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Sbagliano farmaco al Pronto Soccorso. La paziente sta bene, ma la Cimo punta il dito contro organizzazione e carenza organici

Alla paziente sarebbe stata somministrata ketamina invece di un antidolorifico. Il fatto segnalato a Bazzano, ma per il sindacato non si tratta dell’unico caso in cui “sulla carta risultano due medici e due o più infermieri in turno, ma nei fatti buona parte dell’organico non può garantire la costante presenza in pronto soccorso dovendo assolvere a interventi di emergenza territoriale 118”. Bignami (Fi) presenta interrogazione alla Giunta. La Ausl avvia verifiche interne.

23 NOV - La Giunta “avvii una verifica su quanto accaduto al pronto soccorso dell’ospedale di Bazzano”. È Galeazzo Bignami (Fi) a intervenire, con un’interrogazione all’esecutivo regionale, sulla vicenda della donna cui sarebbe stata somministrata per errore nell’ospedale bolognese una dose di ketamina al posto di un antidolorifico.

La paziente non avrebbe riportato danni. Ma resta da capire, evidenzia il capogruppo di Forza Italia, “come un simile errore sia potuto accadere: come riportato anche dalla stampa locale, il referto di dimissioni conterrebbe infatti la dicitura ‘l’infermiera ha erroneamente somministrato ketamina’”.

L’Ausl, riferisce Bignami, “ha avviato una verifica interna per accertare quanto accaduto: individuare le responsabilità e quindi adottare misure correttive per migliorare i livelli di sicurezza”. Nell’atto ispettivo si chiede pertanto alla Giunta “quali azioni intenda mettere in campo per migliorare i livelli di sicurezza all’interno dei pronto soccorso”.
Una necessità che, evidenzia la Cimo, non riguarda soltanto il Pronto Soccorso di Bazzano. In una nota il sindacato evidenzia come l’errore di somministrazione di farmaci sia avvenuto “in una mattinata particolarmente intensa per i mezzi di soccorso”. Un aspetto da tenere in considerazione, spiega la Cimo, perché “l’Azienda Usl di Bologna (ma anche quella di Imola e altre aziende in regione) ha messo in essere da diversi anni modelli organizzativi dell’emergenza urgenza nei quali parte del personale del personale operante in pronto soccorso è contemporaneamente in servizio nel sistema di emergenza territoriale 118”.
 
“Accade pertanto – spiega la Cimo - che, citando tra i tanti esempi possibili, quello di Bazzano (ma anche Loiano, San Giovanni, Bentivoglio, Budrio), risultino sulla carta due medici e due o più infermieri in turno in pronto soccorso, ma nei fatti buona parte dell’organico in turno non può garantire la costante fisica presenza nella sede di pronto soccorso per assolvere interventi in territorio”.
 
Questa organizzazione, prosegue il sindacato, “crea una sorta di ‘cosmesi’ dei dati relativi al personale in servizio in PS, causando parallelamente problemi clinico assistenziali ribaltati su operatori e cittadini”.

In pratica, illustra la Cimo, “medico e infermiere adibiti contemporaneamente anche al 118 dovrebbero teoricamente avere in carico solo casi di bassa complessità, elemento spesso constatabile solo a posteriori dopo visita e diagnostica. Tale teorico auspicio è spesso nei fatti non possibile per la presenza contemporanea di più pazienti complessi classificati come codici gialli e rossi che non possono essere lasciati in attesa”.

Occorre anche considerare che “alla chiamata del 118 l’equipaggio ha massimo due soli minuti nei quali, oltre a capire dove dover intervenire, deve passare le consegne dei pazienti in carico. Tale scarsissimo tempo non consente spesso di trasferire in modo accurato, prudente e diligente consegne ai rimanenti colleghi che dovranno farsi carico dell’assistenza nella struttura ospedaliera. Questi ultimi si vedono di colpo ribaltata addosso la responsabilità di altri assistiti con problemi acuti che non hanno visitato o gestito, e conseguentemente devono spesso interrompere quanto stanno facendo per prendere visione dei pazienti lasciati dall’equipaggio uscente. Tale fenomeno comporta ovviamente una perdita di tempo per capire chi e quali problemi si hanno in carico, con ovvia sottrazione di risorse alla sala di attesa e ai cittadini già in gestione”.
 
Per la Cimo questo modello organizzativo “va abbandonato come già avvenuto in altre realtà”.
 
“Riteniamo necessario – afferma il sindacato - avviare un processo di riorganizzazione dei sistemi di emergenza che tengano chiaramente separati i momenti territoriali da quelli ospedalieri di pronto soccorso. Questo al fine di garantire una miglior presenza e attenzione ai cittadini in entrambe le fasi evitando da un lato che si creino situazioni di sovraccarico con operatori che debbono sopperire alle assenze, e dall’altro con operatori costretti a vivere in costante stress e tensione per quanto potrebbe accadere ai pazienti in carico che si abbandonati gioco forza in pronto soccorso, interrompendo il diretto rapporto di cura”. 
 
La Cimo si chiede, dunque, “cosa accadrebbe in corso di una maxi-emergenza ove molti pazienti siano da soccorrere in territorio e ospedalizzare rapidamente? come risponderebbe questo modello che proprio nella fase più critica di fatto vedrebbe dimezzato il personale di pronto soccorso in servizio, deputato alla ricezione delle vittime in una prima fase proprio perché parte di questo risulterebbe contemporaneamente impiegato nel soccorso esterno al presidio?”.
 
Per la Cimo l’attuale modello rappresenta un tentativo di dare “le nozze con i fichi secchi”, e di farlo “sempre sulle spalle degli operatori chiamati a svolgere più ruoli contemporanei. I codici deontologici dei vari profili professionali, spesso risultano in palese contraddizione con quanto tale modello organizzativo di fatto impone e per tal motivo, si rende necessaria un’attenta riflessione che marginalizzi il mero aspetto economicistico che a nostro giudizio è stato uno dei probabili maggiori determinanti dello sviluppo di tali modelli, abbandonati in altre province, quali per esempio l’adiacente Ferrara”.

23 novembre 2017
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