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SLA, assistenza ancora inadeguata


In occasione della settimana dedicata alla patologia, un rapporto promosso da Fiaso, Fondazione Istud e Aisla analizza l’assitenza ai malati di sclerosi laterale amiotrofica in Italia. 

23 GIU - Capire quanti siano realmente in Italia le persone affette da sclerosi laterale amiotrofica è un rompicapo senza via d’uscita. Da una parte il loro numero è sottostimato, giacché soltanto nove Regioni hanno fino a oggi ottemperato all’obbligo di segnalare i casi al Registro nazionale delle malattie rare (che al 30 settembre 2009 ne contava 2.392). Dall’altro sovrastimato, poiché questi dati sono di carattere amministrativo e non epidemiologico: non escludono, cioè, il conteggio di più accessi ai servizi da parte dello stesso paziente e tendono a ricomprendere anche i casi di SLA sospetta.
Basta questo elemento a dare la cifra dell’inadeguatezza, nel nostro Paese, dell’assistenza ai pazienti con sclerosi laterale amiotrofica, una patologia subdola che neutralizza progressivamente l’intero apparato muscolare.
A denunciare la carenza dei servizi e proporre soluzioni è lo Studio sui modelli organizzativi evoluti di gestione socio-sanitario della SLA, promosso dalla Fiaso (la Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere), la Fondazione Istud e l’Aisla (l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), presentato oggi a Milano, proprio nella settimana nazionale di lotta alla SLA.
L’indagine analizza alcune delle tappe decisive nel percorso del malato, a cominciare dalla comunicazione della diagnosi della malattia. Nonostante le strutture che hanno aderito allo studio dichiarino di dedicare in media al colloquio 45 minuti, il modo in cui viene gestito questo tempo è definito dal rapporto “insoddisfacente”. La comunicazione avviene infatti solo nel 71% dei casi in un luogo dedicato, mentre nel 29% dei casi tutto viene sbrigato in corsia di reparto. A comunicare la diagnosi è nel 71% dei casi un neurologo, affiancato solo nel 29% dei casi da uno psicologo. E se è vero che spesso è presente la famiglia, altrettanto frequentemente questa è costretta ad affannose ricerche su enciclopedie mediche e internet per cercare di svelare mezze verità e terminologie poco accessibili, come parlare di malattia del motoneurone anziché di sclerosi laterale amiotrofica.
Il limite successivo, identificato dal rapporto, riguarda il momento dell’accesso all’assistenza ospedaliera. Tendenzialmente le aziende coinvolte nella ricerca non fanno distinzione nella presa in carico tra pazienti con SLA e pazienti affetti da patologie neuromuscolari, ricoverati entrambi in reparti di neurologia.
È vero che l’80% di essi dichiara di possedere una sezione del reparto dedicata a questa patologia, ma in molti dei centri visitati gli spazi risultano essere insufficienti. Soprattutto alla luce dei bisogni espressi dai parenti dei malati di SLA, che chiedono un’assegnazione dei posti letto che eviti che persone in fasi estremamente diverse della malattia condividano la stessa stanza.
Altro elemento critico sono le liste d’attesa: in media di 30 giorni, diventano però di 60 per i centri specialistici. La durata media dei ricoveri è di 19,5 giorni con un range cha va da da 10 a 45,5 giorni.
Ancora, il rapporto segnala la quasi totale assenza di posti letto dedicati alla fase di fine vita. Una lacuna poco avvertita dal momento che l’80% dei pazienti nella fase terminale della malattia preferisca il ritorno al proprio domicilio .
Infine, l’offerta per i familiari che assistono i pazienti di SLA: solo il 33% dei centri dichiara di avere spazi dedicati alle attività personali dei caregiver e nel 71% dei casi non esistono soluzioni residenziali a supporto dei familiari.
A.M. 

23 giugno 2010
© Riproduzione riservata

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