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La paura dei professionisti sanitari di diventare vettori del contagio

01 APR - Gentile Direttore,
mi presento, sono Davide, ho 26 anni e sono un tecnico di radiologia medica, anche spesso citato come TSRM. Mi reputo davvero fortunato perché lavoro in un ambiente molto favorevole e privilegiato cioè una clinica privata, ma da ormai 2 mesi mi trovo a fronteggiare sempre più pazienti con difficoltà respiratorie. A causa delle tantissime richieste di esami che arrivano al SSN, sempre più persone si rivolgono a strutture private per arginare le lunghissime liste di attesa. Qualcuno viene indirizzato da noi dal proprio medico di base, altri arrivano di propria iniziativa perché affetti da sintomi riconducibili al virus o ancora c’è chi, spaventato, si presenta per effettuare controlli in via preventiva. Nei casi in cui l’esame radiologico indichi esito positivo per la “polmonite interstiziale” viene richiesto il tampone.
 
Dunque molto frequentemente i primi ad entrare in contatto con una persona con sospetta infezione da Covid-19, prima del medico o dell’infermiere, siamo noi: i Tecnici di Radiologia, TSRM.
 
Nel momento in cui una persona presenta i primi sintomi, viene richiesta un’indagine differenziale per valutare la gravità del suo stato di salute, nello specifico viene programmato un esame radiologico chiamato Tomografia Computerizzate del torace o TC del Torace. Questo perché è ormai appurato che una semplice radiografia dei polmoni non è abbastanza specifica per ottenere un quadro clinico chiaro sullo stato di salute del paziente.
 
Si consideri che ogni persona sottoposta ad esami medici ha una storia clinica diversa dalle altre: non si può sapere da dove arrivi e cosa faccia nella vita! Tocca a noi TSRM effettuare l’anamnesi per avere le prime informazioni utili e successivamente eseguire un esame diagnostico. Quindi il contatto con il paziente è pressoché obbligatorio ed i rischi in cui incorriamo sono elevatissimi, soprattutto ricordo nelle prime settimane dalla scoperta del virus quanto nessuno utilizzava i corretti DPI.
 
Ormai è obbligatorio per chiunque entri in una struttura pubblica l’utilizzo della mascherina, a prescindere dalla presenza dei sintomi o meno, ma quanti TSRM hanno dovuto lavorare proteggendosi solo grazie ad una mascherina chirurgica? E talvolta senza neppure quella? Durante tutto questo periodo moltissime altre persone state a contatto con noi, incuranti del rischio, per cui mi domando: quante vite abbiamo messo in pericolo?
 
Per cui, come i medici e gli infermieri che stanno compiendo un lavoro da encomio in tutte le regioni d’Italia, non bisogna dimenticarsi anche di tutte le altre figure professionali che, un po’ in ombra, lavorano dentro ogni struttura sanitaria.
 
Purtroppo adesso ci ritroviamo in una situazione in cui i veri focolai di Covid-19 si trovano proprio all’interno delle strutture sanitarie. A tal proposito Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri che, nel commentare i numerosi contagi del personale sanitario sottolinea: “In prima linea medici, infermieri, personale sanitario –ha fronteggiato l’onda di piena del virtus senza avere attrezzature adeguate. Dov’erano i dispositivi? Adesso quella prima linea è falcidiata da malattie e, purtroppo decessi. Penso a strutture sanitarie che si sono trasformate in camere di incubazione. Le maggiori infezioni avvengono in ospedale”.

Siamo professionisti che affrontano in ugual modo il rischio a fianco dei pazienti contagiati, che dimostrano lo stesso coraggio e la stessa passione che hanno tutti coloro che lavorano in questo settore. Siamo persone che ogni sera quando arrivano a casa vorrebbero solo divertirsi con propri amici, riabbracciare i loro figli o la loro compagna ma sanno che ogni volta che si tolgono la divisa e le protezioni ed escono dal loro posto di lavoro possono essere un pericolo per qualcun altro. Perché sapete, il rimorso più grosso sarebbe essere proprio noi il veicolo fatale per uno dei nostri affetti.
 
Una volta che tutto sarà finito e non ci saranno più nuovi casi, tutti potranno uscire per fare i tanto attesi aperitivi e rivedere i propri cari, ma la nostra paura non sarà ancora terminata. Fino a quando ci sarà anche una sola persona in terapia intensiva o più semplicemente una ricoverata, noi torneremo a casa con la paura che qualcosa possa essere andato storto o di aver compiuto un errore durante il lavoro, con il pensiero che potremmo esserci contagiati e quindi poi contagiare a nostra volta.
 
Siamo stati i primi a dover fare un sacrificio e saremo anche gli ultimi ad uscirne.
 
Spero che cosi facendo le persone che si stanno lamentando di questa “maledetta quarantena” possano pensare almeno per un momento di essere fortunati a poter abbracciare il proprio figlio o la proprio mamma ogni sera senza i timori che invece noi ci portiamo dentro.

Davide Cattozzi
Tecnico di Radiologia Medica


01 aprile 2020
© Riproduzione riservata

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