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La riforma sanitaria in FVG e le proposte degli infermieri

09 NOV - Gentile Direttore,
lo scenario ed il contesto della presente proposta ha l’ambizione di offrire indicazioni predittive soddisfacenti ad una realtà in continua evoluzione dal punto di vista sociale e culturale ma soprattutto epidemiologico come quella della provincia di Pordenone. Cambiare i contenitori però, senza cambiare e preoccuparsi dei contenuti, è un finto processo che danneggerebbe sia i professionisti coinvolti sia quanti utilizzano i sistemi socio-assistenziali e delle cure, i Cittadini.
 
L’attuale crisi economica li ha resi da un lato più consapevoli dei propri diritti (vedi aumento dei contenziosi) e dall’altro ridotto l’accessibilità al sistema delle cure. La salute è un diritto primario, per mantenerla o recuperarla devono essere garantite interventi socio-sanitari accessibili a tutti, condizione questa che ha portato ad una dubbia garanzia sociale il sistema stesso, dichiarato sempre più spesso dagli “esperti e governanti” insostenibile.

Il nostro è un modello sanitario è costantemente a “rischio” di violazione nei suoi principi fondanti: Universalità (l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione attraverso la promozione, il mantenimento e il recupero della salute fisica e psichica con un’organizzazione capillare sul territorio nazionale), Uguaglianza (accesso alle cure - prestazioni senza nessuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche) ed Equità (garanzia di parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute).

Occorre quindi un rinnovato equilibrio con l’obiettivo di poter fornire risposte a garanzia dei principi fondanti e per ogni livello di necessità, adeguate anche alle aspettative dei cittadini. È necessario riorganizzare l’insieme sanitario locale, rivederne le strutture, in modo che ogni soggetto erogatore previsto si faccia carico di specifiche prestazioni, in un’ottica, appunto, di sistema e continuità e che consenta veramente la presa in carico della persona, il corretto collegamento e collaborazione tra tutti gli attori coinvolti, ma soprattutto intervenga laddove si dovessero creare gap soprattutto di tipo organizzativo.

Gli elementi da considerare in un ottica di innovazione a favore del sistema socio–sanitario che intendiamo sottolineare sono fondamentalmente di tre livelli: l’acuzia, la cronicità e sostegno sociale.
Il modello di Ospedale per acuti, ad alta tecnologia e assistenza, va inquadrato in uno scenario tecnico-scientifico, demografico, socio-culturale e organizzativo molto vasto ed articolato: da un lato è necessario tenere conto delle costose evoluzioni tecnologiche (dalla diagnostica per immagini, alle tecniche chirurgiche, anestesiologiche e rianimatorie, dalla genetica ai trapianti, ecc.) dall’altro considerare che la medicina è oggi in grado di curare sempre di più e sempre per periodi più lunghi allontanando talvolta la possibilità della guarigione. Paradossalmente possiamo addirittura sostenere che guarisce, percentualmente, meno: pensiamo a esempio ai dializzati, trapiantati, cardiopatici, diabetici, oncologici, ecc. Esistono quindi moltitudini di persone che convivono, spesso a lungo e con buona qualità di vita, con la malattia e che hanno bisogno di cure e assistenza di nuovo tipo. Le “conseguenze” a tale condizione generano il livello della cronicità, intesa come costante equilibrio precario tra salute e non–salute.

Ma molto spesso l’ambito delle cure primarie e le strutture sanitarie che erogano assistenza di secondo e terzo livello appaiono come isole non connesse tra loro: ogni isola rappresenta una o più pratiche professionali con i propri standard e valori; tutti gli attori fanno il massimo, ma perdono di vista il paziente e la logica d’insieme. I risultati sono la duplicazione di procedure e servizi con pochi trasferimenti di conoscenze da un erogatore all’altro, una presa in carico frammentaria, un aumento dei costi nonché ridotta soddisfazione dei pazienti.

Nasce l’esigenza,anche sulla spinta della recente riforma regionale, di creare un sistema organizzativo capace di focalizzare l’attenzione sulle patologie croniche e la loro prevenzione con un orientamento integrato tra cure primarie e secondarie che sappia essere efficace, responsivo, sicuro ed efficiente, centrato sul paziente, di tipo proattivo, dove le persone malate e le loro famiglie siano coinvolti nella gestione delle patologie e dove vi sia un orientamento all’integrazione tra professionisti sanitari, setting assistenziali, assistenza sociale e sanitaria. Implementare un sistema di “Care Management” attraverso la fusione–integrazione interprofessionale e interdisciplinare del “Curare” e del “Prendersi Cura” senza rimanere imprigionati nelle dinamiche burocratiche ma con un approccio “snello” che dia una chiara strada di contenimento degli sprechi, ottimizzazione delle risorse disponibili ed elevate performance di sistema coerenti alle risorse disponibili ed ai risultati da raggiungere.

