’è in realtà di naturale in quest’ultimo? Il tasso di induzione del travaglio è in continuo aumento. Ma questo tipo di intervento non compare nelle statistiche”.
Eppure, l’ossitocina somministrata per agevolare il travaglio, secondo il medico francese che dirige a Londra il Primal Health Research Centre, “giunge in alte concentrazioni al cervello del feto”. E gli effetti nel lungo periodo di questa inondazione di ossitocina - un ormone coinvolto, tra le altre cose, nei processi di socializzazione - sono ignoti.
Se non si tiene conto di considerazioni simili, allora, l’allarme per l’elevato numero di cesarei, secondo Odent, non ha ragione di esistere. In termini di costo-efficacia, infatti, “gli studi ci dicono che la miglior forma di parto è il cesareo in modalità elettiva alla trentanovesima settimana”.
Ma gli effetti nel lungo termine non si possono ignorare. Per indagarli, il ricercatore ha fondato il Primal Health Research Databaselivepage. Il database raccoglie tutti gli studi scientifici che indagano gli effetti di eventi avvenuti durante il periodo perinatale ed è liberamente consultabile. L’idea guida è che il momento del parto possa essere quello in cui con più forza i geni e l’ambiente interagiscono e in cui si verificano processi epigenetici che determinano non soltanto la futura salute dell’individuo, ma addirittura aspetti della sua personalità.
Se così fosse, il valore del momento del parto - e il reale peso dei tagli cesarei - andrebbe totalmente riconsiderata e inserita in una riflessione che, dalla medicina, sconfina nella sociologia e addirittura nella storia.
Ridurre il numero dei cesarei diventa quindi una sfida culturale che si innesta bene in quella scientifica e sanitaria che una parte della ginecologia italiana ha messo in agenda da tempo.
A dimostrazione dell’impegno comune, alla presentazione del libro di Odent era presente Giorgio Vittori, presidente della Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (Sigo) che ha sottolineato come la questione parto sia “di una complessità straordinaria, che va inoltre calata in un mondo che cambia velocemente” e in cui “l’aspetto umano connesso al parto è un valore che non ha nessuno sponsor”.
Presenti anche Claudio Donadio, direttore del Dipartimento Materno Infantile del San Camillo-Forlanini che ha avviato da tempo un protocollo per la riduzione del ricorso al taglio cesareo e Ciro Guarino, primario dell'ospedale di Castellammare di Stabia premiato dall'Organizzazione  Mondiale della Sanità per aver ridotto nel suo reparto il tasso di cesarei dall'80% al 22%.
Antonino Michienzi 

12 maggio 2010
© Riproduzione riservata

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