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Verso gli Stati generali della professione medica. Dalla disputa sul pensiero, al medico che cura

17 LUG - Gentile direttore,
la questione medica e l’interpretazione dell’ars medica sono, come in passato, oggetto di dispute anche forti e aspre. Lo sono state anche la scienza, l’astronomia o la fisica. Pur non trattando dei massimi sistemi, o di ragionamenti sulla res cogitans e res extensa, è opportuno che le cosiddette dispute si mantengano entro i limiti del razionale e dell’accademico, anche se profondamente coinvolgenti. A maggior ragione se a farlo siano cultori contrapposti della filosofia e della scienza, aprendo un contraddittorio fra visione scientifica e filosofica. Elementi che nella filosofia cartesiana sono correlati e in cui la scienza trae linfa dalle radici metafisiche del sapere che si correlano immancabilmente col ragionamento, con la comprensione e con la semplificazione.
 
Limitando con ciò i contenuti, privati di altri aspetti dai toni con ottave alte, vorrei interpretare in questo modo gli ultimi scritti di Roberto Polillo e Ivan Cavicchi che sono stati apprezzati correlatori in convegni importanti sulla professione e sull’essere del medico.
 
Riportando la questione in termini più semplici, oggi non ci si può chiudere al cambiamento, non certo dei principi della professione, storicamente ben radicati e rivalutati, ma del medico e della medicina. Per inciso, non ritengo che la professione del medico sia destinata a un declino inarrestabile, ma piuttosto che rientri in una dinamica plurimillenaria di naturale adeguamento ai tempi e al necessario, e conseguente, sviluppo. In tal senso vanno letti i contributi di Antonio Panti e Maurizio Benato, intervenuti sui grandi temi della medicina e sulla sua necessaria evoluzione insieme a quella del medico e del suo agire che segnano i passi della nuova gestione federativa nazionale.

Perciò, ne scaturisce un richiamo ai valori e alla dialettica dell’evoluzione. Al pensiero colto, volto allo sviluppo delle idee. Riportando, cioè, il discorso alla base del confronto e non della semplice contrapposizione che non rimane dialettica e non offre alcun contributo costruttivo alla società, alla medicina e al medico, che vorremmo sempre più al passo coi tempi.

Allora, una prima riflessione. In due dei convegni di respiro ordinistico federativo sul tema si parlava di crepuscolo del dovere, dei rapporti tra etica e giurisprudenza e di rinascita della professione attraverso una deontologia forte. Era un sentimento comune quello di volere un avanzamento della medicina e del “medico evoluto ed etico” al passo dei tempi: erano gli anni 2010.
 
Anni in cui, peraltro, si delineava la necessità di rivedere i termini della formazione quale strumento di competenze, specifiche e certe, da cui far derivare le responsabilità professionali, per logica conseguenza specifiche e altrettanto certe. Una formazione rinnovata vista come una sorta di soluzione al conflitto interprofessionale e al contenzioso crescente. Ma, soprattutto, una garanzia della salute.
 
Questi concetti trovano continuazione nel progetto degli Stati generali, che non devono apparire un esercizio di potere o un’ansia da prestazione o un momento di auto incensazione federativa. Ma viene espressa la necessità di dare corso a quanto non è emerso da “Rimini 2015”. Ovvero è un’occasione per costruire il futuro della professione, significato dall’immagine del ponte verso il futuro, che da allora si è fermato però nel vuoto.
 
Non è emerso in modo evidente quanto è scaturito dal confronto sul nuovo medico e sulla nuova medicina, che oggi reclama una nuova indipendenza, dopo oltre un decennio d’immobilità non solo concettuale. La nuova professione dichiara di volere un nuovo rapporto con le parti politiche e sociali al proprio interno, senza esserne però condizionata. Ma anche si riapre alla società chiamata a una funzione etica, laddove la si consideri il terzo fattore etico della professione. Una società che ha dei diritti e dei doveri nella reciprocanza e completa il rapporto fra medico e paziente che nell’ambito diretto della cura è, e rimane, “duale” (con richiamo al triangolo etico di von Enghelhardt).

In quest’ottica gli Stati generali devono rappresentare un processo di revisione etico-sociale degli ambiti della nuova medicina e della collocazione del medico evoluto, che non può sottrarsi al cambiamento, e sarà oggetto di una riflessione collettiva. A livello federativo si è iniziata un’analisi strutturata, di sistema, che rappresenta il metodo per una revisione anche del codice etico del medico e dunque del codice deontologico, ponendo attenzione ad alcuni dei principi in esso contenuti, per così dire “elasticizzati” che sono da rivedere alla luce del pensiero ippocratico, e da mettere in relazione con la società, le istituzioni, la scienza, la giustizia, e così via. Un impegno concreto a tutto campo.

