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Assistenza primaria. Per gestire la cronicità si punta sugli infermieri


Tre progetti di Chronic Care Model, sperimentati negli anni scorsi in Puglia, Lazio, Marche e Abruzzo, sono stati al centro di un convegno a Roma. Basati su un team che mette insieme medici di base, specialisti e pazienti stessi. Ma la figura chiave sono gli infermieri “care manager”.

18 APR - Non sono una novità i tre progetti di cui si è discusso ieri in un Convegno organizzato, con il patrocinio del Senato e della Regione Lazio, nella Sala Capitolare di piazza della Minerva a Roma e dedicato a L’assistenza primaria tra innovazione e sostenibilità.

Il progetto “Leonardo”, primo ad essere avviato e realizzato nella Regione Puglia, si è infatti concluso nel 2009 (avendo mosso i primi passi nel 2004), mentre il progetto “Raffaello” è stato avviato nel 2007 nelle Regioni Marche e Abruzzo e il progetto “Michelangelo” è iniziato nello stesso anno nella Regione Lazio.

I tre progetti, tutti sostenuti da Pfizer Italia, sperimentano l’applicazione di un modello di gestione dei pazienti cronici di derivazione statunitense: il Chronic Care Model. Una questione che oggi è in primo piano nell’agenda politica della sanità, a cominciare dal nuovo Patto per la Salute in discussione tra Governo e Regioni.

In sostanza, come ha spiegato Marina Panfilo, che per Pfizer ha partecipato ai Comitati promotori dei progetti, si tratta di un “sistema coordinato di cure, caratterizzato da un forte coinvolgimento del paziente”. Mettendo in team il paziente stesso, il medico di famiglia, gli specialisti territoriali e l’infermiere “care manager” si punta ad ottenere una maggiore consapevolezza del paziente nella gestione della sua malattia, che produca migliore aderenza alle terapie farmacologiche e una modifica del suo stile di vita, eliminando le abitudini nocive, come fumo, cattiva alimentazione e sedentarietà.

Il vero fulcro di questo modello sembra essere proprio l’infermiere “care manager”, che affianca il paziente, lo sostiene nelle decisioni, nelle terapie, nei rapporti con i medici e le strutture sanitarie. E infatti, intervenendo al termine della discussione, la presidente dei Collegi infermieristici Ipasvi, Annalisa Silvestro, ha detto semplicemente: “Tutti hanno parlato per me, anche se occorre far crescere una cultura nuova, una maggiore consapevolezza di tutti che si possono avere risultati positivi solo facendo crescere l’integrazione interprofessionale”.

E, in effetti, i progetti sperimentali sembrano dare risultati positivi. Nel progetto Leonardo realizzato in Puglia, ad esempio, dopo un anno si sono riscontrati incrementi notevoli nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici: +18% per quanto riguarda il BMI (indice di massa corporea; +42,8% per il colesterolo LDL; +61,3% per la pressione sistolica arteriosa. E infatti, come ha spiegato Ambrogio Aquilino, Direttore Medico Area Accreditamento, Qualità e Ricerca dell’Agenzia Regionale Sanitaria Puglia, si è deciso di proseguire nella sperimentazione, trovando questa volta risorse regionali e dando vita al progetto “Nardino”.

“II coinvolgimento diretto del paziente nel seguire la propria cura richiede l'individuazione di opportune strategie che tengano conto dell'efficacia, della sostenibilità e dell’equità delle cure. Tutto ciò non può che migliorare lo stile di vita per tutti i pazienti, a prescindere dalle caratteristiche demografiche e culturali del paziente stesso.” ha detto Antonio Tomassini, presidente della 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato, intervenendo e ricordando anche le altre esperienze regionali di gestione delle malattie croniche, come i Creg in Lombardia.

Secondo il sottosegretario alla Salute, Elio Cardinale, i nomi scelti per i progetti sono quanto mai opportuni, poiché indicano che “siamo in un nuovo Rinascimento dell’assistenza sanitaria, che deve sempre più orientarsi verso la qualità, la prevenzione, l’integrazione socio-sanitaria e il rafforzamento della medicina del territorio”.

Entrando nel vivo delle scelte da compiere e della discussione per il nuovo Patto per la salute, Filippo Palumbo, direttore della programmazione del Ministero della Salute, ha detto che “modificando l’articolo 8 (quello che definisce gli ambiti del rapporto con il Ssn dei medici convenzionati, ndr.), in dodici mesi si può cambiare la faccia della Medicina Generale”.

Un risultato auspicabile, secondo Tonino Aceti di Cittadinanza attiva, che ha sottolineato come la sanità territoriale utilizzi oggi circa il 49% delle risorse destinate alla sanità pubblica, senza però essere davvero “visibile” agli occhi dei cittadini e soprattutto senza essere adeguatamente “misurata e valutata”.
 

18 aprile 2012
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