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Covid 19. Con la diagnosi precoce calo della mortalità fino al 50%. Pubblicato Studio italiano

Pubblicato su Lancet, lo studio guidato dal S. Orsola di Bologna ha scoperto il meccanismo responsabile della morte dei pazienti in terapia intensiva e dimostra che il virus può danneggiare alveoli e capillari dei polmoni. Il riconoscimento rapido del fenotipo col “doppio danno” consentirà una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie ancora più efficace. LO STUDIO

01 SET - Due semplici esami che identificano le condizioni che portano alla morte dei pazienti in terapia intensiva la cui diagnosi precoce, assieme al supporto del massimo delle cure possibili in terapia intensiva, può portare un calo della mortalità fino al 50%.
Questi i risultati di uno studio italiano, che vede come capofila il Policlinico Sant’Orsola di Bologna, che ha descritto il meccanismo responsabile della elevata mortalità in Terapia Intensiva dei pazienti con Covid-19.
 
Lo studio, pubblicato su “Lancet Respiratory Medicine” lo scorso 27 agosto, dimostra che il virus può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli (le unità del polmone che prendono l’ossigeno e cedono l’anidride carbonica) e i capillari (i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno). Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari muore quasi il 60% dei pazienti. Quando il virus danneggia o gli alveoli o i capillari a morire è poco più del 20% dei pazienti. Il “fenotipo” dei pazienti in cui il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari (pazienti col “doppio danno”) è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distendibilità del polmone < 40; valore normale 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero > 1800; valore normale 10).
 
Questi risultati hanno importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici per i pazienti con COVID-19. Infatti, oggi il riconoscimento rapido del fenotipo col “doppio danno” consentirà una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie ancora più efficace, riservando a questi malati le misure terapeutiche più “aggressive” quali la ventilazione meccanica, la extra-corporeal membrane oxygenation (l’ECMO) e gli ambienti terapeutici a maggiore intensità di cure quali le terapie intensive) trattando invece con la ventilazione non invasiva col casco e il ricovero in terapia sub-intensiva i pazienti con “danno singolo”. Nel futuro questi risultati consentiranno di identificare rapidamente i pazienti in cui testare trattamenti sperimentali con anti-coagulanti per prevenire il danno ai capillari polmonari.
 
Lo studio è stato condotto su 301 pazienti ricoverati presso il Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, il Policlinico di Modena, l’Ospedale Maggiore, il Niguarda e l’Istituto Clinico Humanitas di Milano, l’Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico Gemelli di Roma.
 
Coordinato dal Prof. Marco Ranieri direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva Polivalente del Policlinico di S. Orsola ha visto anche il coinvolgimento del Prof. Franco Locatelli dell’Ospedale Bambino Gesù, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del CTS. Ampia la collaborazione tra diverse discipline (anestesia e rianimazione, pneumologia, radiologia, onco-ematologia, statistica medica) e diverse Università italiane (Università di Bologna, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Milano, Università di Milano-Bicocca, Università di Torino, Università Humanitas, Università Cattolica del Sacro Cuore) ed estere (Université Libre de Bruxelles, University of Ireland Galway e University of Toronto).
 

01 settembre 2020
© Riproduzione riservata

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