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Ecco perché i 21 indicatori vanno rivisti

19 NOV - Gentile Direttore,
buona parte del mondo scientifico lamenta delle carenze nel sistema dei 21 indicatori usati dal Governo per scegliere l’intensità delle misure di contenimento delle attività umane per rallentare la corsa del virus.
 
Il Presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, prof. Zoccoli esorta il Governo a rendere disponibili i dati alla comunità scientifica perché dalle diverse aree di studio possono arrivare suggerimenti utili e soluzioni efficaci.

Gli fa eco il Presidente dell’Accademia dei Lincei, prof. Parisi che sottolinea altresì l’ormai scarsa affidabilità nel calcolo dell’indice Rt e che invita a prendere in considerazione altri indicatori rispetto alla diffusione del virus.
 
Se l’approccio dei 21 indicatori vuol dirsi scientifico, quindi, la condivisione dei dati ne è elemento fondamentale perché permette sia l’elaborazione di nuove idee che verifiche indipendenti, come del resto è usuale in ambito scientifico.

La scarsa condivisione, unitamente all’opacità del metodo usato, si prestano a contestazioni scientifiche che poi si estendono alla politica generando attriti istituzionali tra Stato e Regioni.
Se l’obiettivo è quello di uscire velocemente dal picco epidemico con i minori danni possibili, è il caso di svelare i dati e di migliorare il flusso informativo, mentre per migliorare la qualità dei dati forse è tardi, ma riconoscere il problema è il primo passo per risolverlo.
 
Pur non avendo una letalità allarmante come la SARS, l’approccio alla lotta al COVID19 ha privilegiato quasi universalmente l’aspetto epidemiologico; le agenzie internazionali specializzate (ECDC, WHO, OECD) come del resto le Autorità sanitarie nazionali hanno dedicato i loro sforzi a non sovraccaricare gli ospedali con le azioni più diverse. L’extrema ratio è stato il lockdown di marzo-aprile e di questo autunno: primus vivere, quindi. Non stupisce pertanto che i 21 indicatori siano in larga misura epidemiologici (diffusione del virus, %positivi, ecc) e in via residuale organizzativi (n. posti letto terapie intensive).

Questo approccio, tuttavia, ha due principali lacune: in primo luogo è farraginoso, probabilmente impreciso e quindi foriero di storture e in secondo luogo non è prospettico e non considera gli effetti a medio-lungo termine.
 
Per colmare la prima, come accennato, ben venga una condivisione dei dati e del metodo, ma, se non si vuole ridurre il numero degli indicatori, si dia a questi un peso diverso giustificando tale scelta. Quanto alla seconda e rifacendosi ai rapporti delle già citate Agenzie internazionali, sarebbe doveroso introdurre degli indicatori economici e sociali.
 
Se una situazione di crisi, generando instabilità, influisce negativamente sull’arena finanziaria, i lockdown hanno un forte impatto sull’economia reale innescando avvitamenti recessivi difficilmente recuperabili. Sembra ragionevole soppesare, assieme alla situazione epidemiologica elementi economici e sociali quali il PIL, il risparmio privato, il ricorso a mutui, la composizione della ricchezza delle famiglie, il livello degli stipendi, per citarne alcuni. Questi, oltre a tutto, sono interrelati alla futura capacità di risposta dei servizi sanitari e allo stato di salute dei cittadini.
 
Un bilanciamento tra stato epidemiologico, produzione economica e la ricerca di nuove prospettive di sviluppo vanno ricercati già adesso per non ipotecare il nostro futuro rischiando che si avveri la frase populista: “non si muore di COVID, ma si muore di fame”.
 
Walter Zalukar
Consigliere Regionale FVG – Gruppo Misto
Già Direttore Dipartimento di Emergenza e Accettazione Azienda Ospedaliero Universitaria di Trieste


19 novembre 2020
© Riproduzione riservata

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