Una seconda riflessione. Ritornando alla “questione medica”, riproposta in termini precisi in questi ultimi tempi, e alla visione declinante della professione, a ragion veduta parlerei piuttosto d’offuscamento della professione medica a causa di molteplici fattori: in primis la politica, coi suoi provvedimenti legislativi ultimi dagli effetti, come previsto, negativi e poi anche le politiche decentrate della salute. In un intervento congressuale parlavo a questo riguardo piuttosto di un declino arrestabile della professione, anche se non proprio di vero declino si tratti, ma occorre riconoscere che da questo ventennio la professione ne esce ancora viva seppur con le ossa rotte …...

Certo, onestamente si deve considerare che la medicina e la professione una certa crisi la stiamo ancor oggi vivendo, anche se non si può sottovalutare il fatto che più di una voce si sia levata anche da questo giornale per dare una lettura positiva del fenomeno, in particolare mettendo in discussione, per migliorarlo, lo stato di salute della medicina e del medico stesso. Si è concordi nel riconoscere una rinascita della professione, quale superamento di quel “crepuscolo del dovere”, ovvero della visione di Lipovetsky (1992), che non si vuole considerare una giustificazione di una situazione stabilizzata e ingangrenita. Ma tutt’al più un punto di passaggio e di ritorno – e non di non ritorno se fosse vero il contrario - verso un rinnovamento ciclico, storico, che transita per una rinvigorita etica del professare, tanto da far parlare piuttosto di rinascita attraverso una “deontologia forte”….

La linea programmatica della Federazione medica nazionale in cui mi riconosco contiene le proposizioni del Consiglio nazionale ed è orientata al rilancio del sistema salute, al passo coi cambiamenti della società in cui ha un ruolo primario il mondo medico. Le ultime posizioni assunte proprio dal Consiglio Nazionale del 6 e 7 luglio sono a favore degli atti politici della Presidenza e del Comitato centrale, concordando sui principi e sulla riproposizione dei valori inalienabili della professione.

Posizioni chiare, precise, assai differenti rispetto alle proposizioni federative di quest’ultimo quindicennio, che hanno consentito interpretazioni eufemisticamente definite fantasiose sul ruolo e sulla valenza medica; e hanno prodotto incomprensioni ed aspettative immotivate nel sistema di gestione della cura e dell’assistenza. Un processo iniziato che deve continuare, partendo dagli assunti di base per il rilancio della sanità del terzo millennio, su cui ci sarà un primo confronto.
 
Ovvero:
- La salute è un bene sociale inalienabile, e non è una voce di spesa nel DEF, ma quale indice di civiltà e di produttività di una nazione è un settore su cui investire.

- La salute non è un diritto assoluto, lasciato unicamente alla responsabilità del medico e del sistema di cura: è realistico pensare alla salute come diritto a preservarla o, laddove mancante, a conquistarla;

- Il diritto radicato alla salute insieme alla qualità e la durata della vita spostano il confine tra normale e patologico e determinano la pretesa di una medicina infallibile;

- Il concetto innaturale dell’infallibilità sposta le pretese condizionando le aspettative (aumentate) di risultato e determinando il modo di vivere del cittadino e quello d’operare del medico …;

- Il medico diventa “artefice e causa” dell’esito delle malattie con ripercussioni sul piano della Responsabilità.

In queste premesse è probabilmente il fulcro del ragionamento sulla nuova medicina e sul nuovo medico. Un punto di partenza su cui occorre ragionare per dare risposta alla domanda di fondo: è cambiato il medico o è cambiata la medicina? Ma in fondo, vogliamo davvero un cambiamento?
 
L’analisi storica della medicina, da Ippocrate a William Osler o a David L. Sackett, padre del metodo, ci fornisce una prima risposta: cambiano gli atteggiamenti ma non i principi. Ovvero, è cambiata la medicina e, forse, ancora – e ci si augura davvero - cambierà ma non muterà in essenza il medico.
 
Il discorso si farebbe lungo, articolato e forse anche contrapposto, laddove ci si fossilizzasse sulla visione sociologica della salute, che ha inciso in modo significativo, non sempre condiviso, nelle scelte, nelle visioni dei ruoli, delle competenze e delle abilità, dando un valore aberrante all’esercizio della delega “forte” in altri ruoli o della task shifting mutuata dall’industria e dal commercio.
 
È una sfida a cui gli Ordini e la Federazione, per quanto è dato a conoscere, non intendono sottrarsi. Perché rientra nella politica sanitaria di un’Istituzione competente e, nel contempo, garante e tutelante la salute della collettività.
 
Pierantonio Muzzetto
Componente Consiglio Nazionale e Componente gruppo di lavoro FNOMCEO 
per le Tematiche Etico-deontologiche. Docente di etica e deontologia medica.
Corso di Studi di Medicina e Chirurgia Università di Parma 

17 luglio 2018
© Riproduzione riservata

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