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Commissione inchiesta Covid. I dubbi degli infermieri: “Acuirebbe frattura sociale”. Il monito della Fnomceo: “Mai più impreparati”

di G.R.

Si dovrebbe inoltre considerare una possibile sovrapposizione dei lavori già avviati da alcune procure. Piuttosto, sarebbe necessario portare avanti un lavoro finalizzato al farsi trovare pronti a possibili nuove emergenze che potrebbero non necessariamente essere simili al Covid. Questo quanto emerso dalla seconda giornata di audizioni sulla commissione parlamentare d'inchiesta Covid in commissione Affari sociali alla Camera. Oltre alle due Federazioni presenti anche l'ex procuratore generale della Cassazione Salvi e il professore di Diritto pubblico de La Sapienza Luciani

09 MAR -

La commissione parlamentare d'inchiesta potrebbe non essere lo strumento più adatto per fare luce su quanto accaduto durante gli anni dell'emergenza Covid. Anzi, è alto il rischio che lo strumento possa contribuire ad acuire ulteriormente quella frattura sociale venutasi a creare. Si dovrebbe inoltre considerare una possibile sovrapposizione dei lavori già avviati da alcune procure. Piuttosto, sarebbe necessario portare avanti un lavoro finalizzato al farsi trovare pronti a possibili nuove emergenze che potrebbero non necessariamente essere simili al Covid.

Questo quanto emerso dalla seconda giornata di audizioni sull'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sul Covid questa mattina presso la commissione Affari sociali della Camera.

Fnomceo: "Investire sul Ssn per non farci trovare mai più impreparati”. Per il presidente della Fnomceo Filippo Anelli "non è compito istituzionale di questa Federazione esprimere una valutazione sull’opportunità di istituire una commissione d’inchiesta per valutare l’operato e le misure adottate dal Governo, dalle Regioni e province autonome sui piani da essi elaborati in tema di prevenzione e contrasto del Covid durante il periodo emergenziale. Al tempo stesso, una riflessione sul contesto e sull’efficacia delle misure messe in atto può avere un senso in un’ottica di risk management volto alla valutazione completa ed integrata dei rischi".

“L’emergenza Covid – ha ricordato – che ha visto impegnati in prima linea i medici e tutti gli operatori sanitari con spirito di generosità e sacrificio, ha evidenziato il bisogno di potenziare il Servizio Sanitario Nazionale al fine di coniugare la garanzia di adeguate prestazioni sanitarie con un’ottimale gestione delle risorse e la sicurezza degli operatori con le scelte organizzative”.


“La pandemia di Covid – ha continuato – ha messo in luce e amplificato carenze e zone grigie preesistenti nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, frutto di decenni di tagli lineari e di politiche alimentate da una cultura aziendalistica che guardava alla salute e ai professionisti come costi su cui risparmiare e non come risorse sulle quali investire. Ha acceso impietosamente un riflettore su criticità e carenze che erano ormai strutturali. Carenze di personale, con medici ospedalieri che hanno dovuto fare turni anche di 24 ore di seguito, per poter gestire i pazienti che continuavano ad affluire senza sosta. Carenze a livello edilizio, con l’impossibilità, in molti ospedali, di separare i percorsi ‘sporco’ e ‘pulito’. Carenze strumentali, di posti letto, delle terapie intensive. Carenze organizzative, con medici di famiglia lasciati soli ad assistere i pazienti domiciliati; abbandonati a se stessi, senza protocolli, linee guida; senza personale di supporto, privi di strumentazione adeguata, senza saturimetri e bombole d’ossigeno. Senza dispositivi di protezione individuale. Carenze nella sicurezza, appunto, che hanno portato molti medici a contagiarsi, alcuni a pagare con la vita il loro impegno”.

“La situazione nella prima fase è stata drammatica – ha aggiunto – soprattutto nelle Regioni del Nord, tanto che possiamo dire che Bergamo e la Lombardia sono state la nostra Caporetto, la Caporetto della guerra che la nostra Professione ha dovuto combattere contro il Covid. I medici e gli altri professionisti sono stati chiamati ad operare – e i decisori a prendere provvedimenti – in un contesto straordinario: un contesto con evidenze scientifiche scarse e in continua evoluzione, di carenza di personale e di risorse”.

Anelli ha poi elencato tre grandi lezioni che la tragica esperienza del Covid deve insegnare.

