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Batterio killer. Assolti anche i germogli


Dopo l’annuncio del ministro dell'Agricoltura della Bassa Sassonia che considerava quella dei germogli vegetali (e non solo di soia) “la pista giusta”, a stretto giro di posta arriva la smentita: 23 dei 40 campioni esaminati non erano contaminati da Escherichia Coli. 

06 GIU - È stato un altro buco nell’acqua. Neanche i germogli indicati da Gert Lindemann, il ministro dell'Agricoltura della Bassa Sassonia, come probabile fonte del contagio erano i colpevoli dell’epidemia che sta diffondendosi in Europa. 23 dei 40 campioni esaminati, infatti, non erano contaminati da Escherichia Coli.
I sospetti sui germogli (non soltanto di soia, come erroneamente anche noi abbiamo riportato questa mattina) erano stati palesati ieri pomeriggio, quando, in una conferenza stampa, Lindemann aveva affermato che quella intrapresa dai ricercatori era “la pista giusta”. E tutto sembrava indicarlo: prodotti da una cooperativa biologica situata tra Amburgo e Hannover e cresciuti in botti con vapore - l’ambiente ideale per la proliferazione del batterio -, i germogli avrebbero preso la via di 5 regioni tedesche dando luogo al contagio.
Ora la nuova assoluzione, dopo quella dei cetrioli nelle scorse settimane. 
Intanto nell’ultimo aggiornamento dell’European Centre for Disease Prevention and Control è arrivata a 2300 la conta delle persone infettate da quello che è stato battezzato batterio killer, 22 i decessi accertati. A fare la gran parte dei morti, la Sindrome Emolitico Uremica, un mix di sintomi che comprende anemia emolitica, piastrinopenia e insufficienza renale acuta e che nel 3-5 per cento dei casi può rivelarsi fatale o portare all’insufficienza renale cronica.
Sanità alla prova
Pronto soccorso in tilt, attese infinite, letti insufficienti. Lo stesso ministro della Salute tedesco ha dovuto ammetterlo: gli ospedali di Amburgo e delle altre città tedesche stanno facendo di tutto per fornire un posto letto a tutti i pazienti infetti. Ma non sempre ci riescono. Secondo quanto riportato dall’Associated Press, molti malati vengono rimandati a casa in attesa che i sintomi si aggravino. E per i medici, l’orario di lavoro in questi giorni è diventato una formalità, costretti a rispondere a un numero di richieste senza fine. “Tutti i pazienti sospettati di essere stati infettati dall’Escherichia coli venivano portati in una stanza separata per effettuare gli esami”, racconta all’agenzia americana una delle pazienti vittime del contagio visitata all’Universitätsklinikum Hamburg-Eppendorf, la più grande struttura della seconda città tedesca. 1400 posti letto, 50 mila ricoveri l’anno e altrettanti interventi in Pronto soccorso. Non proprio un ospedale di provincia, insomma. “Una volta arrivata, c’erano almeno altre 20 persone in attesa e ne arrivavano altre in continuazione. Molte portate dall’ambulanza”, continua la paziente scampata alle conseguenze più gravi dell’epidemia. “Avevamo tutti la diarrea e c’era un solo bagno. Uno solo per donne e uomini. Era un completo casino. Se non ero stata infettata dall’Escherichia coli prima, probabilmente lo sono diventata una volta uscita dall’ospedale”.
L’infezione
Quella che ha coinvolto mezza Europa nelle ultime settimane, non è una semplice epidemia di Escherichia coli. Bensì dovuta a ceppi produttori di verocitotossina o Shiga-tossina. Ed è questa caratteristica ad averla resa virulenta. Numerosi i sierotipi di questo tipo individuati negli ultimi anni (il più frequente l’O157). In questo caso si tratta dell’O104:H4, mai responsabile di epidemie prima d’ora, ma non ignoto ai ricercatori. L’infezione, salvo rari casi non si trasferisce da uomo a uomo. Molto più frequente infettarsi tramite cibi o acqua contaminati o attraverso il contatto con animali. Tra le fonti alimentari più frequenti, il latte e i formaggi, la carne al sangue, gli ortaggi crudi. Basta una dose molto piccola per infettarsi e il periodo di incubazione oscilla tra i tre e gli otto giorni. In genere si presenta con gastroenterite, a volte accompagnata da febbre e vomito. La diarrea emorragica (anch’essa tra i sintomi) in genere scompare spontaneamente in 5-7 giorni. 
L’infezione non è affatto rara: i ceppi produttori di verocitotossina negli ultimi anni si sono resi responsabili di migliaia di casi di contagio in Europa e nel mondo. Negli Usa, secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) si sono registrati 14 casi di epidemie da Escherichia coli dal 2006 a oggi. 3210 i casi confermati invece in Europa dall’ European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) nel 2008, con un tasso di 0,66 casi ogni 100 mila abitanti. E tra questi, 146 pazienti hanno sviluppato Sindrome Emolitico Uremica.
La difesa
Da settimane le autorità sanitarie ripetono che la migliore strategia per prevenire la diffusione del contagio sono le consuete norme igieniche per la sicurezza alimentare sono sufficienti a evitare infezioni: lavarsi frequentemente le mani dopo aver maneggiato alimenti, lavare a fondo le verdure, evitare il consumo di carne cruda, lavare bene coltelli, taglieri e altri utensili usati per la preparazione dei cibi, evitare di utilizzare senza lavare lo stesso tagliere e/o utensile per più alimenti e lavare bene le mani prima di manipolare i cibi e dopo aver usato la toilette. 
Quanto all’impiego preventivo di antibiotici è non solo ingiustificato, ma potenzialmente dannoso. Il ceppo O104:H4 si è già dimostrato resistente a diversi di questi farmaci. Inoltre, la la terapia antibiotica potrebbe favorire il rilascio della tossina con peggioramento delle manifestazioni cliniche.
Regole che, anche a epidemia finita, potrebbero tornare utili.
 
am

06 giugno 2011
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