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Fecondazione assistita: nati i primi due bimbi figli delle modifiche della legge 40 sulla diagnosi preimpianto


È un giorno speciale per l’Associazione Luca Coscioni: sono nati due bambini che, senza la modifica sulla diagnosi preimpianto della legge 40, non sarebbero mai venuti al mondo. Secondo una recente ricerca il 72% dei cittadini si dice favorevole a questo tipo di diagnosi. Ma la battaglia per il diritto alla vita e il diritto all’accesso alle cure continua. Restano ancora da chiarire dei punti importanti sulla donazione degli embrioni non impiegati per la ricerca scientifica: il 57% delle persone intervistate è d’accordo.

30 MAR - Due bimbi sono venuti alla luce e sono nati solo grazie ad alcune modifiche della legge 40. Per questi cambiamenti, accanto ai genitori dei piccoli appena nati, si è battuta l’Associazione Luca Coscioni. E per celebrare questo lieto evento l'Associazione ha organizzato la conferenza “Una battaglia per la vita, cambiando la legge 40. Quando il desiderio di un bimbo batte l’ostruzionismo della politica”.
 
Al centro del dibattito il diritto alla vita e il diritto all’accesso alle cure, tra cui tutte le tecniche di fecondazione medicalmente assistita, incluse le tecniche di diagnosi preimpianto (Pgd). Questa particolare tecnica ha l’obiettivo di consentire a tutte le coppie di essere informate circa lo stato di salute dei propri embrioni prima dell’istaurarsi della gravidanza e dunque di minimizzare i rischi gestazionali quali l’aborto spontaneo-terapeutico e le sindromi cromosomiche-genetiche fetali.
 
La campagna per il diritto alla vita dell’Associazione Luca Coscioni prosegue, così, attraverso la voce di due coppie che qualche anno fa, vincendo in tribunale una battaglia legale,hanno permesso la revisione della Legge 40/2004 e concesso anche ad altre coppie il diritto e la gioia di poter essere genitori, e che oggi accolgono i figli di queste battaglie, bambini che non sarebbero mai nati.

Prima della sentenza della Corte Costituzionale 96/2015, infatti, la Legge 40/2004 non prevedeva la diagnosi preimpianto per le coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili, perché l’accesso alla fecondazione medicalmente assistita era consentito solo alle coppie infertili o sterili. Inoltre, prima del 2012, mai nessun Tribunale aveva affermato l’obbligo per le strutture che fornivano servizi di Pma di garantirne l’accesso alle coppie richiedenti alla Pgd. Ad oggi in Italia il Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita conta un totale di 359 centri, di cui sono solo 43 quelli che effettuano la diagnosi genetica preimpianto.

La storia di Valentina e Fabrizio
Il loro primo tentativo di avere un figlio termina con un aborto, a causa di una gravidanza extrauterina. I due ragazzi non demordono e fanno un altro tentativo: al quinto mese di gestazione, tuttavia, viene effettuata una villocentesi per lo studio del cariotipo fetale, una analisi particolare per stabilire eventuali anomalie nell’assetto cromosomico del feto. Infatti, purtroppo, Valentina è portatrice di una patologia genetica trasmissibile molto grave. La villocentesi evidenzia gravi problemi nel futuro nascituro, per cui la coppia deve ricorrere all’interruzione di gravidanza.
 
“Il 25 ottobre 2010 – ha raccontato Valentina - mi comunicano telefonicamente che la bambina che aspettavo era affetta da una grave malattia. Decisi in accordo con mio marito di interrompere la gravidanza. Ci recammo lo stesso giorno dal ginecologo che mi seguiva, il quale però si rifiutò di farmi ricoverare perché obiettore di coscienza. Riesco, dopo vari tentativi, ad avere da una ginecologa del Sandro Pertini il foglio di ricovero, dopo due giorni però, poiché soltanto lei non era obiettore. Il 27 ottobre entro in ospedale e inizio la terapia per indurre il parto. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, vomito e svenimenti, partorisco dentro il bagno dell'ospedale con il solo aiuto di mio marito. Nessuno ci ha assistito nemmeno dopo aver chiesto soccorso più e più volte. Non li abbiamo denunciati purtroppo soltanto perché eravamo sconvolti da quello che avevamo vissuto. Nessuna donna al mondo dovrebbe provare quello che ho provato io e che purtroppo ancora tantissime donne provano”. Soltanto dopo la modifica della legge 40 Valentina ha potuto ricorrere ad una fecondazione assistita con un a diagnosi pre-impianto.