La prima, l’importanza di mettere in sicurezza gli operatori sanitari: non solo per salvaguardare la continuità delle cure, ma per assicurarsi che i professionisti non diventino veicolo d’infezione.

“Vorrei in questa sede ricordare – ha affermato – i 379 medici e odontoiatri che hanno perso la vita per il Covid, soprattutto nella prima fase della pandemia, quando ancora non erano disponibili i vaccini e mancavano anche i più elementari dispositivi di protezione. Oltre al nostro Roberto Stella, presidente dell’Ordine di Varese, molti sono i medici caduti. Molti dei nostri colleghi e amici si sono ammalati. I medici di medicina generale si chiudevano a vivere nei loro studi per poter almeno continuare a prescrivere; i medici ospedalieri erano costretti a turni massacranti per l’improvviso impennarsi dell’epidemia sommata alle carenze di organico; gli anestesisti rianimatori si sono trovati di fronte alla necessità di scelte impensabili, di dilemmi etici propri di scenari di guerra. Mentre, sul territorio ma anche in ospedale, mancavano i dispositivi individuali di sicurezza, maschere FFP3 e Ffp2, visiere, guanti, sovracamici monouso. Scarseggiavano anche i tamponi. Nella nostra sede a Roma le bandiere sono state esposte a mezz’asta, il Portale Fnomceo è stato listato a lutto, e così sono rimasti sino alla fine dell’emergenza, in memoria di Roberto Stella e degli altri medici caduti sul campo. Può esserci stata, all’inizio, una sottovalutazione del rischio, perché non si credeva che il virus fosse già presente in quelle zone. Ma è anche vero che i medici sono stati mandati ad affrontare l’emergenza a mani nude, per le falle nel sistema di distribuzione, su base regionale, dei dispositivi individuali di protezione. Eppure, la letteratura internazionale invita, in caso di epidemia, a mettere in sicurezza il personale sanitario, perché è la risorsa più preziosa”.

“Questa è una delle lezioni – ha chiosato – che il Covid ci lascia. La seconda è quella sull’importanza della solidarietà: la stessa solidarietà che rappresenta uno dei principi cardine del nostro Servizio Sanitario Nazionale”.

“Solidarietà tra le Regioni – ha specificato – perché ritornino a ragionare come un corpo unico, come un Servizio Sanitario Nazionale, appunto, che coordina e gestisce i sistemi regionali. Solidarietà tra i cittadini, che hanno sacrificato le piccole libertà personali per un bene più grande, quello della salute. Solidarietà verso i medici, che non devono mai più essere chiamati a sacrificare la loro vita e a mettere a rischio quella degli stessi pazienti per l’inadeguatezza delle loro condizioni di lavoro, perché costretti ad assistere i pazienti senza le dovute protezioni, perché messi di fronte al dilemma etico di dover sacrificare la loro vita come unica – e sbagliata – soluzione per non smettere di portare soccorso”.

Solidarietà come antidoto alle disuguaglianze di salute, questione ancora oggi irrisolta.

“La salute diseguale – ha spiegato Anelli – problema che da sempre ci affligge, è stata resa ancor più diseguale dalla pandemia di Covid. Il Covid è arrivato su un terreno già disomogeneo e ha aperto varchi, scavato solchi, che rischiano di diventare voragini capaci di inghiottire i diritti civili, garantiti dalla nostra Costituzione. E a tutela di tali diritti, del diritto alla Salute, di cui all’articolo 32, del diritto all’Uguaglianza, di cui all’articolo 3, della garanzia stessa dei diritti, di cui all’articolo 2, lo Stato elegge gli Ordini delle Professioni Sanitarie, quali suoi Enti Sussidiari. Dobbiamo vigilare quindi: ripianare tali solchi, affinché non si aprano crepacci insanabili”.

“Occorre garantire – ha ribadito – il superamento delle differenze ingiustificate tra i diversi sistemi regionali, creando un sistema sanitario più equo, salvaguardando il Servizio Sanitario Nazionale pubblico e universalistico. Il raggiungimento di obiettivi di salute deve restare la finalità prioritaria del servizio sanitario. È arrivato il momento di riflettere su un ruolo più forte e centrale del Ministero della Salute: auspichiamo una modifica di legge che rafforzi le sue capacità di intervento, aumenti le disponibilità economiche e le sue funzioni al fine di colmare le diseguaglianze. Rivendichiamo anche un ruolo centrale per i professionisti, che devono essere messi nelle condizioni di partecipare alla definizione e al raggiungimento, in autonomia e indipendenza, degli obiettivi di salute. È la Professione medica, sono le Professioni sanitarie, in quanto garanti dei diritti, la vera rete di unità del Paese in tema di salute”.