In questo scenario pensiamo che il ruolo della politica sia di creare i presupposti necessari a dare garanzia ai livelli di necessità dei cittadini, delle loro famiglie prioritariamente attraverso il loro coinvolgimento nelle scelte di politica socio–sanitaria.
Riteniamo siano necessarie anche nel contesto pordenonese la diffusione di figure professionali che per vocazione hanno quella di prendersi carico e sostenere i cittadini nella propria gestione della salute sia nel momento dell’assenza di patologie che nel momento della malattia vera e propria in modo continuo attraverso lo sviluppo di processi e rapporti di fiducia (Infermiere di Famiglia e di Comunità = IFC). l’IFC è un modello consolidato, già sperimentato in regione, che sostiene il cittadino, la famiglia o la comunità nei percorsi di prevenzione e promozione della salute, un riferimento cruciale per la garanzia della corretta applicazione di quelle che sono le indicazioni nei processi di cura, un sostegno nelle decisioni e nello sviluppo di competenze e capacità nella gestione della fase stabile dalle patologie croniche.
 
L’intervento si sviluppa sostanzialmente su 3 livelli: ambulatoriale, domiciliare, sociale. Segnaliamo le esperienze che sviluppano le competenze e capacità del paziente e dei suoi familiari nella gestione della fase stabile delle patologie croniche nonché l’utilizzo, da parte dei diversi professionisti sanitari, di linee guida evidence based e di registri di patologia, per un approccio programmato, e non di attesa, proattivo, alla malattia. E’ fondamentale individuare i soggetti fragili dal punto di vista sociosanitario e mappare il loro profilo di rischio e lo stadio delle patologie croniche che si vogliono gestire secondo queste modalità assistenziali integrate. Sono stati messi a punto modelli statistici predittivo in grado di misurare, a partire da flussi sanitari amministrativi correnti, la probabilità di un evento di riacutizzazione di malattia (che si traduce in un ricovero ospedaliero) in modo da permettere la stratificazione dei pazienti per livello di rischio e attivare adeguate misure preventive e di presa in carico da parte del IFC e di integrati team multidisciplinari territoriali. Alcune esperienze nazionali sono rivolte a soggetti con fragilità sociosanitaria e affetti da BPCO e Scompenso Cardiaco.

Altra figura emergente nel panorama nazionale, capace di garantire ai cittadini fragili, con problematiche sanitarie o sociali, continuità di assistenza e dei servizi è l’Infermiere Case Management (ICM = Infermiere Gestore del caso). Rappresenta un’importante figura di cambiamento all’interno della struttura socio-assistenziale, in quanto ha il compito di sperimentare, implementare, diffondere e coordinare la reale presa in carico della persona svantaggiata. Questa s’innesta in un reticolo complesso di relazioni che vedono i diversi attori (medici, infermieri, personale di supporto, operatori sociali) e relative strutture integrarsi in maniera continuativa nel percorso assistenziale (una struttura sanitaria unica come l’ASS 5 rappresenterebbe in tal senso una facilitazione).
 
L’ICM garantisce il coordinamento delle cure lungo un continuum che include la salute, la prevenzione, la fase acuta, la riabilitazione, le cure a lungo termine e quelle erogate negli hospice, sia alla persona che ai gruppi di popolazione. I piani di attività sono diversi:
•    ruolo clinico (accertare i problemi dei pazienti e delle loro famiglie),
•    ruolo manageriale (facilitare e coordinare l’assistenza di pazienti durante la loro presa in carico)
•    ruolo finanziario (in collaborazione con i medici e con gli altri membri del team, l’ICM assicura che i pazienti ricevano cure adeguate e mantiene l’allocazione delle risorse più adatte per la lunghezza della degenza o del soggiorno).
L’ICM agisce per evitare qualsiasi duplicazione inutile o frammentazione dell’attività programmata, in modo da produrre la migliore allocazione e il migliore consumo di risorse.

Oltre a figure professionali altamente specializzate alla gestione e alla presa in carico di cittadini particolarmente a rischio è necessario implementare modelli di organizzazione dei servizi socio-sanitari innovativi, comprensivi ed esaustivi sia per gli aspetti domiciliari sia comunitari per i pazienti con fragilità socio-sanitaria, capaci di aumentare l’accessibilità la qualità delle cure e dell’assistenza coinvolgendo le capacità di autocure dei cittadini e delle comunità locale oltre a modelli per specifiche aree clinico - assistenziale come quelle oncologiche  o in ambito interni stico o chirurgico.

Maurizio Giacomini e Antonio Nappo
Infermieri, Istituto Nazionale Tumori di Aviano


09 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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