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Sant’Orsola. Al Pronto Soccorso l’infermiere flussista non basta

Per il dg, Antonella Messori, l’intasamento dei Pronto Soccorso è un problema di sistema, che non può essere risolto da una sola struttura che adotta nuovi modelli. Il tavolo con la Ausl impegnato a migliorare la gestione dei pazienti terminali, “che non possono avere nel Pronto soccorso il proprio punto di riferimento”. E al flussista potrebbe essere affiancato un medico.

21 FEB - L’intasamento dei Pronto Soccorso mette a rischio la possibilità di seguire adeguatamente i pazienti. Il fenomeno ha però cause complesse e non può essere risolto da una sola risposta o dall’impegno di un’unica struttura. La pensa così il direttore della generale dell’ospedale Sant’Orsola, Antonella Messori, che ieri ha accompagnato la senatrice Annalisa Silvestro, il senatore Stefano Vaccari e l’onorevole Donata Lenzi a conoscere la realtà del pronto soccorso del Sant’Orsola, dove da oltre tre anni è stata introdotta la figura dell’infermiere flussista. Un'esperienza che si rivelata utile, ma non risolutiva.
 
L'intasamento dei Pronto Soccorso, spiega infatti la Dg, “è un problema di sistema e a questo livello intendiamo affrontarlo, pur continuando a fare tutto il possibile per migliorare la situazione nel nostro Pronto soccorso. Per questo al nostro gruppo di lavoro abbiamo affiancato un tavolo con l’Ausl di Bologna, che ha già svolto il primo incontro, per migliorare la gestione dei pazienti terminali, che non possono trovarsi nella situazione di avere nel Pronto soccorso il proprio punto di riferimento”.

“Il cosiddetto flussista, che noi preferiamo chiamare infermiere di processo – ha spiegato il direttore della Medicina d’urgenza Mario Cavazza – è la nostra torre di controllo, l’attore principale che ci consente di governare in sicurezza l’attesa. È un percorso finalizzato non tanto a ridurre i tempi per chi viene al Pronto soccorso senza averne effettiva necessità, ma a curare meglio chi si rivolge a noi e si trova o rischia di trovarsi in una situazione di emergenza”. Per valutare meglio i pazienti e quindi le priorità, secondo quanto riferito da Il Resto del Carlino, al Sant'Orsola si starebbe anche pensando ad un medico ‘flussista’ che affianchi l’infermiere, integrando competenze e professionalità.

Nel 2016 il Sant’Orsola ha registrato 84.000 accessi complessivi, tra Pronto soccorso generale e ortopedico. “Si tratta – ha detto Cavazza – di pazienti sempre più anziani e quindi sempre più complessi”.

Per Silvestro quella del Sant’Orsola è “un’esperienza molto interessante, testimonianza di una struttura capace di farsi carico davvero del paziente e del suo famigliare”. “Ci sono aspetti che devono essere affrontati in un’ottica di sistema, che vanno messi in linea con il territorio” ha condiviso la senatrice Silvestro. Anche l’onorevole Lenzi ha sottolineato la necessità di compiere passi avanti lungo la strada delle Case della salute e degli Ospedali di comunità, che devono offrire alternative al ricovero in ospedale, che deve essere una soluzione da utilizzarsi solo per gli acuti.

“Secondo le statistiche un 20% di degenti – ha concluso il direttore sanitario Gianbattista Spagnoli –non è necessario restino più in ospedale ma non possono essere dimessi perché magari vivono soli e non esistono per loro, ad oggi, soluzioni alternative”.
 

21 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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