La terza lezione, secondo la Fnomceo, è quella dell’importanza di una sanità davvero prossima al cittadino, che risponda alle sue domande di salute nel momento e nel luogo in cui ne ha bisogno. Che veda i professionisti lavorare insieme sul territorio, vicino al letto del malato, con strumenti diagnostici adeguati e che salvaguardi quel rapporto unico e speciale che nasce dalla libera scelta del medico nel quale il cittadino ripone la propria fiducia.

“Le storie di tutti i medici che si sono impegnati contro il Covid – ha sottolineato ancora Anelli – mettendo a rischio e sacrificando, in troppi casi, la loro stessa vita, a causa delle inadeguate misure di sicurezza, dimostrano che è stata la loro professionalità, il loro lavoro, la loro vicinanza la miglior risposta ai bisogni di salute dei cittadini. Diciamo dunque, ancora una volta, grazie a tutti i medici che, ciascuno per la propria parte e con il proprio ruolo, quotidianamente e in silenzio, offrono le loro competenze e i loro valori etici ai loro assistiti e a tutti i cittadini. Grazie ai medici ospedalieri, che hanno lavorato senza sosta in contesti provati da carenze croniche di organici e di risorse; ai ricercatori, che hanno raccolto evidenze su una malattia nuova e sconosciuta; ai medici della medicina territoriale, del 118, della continuità assistenziale, delle Rsa, delle carceri, delle Usca, della specialistica ambulatoriale interna ed accreditata, che sono stati gli angeli custodi dei pazienti a loro affidati, svolgendo, al di là del loro dovere, anche una funzione sociale di vicinanza e consolazione ai malati; ai medici di famiglia, che hanno fatto della loro relazione privilegiata con i pazienti, frutto di un sacrosanto diritto esercitato dal cittadino, quello della libera scelta basata sulla fiducia e alimentata dalla continuità del rapporto, il primo strumento di terapia, il mezzo principe di guarigione e il sigillo di garanzia di lunga vita in buona salute; a tutti i medici e gli odontoiatri impegnati nelle campagne vaccinali. Un grazie ai nostri Ordini che non si sono mai fermati neppure nelle fasi più drammatiche quando erano costretti a lavorare a battenti chiusi e senza personale perché anche gli impiegati dopo i medici erano ammalati o in quarantena. Ordini che hanno prima svolto un ruolo essenziale nella distribuzione dei dispostivi individuali di protezione. Ordini che nell’ambito della sussidiarietà hanno svolto fino in fondo il loro dovere, portando a termine, tra mille difficoltà e sacrifici, i compiti che la legge aveva loro affidato”.

Ma dire grazie non basta: osannati negli anni della pandemia e considerati i moderni eroi della nostra società, in realtà, i medici e gli odontoiatri vivono con grande difficoltà la loro condizione professionale. E, anche qui, la pandemia ha slatentizzato carenze e reso evidenti gli errori del passato.

“L’indagine dell’Istituto Piepoli promossa da Fnomceo e presentata lo scorso anno in occasione della I Conferenza nazionale sulla Questione Medica – ha detto Anelli – ha evidenziato come il mancato investimento sulla medicina territoriale e le gravi carenze di personale, infrastrutturale del versante ospedaliero insieme ad una eccessiva burocratizzazione dell’atto medico siano oggi i fattori all’origine della crisi professionale”.

Una crisi ormai molto profonda, tanto che, secondo lo stesso sondaggio, quasi un medico su tre, potendo, andrebbe subito in pensione. E a voler lasciare la professione sono in maggioranza i medici più giovani, tra i 25 e i 44 anni.

Un dato, questo, rispecchiato da una realtà nella quale sempre più medici abbandonano il Servizio sanitario nazionale, in fuga verso il privato, l’estero, il prepensionamento, la libera professione: una vera e propria emorragia, che già oggi è costata alla sanità pubblica una carenza di 20mila tra medici ospedalieri, soprattutto nei pronto soccorso, e di medicina generale. E la situazione potrebbe peggiorare nei prossimi cinque anni, quando, secondo una proiezione su dati Agenas, andranno in pensione 41000 tra medici di famiglia e dirigenti medici: è necessario dunque arginare il fenomeno degli abbandoni, che riguarda l’ospedale quanto il territorio. Altro fenomeno preoccupante, evidenziato da un’analisi condotta incrociando i dati del Cogeaps, il consorzio che gestisce i crediti dei professionisti, con quelli della Fnomceo, è il netto calo dei giovani medici che scelgono alcune specialità considerate più a rischio di denunce: anestesia e rianimazione, le chirurgie, la ginecologia-ostetricia.