La storia di Maurizio e Claudia
Claudia ha 38 anni ed è talassemica. La talassemia è una malattia genetica, ossia viene trasmessa dai genitori fin dal concepimento e consiste nel fare frequenti trasfusioni di sangue come terapia salvavita. Dopo aver conosciuto Maurizio ha cominciato a sognare di avere un figlio von lui. Questo sogno si è realizzato dopo diversi anni di battaglie e tentativi.
 
“Abbiamo eseguito la terza fecondazione in vitro con diagnosi preimpianto a Cagliari, nel luglio 2016. Dopo circa un mese - ha raccontato Claudia - ho scoperto di essere in attesa e qualche giorno dopo abbiamo avuto la notizia di aspettare due bimbi. Dopo qualche mese, per sicurezza, facemmo anche la villocentesi che confermò l’assenza di Talassemia”.
 
“Due storie, quelle di Valentina e Fabrizio e di Maurizio e Claudia, che ho seguito personalmente come avvocato insieme ai colleghi Calandrini, Chiesa e Baldini, e che hanno trovato nell’Associazione Luca Coscioni un supporto per far sentire la propria voce – ha ricordato Filomena Gallo, segretario di Associazione Luca Coscioni – Due battaglie contro alcuni assurdi e obsoleti divieti dettati dalla Legge 40, oggi finalmente eliminati. Così nel 2012, per la prima volta nel nostro Paese, abbiamo ottenuto che le strutture pubbliche autorizzate ad applicare tecniche di Pma non possono non garantire anche la diagnosi genetica preimpianto: in mancanza di strutture idonee o di personale, le aziende sanitarie devono predisporre convenzioni con il privato per non interrompere un servizio. A questo si è aggiunta nel 2015, con la sentenza della Corte Costituzionale, la rimozione del divieto di PGD per le coppie fertili con patologie genetiche o cromosomiche, consentendo così a tutte le coppie fertili con patologie genetiche o cromosomiche di dare alla luce un figlio, che altrimenti non potrebbero avere”.

Temi sicuramente di difficile comprensione ma che negli anni hanno incontrato maggiori resistenze da parte della politica rispetto all’opinione pubblica: basti pensare che da una recente survey condotta da SWG su un campione di mille cittadini Italiani, ben il 72% si dichiara favorevole alla diagnosi genetica preimpianto e il 57% considera importante la donazione alla ricerca scientifica degli embrioni non utilizzati, invece di lasciarli congelati indefinitamente .

“Una politica decisamente sorda rispetto ai diritti della donna e della coppia in tema di salute, diritto alle cure, principio di uguaglianza, genitorialità e una legge, la 40/2004 appunto, con la quale siamo costretti a fare i conti spostando la discussione, il confronto e la battaglia nei tribunali – ha proseguito Filomena Gallo – Resta dunque un vuoto normativo su tanti fronti e molte sono le richieste inascoltate. Un esempio su tutti: i nuovi LEA, recentemente pubblicati in Gazzetta Ufficiale, che includono le tecniche di procreazione medicalmente assistita tra le prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale ma non la diagnosi preimpianto e i test genetici, creando così una condizione di evidente discriminazione.”

Sul fronte dell’informazione e della ricerca scientifica, infine, di recente Pia Elda Locatelli ha depositato una interrogazione parlamentare affinché il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, renda noti i dati sulla diagnosi preimpianto e il numero di embrioni/blastocisti crioconservati non idonei per una gravidanza oltre che per sapere se nella prossima relazione saranno resi noti anche i dati relativi alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche che in virtù della sentenza 96/2015 della Corte Costituzionale che dal 2015 possono accedere a tali trattamenti.

“Non sono noti i motivi di tale omissione, ma si tratta di una grave mancanza da parte del Ministero, tra l’altro tenuto dalla stessa Legge 40/2004 a fornire queste informazioni – ha precisato Filomena Gallo - Tali dati sono importanti sia per la conoscenza delle informazioni su queste tecniche e sia perché il nostro Paese ha un numero importante di blastocisti/embrioni crioconservati non idonei per una gravidanza che potrebbero essere donati alla ricerca scientifica – ha concluso Gallo - Possibilità attualmente vietata dalla legge 40, che preferisce non distinguere tra embrioni per tecniche di PMA e embrioni non idonei a tali tecniche perché mai determineranno una gravidanza che restano crioconservati nei centri di PMA senza la possibilità di utilizzo in alcun modo”.

30 marzo 2017
© Riproduzione riservata

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