Nasce anche da questo scenario la proposta, lanciata dalla Fnomceo nel corso dell’audizione, di estendere lo “scudo penale” che Anelli si era visto costretto a chiedere per i medici durante la pandemia anche alla situazione attuale di “grave carenza dei mezzi e del personale sanitario”.

“In conclusione – ha terminato il presidente Fnomceo – questa Federazione ribadisce anche in questa sede la necessità di rendere più attrattiva la sanità pubblica e di far sentire i medici al sicuro”.

“Oggi serve da parte dello Stato – ha chiesto – e delle Regioni un intervento straordinario che colmi le carenze e restituisca alla Professione medica quel ruolo che merita: risorse speciali per i contratti di lavoro e abolizione dei limiti per l’assunzione dei medici sia in ospedale che sul territorio nel rispetto di una corretta programmazione. Risorse per consentire a tutta la professione, dipendenti, convenzionati e specialisti accreditati di poter contribuire ad assicurare tutte quelle prestazioni che oggi in parte il cittadino cerca fuori dal Ssn. Servono risorse e riforme per ridare dignità ai medici e ai professionisti garantendo loro autonomia e i loro diritti”.

Fnopi: "Frattura sociale mai vista, Commissione inchiesta l'acuirebbe". Per la presidente della Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche (Fnopi), Barbara Mangiacavalli, "se il punto è fare maggiore chiarezza su quanto è successo, la nostra risposta non può che essere sì. Sul fatto che lo strumento più adatto sia la Commissione d'inchiesta parlamentare su Covid, ci sia consentito esprimere qualche perplessità, in virtù del concomitante lavoro di numerose procure su specifici aspetti che sarebbero oggetto anche dell'inchiesta parlamentare. E anche perché riteniamo che una Commissione d'inchiesta possa prolungare e acuire nuovamente una tensione che noi pensavamo di esserci lasciati alle spalle, una frattura che pensavamo in parte risanata e che oggi ci vede costruire ponti e relazioni sulle macerie umane accumulate in questi ultimi tre anni".

"Una delle ferite più dolorose che noi professionisti della salute ci portiamo dentro dopo quanto accaduto dal 2020 - ha confidato Mangiacavalli - è la tensione politica che ha contraddistinto alcune decisioni, con le continue frizioni tra scienza e apparati dello Stato, fino ad arrivare al rischio concreto di mettere in discussione l'utilità e l'efficacia della vaccinazione di massa. Questa pandemia ha provocato una frattura sociale, professionale e politica mai registrata prima". La presidente di Fnopi cita anche le "tensioni tra la professione e i cittadini, spesso sfociate in vere e proprie violenze sia fisiche che verbali». E ribadisce la convinzione che «sia necessario fare chiarezza, ricordando le 90 vittime censite dalle cronache giornalistiche come appartenenti alla professione» infermieristica, «tutte decedute nei primi mesi di pandemia, con una percentuale non trascurabile di suicidi".

Ma "ci auguriamo che nessuno strumentalizzi ideologicamente questo passaggio parlamentare che vi apprestate a compiere, avanzando anche la proposta di considerare l'alternativa dell'indagine conoscitiva - aggiunge Mangiacavalli -. Diciamo ciò anche nella convinzione che molte delle criticità con cui il Paese ha dovuto fare i conti nel centro della pandemia da Covid affondino le radici nel progressivo depauperamento di mezzi, servizi, risorse, personale del Servizio sanitario nazionale che durava da almeno 15 anni, prima dell'inversione di tendenza determinata proprio dall'inevitabile azione di contrasto all'emergenza".

"Siamo convinti - incalza la presidente Fnopi - che sia necessario guardare ben più indietro di tre anni fa e spingersi almeno fino al 2004, anno di austerity, blocco del turnover, depotenziamento di posti letto, indagare sul perché il Ssn non abbia più avuto una contribuzione rispetto al Pil allineata al resto d'Europa, e non si sia mai voluto investire nel rafforzamento della rete territoriale e nella riorganizzazione della rete sociosanitaria. Il prezzo di queste scelte lo hanno pagato i cittadini e i professionisti sanitari. La pandemia - conclude - ha mostrato a tutti un Servizio sanitario nazionale che non riesce più a garantire l'esigibilità della salute per tutti, così come definita dalla nostra Costituzione".

Salvi (ex procuratore): “Rischio sovrapposizione per Commissione". Una posizione simile alla Fnopi è stata espressa da Giovanni Salvi, ex procuratore generale presso la Corte di Cassazione per il quale vi è non solo un "grande rischio di sovrapposizione", ma ancor più "il rischio di svolgere una funzione che non è propria, mentre si potrebbe perdere quella funzione di conoscenza ai fini delle possibili emergenze nuove che non necessariamente saranno simili a questa".

"Parliamo ad esempio di scelte tragiche a proposito della differenza di disponibilità di respiratori, ma una futura emergenza - ha detto Salvi - potrebbe non essere sui respiratori ma ad esempio sulla decontaminazione da radiazioni, e quindi una previsione che andava bene per una pandemia di Covid-19 sarebbe del tutto inutilizzabile rispetto ad un altro tipo di minaccia come quella radioattiva o altre ancora". Si è parlato a proposito della Commissione, ha inoltre sottolineato, di "giustizia riparativa: credo che questo sia un errore di impostazione perchè se non si deve scegliere la ricerca della responsabilità e della punizione ma la riconciliazione del Paese, cosa molto giusta, la strada non può essere quella giustizia riparativa, che presuppone la responsabilità".

Così, ha avvertito, "si possono suscitare delle aspettative tra le famiglie delle vittime che, se poi non attutate, e ciò è molto probabile, porterebbero a determinare un riflesso profondamente negativo sulla credibilità delle istituzioni". La strada a nostro parere, ha aggiunto, "era quello dell'indennizzo, collegato ad una discussione pubblica che individuasse con precisione la platea degli indennizzabili, E l'indennizzo non prevede l'affermazione di punibilità e responsabilità".

"Credo che dobbiamo rispetto al lavoro fatto negli anni della pandemia, in buona fede e per dare risposta al Paese. Altri hanno fatto scelte diverse, ad esempio quelle dell'immunità di gregge, ma immunità di gregge vuol dire scaricare sui più deboli il costo di una pandemia. Noi abbiamo fatto una scelta diversa e siamo stati imitati, dobbiamo esserne orgogliosi e partire anche da questo", ha concluso.

Luciani (La Sapienza): "Dubbi su efficacia commissione d'inchiesta". Diversi dubbi sull'efficacia di una commissione parlamentare sono stati infine espressi da Massimo Luciani, professore di Istituzioni di diritto pubblico presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza: "La mole dei compiti che si intende affidare alla Commissione appare davvero straordinaria, con il conseguente interrogativo sulla effettiva efficacia della sua azione a fronte di una tale massa di incombenze che graveranno sulle sue spalle se sarà istituita".

"A me sembra evidente - ha affermato - che è problematico l'affidamento di compiti valutativi che sono di competenza del plenum ad una commissione d'inchiesta il cui compito è invece, appunto, l'inchiesta, ovvero la raccolta di dati. Lascia inoltre ancor più perplessi la previsione di affidare alla valutazione della commissione addirittura degli oggetti che sono molto sfuggenti come la ragionevolezza o la proporzionalità delle misure adottate dalle autorità competenti, oppure oggetti molto delicati come `l'efficacia e i risultati dell'attività del Comitato tecnico scientifico´ che riguardano appunto aspetti tecnico scientifici difficilmente compatibili con l'intento dichiaratamente politico dell'iniziativa".

Dubbi anche sulla "sovrapposizione con l'azione dell'autorità giudiziaria li nutrirei - rileva - quando si attende affidare alla commissione l'accertamento di eventuali illeciti, e infine dubbi sulla composizione della commissione perché, considerata la mole dei compiti che si intende affidarle e la riduzione del numero dei parlamentari, venti senatori sono una quantità molto rilevante che potrebbe incidere sul buon funzionamento dell'istituzione del Senato". Più in generale, conclude, "la mole dei compiti che si intende affidare alla Commissione appare davvero straordinaria con il conseguente interrogativo sulla effettiva efficacia della sua azione a fronte di una tale massa di incombenze che graveranno sulle sue spalle se sarà istituita".

G.R.



09 marzo 2023
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