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Forum QS/1. Le 5 priorità di Fazio. Bassoli (Pd): “Fazio cerca scorciatoie, ma dubito dei risultati”


Punti nascita e rischio clinico, liste d’attesa e intramoenia, poi la farmacia dei servizi. Queste le priorità nell’agenda del ministro Fazio. Ma per la senatrice Fiorenza Bassoli (Pd), il ministro non tiene conto della mancanza di risorse per finanziare i progetti e della complessità delle materie, che richiedono approfondimenti per garantire un complessivo miglioramento della qualità del sistema sanitario. “È questa la vera priorità in Italia. Soprattutto al Sud”.

25 OTT - Punti nascita e rischio clinico, liste d’attesa e intramoenia, poi la farmacia dei servizi. Sono queste le priorità nell’agenda del ministro della Salute Ferruccio Fazio, che ormai da qualche settimana ha iniziato ad illustrare le linee di azione per rimettere mano a questi settori. Grande spirito di iniziativa, quello di Fazio. Che però non convince la senatrice Fiorenza Bassoli (Pd), componente della commissione Igiene e Sanità del Senato. “L’iniziativa di Fazio – spiega Bassoli a Quotidiano Sanità – sembra partire dalla considerazione ‘Il Parlamento non va avanti, vado avanti io’. Ma non è per mancanza di volontà che il Parlamento non va avanti. In commissione Sanità aspettiamo da tempo i pareri del Governo e delle altre commissioni su alcuni progetti di legge per sapere, anzitutto, se ci sono le risorse a disposizione per realizzarli. Perché non bastano le idee. Le leggi hanno bisogno di essere finanziate”.
 
Ritiene, quindi, che i piani messi a punto da Fazio possano perdersi nel nulla?
I provvedimenti di Fazio appaiono come delle scorciatoie, ma la loro approvazione e attuazione si scontrerà con tutte le difficoltà con cui ci scontriamo noi in Parlamento.
Non condivido, inoltre, l’idea di raggruppare tante questioni in maxi piani o decreti unici, che è invece il metodo che sta utilizzando Fazio. Anzitutto perché se c’è difficoltà a finanziare un ddl, sarà ancora più difficile trovare le risorse per finanziarie tutto questo elenco di iniziative. Inoltre, si tratta di materie molto complesse, che richiedono un approfondimento. Infine, i cittadini hanno bisogno di riferimenti normativi chiari, di un testo di riferimento per ogni materia e non un testo dove c’è dentro di tutto.
 
 
La limitatezza delle risorse è una criticità che resta, al di là che i progetti da finanziare siano quelli di Fazio o del Parlamento. Come si supera?
Puntando a progetti che siano basati su una visione ampia. A livello culturale, anzitutto, per indirizzare la spesa in base ai bisogni e all’appropriatezza. Ma anche guardando al lungo periodo, cioè a quei programmi che si riveleranno degli investimenti in termini di salute e di risparmio. Non si può solo pensare in base alle emergenze o all’esclusivo atto medico. Mi spiego: sulla base di uno studio dell’Agenas che ha messo a fuoco in 5 Regioni, abbiamo individuato una serie di prestazioni “economiche”, ad esempio la frattura al femore. Se viene operata entro 24, massimo 48 ore, le possibilità di recupero del paziente aumentano in maniera esponenziale. E questo comporta un risparmio in termini di assistenza e riabilitazione, e un contestuale aumento della qualità della vita.
 

Passiamo in rassegna le cinque priorità individuate da Fazio. Rischio clinico.
Condividiamo che quella del rischio clinico sia una priorità. Si tratta di un ambito in cui occorre veramente investire, perché da lì passa la sicurezza delle strutture sanitarie e si colpisce la medicina difensiva, che è una criticità sempre più preminente.
Sono inoltre convinta che attraverso il controllo del rischio clinico si possa impostare una umanizzazione dell’ospedale, introducendo modalità nuove di miglioramento delle cure e del rapporto con il paziente.
Il provvedimento sul rischio clinico potrebbe portare non solo sicurezza, ma anche riqualificazione del nostro sistema sanitario.
In commissione stiamo da tempo lavorando a un testo che è ben definito e ampiamente condiviso, ma bloccato a causa del ritardo dei pareri del Governo e di altre commissioni, tra cui la Bilancio. Si tratta di un passaggio essenziale per capire se ci sono le risorse per finanziare il testo. Questo ritardo, purtroppo, si registra per quasi tutte le leggi che stiamo discutendo. L’auspicio è si possa sbloccare il ddl e permettere di andare avanti con l’esame del testo.
 

Intramoenia e liste di attesa
Una legge sull’intramoenia c’è ed è chiara, ed è quella del 2007, che però è stata continuamente disattesa e prorogata. La decisione di allungare per altri 2 anni i termini per l’intramoenia allargata mi sembra che non porterà alcun risultato in assenza di elementi di disincentivazione di questa modalità di esercizio della libera professione e, in generale, delle inadempienze nei confronti di chi gestisce l’intramoenia.
L’intramoenia ormai è diventata il rifugio di chi, a causa dell’allungamento delle liste di attesa, cerca nel privato quello che non può avere dal pubblico. D’altra parte, a causa dei tagli delle risorse, le Regioni si sono trovate costrette a tagliare l’offerta di prestazioni. In questo contesto, ridurre le liste d’attesa è un’impresa difficile e i cittadini finiscono per cercare nel privato quello che non riescono ad ottenere dal servizio pubblico.
La gestione irregolare dell’intramoenia, inoltre, ha svuotato il senso dell’esclusività di rapporto. Di fatto non esiste più, nonostante si continui a pagare ai medici l’indennità di esclusività.
La legge 2007, che obbligava gli ospedali a riportare l’intramoenia dentro gli spazi aziendali, aveva l’obiettivo di regolarizzare quell’attività. Questo avrebbe nello stesso tempo consentito una migliore organizzazione dell’attività complessiva degli ospedali e un maggiore controllo contro la deriva dell’intramoenia. Il rischio, infatti, è quella parte di attività dei medici si trasformi in attività privata tout court.
Oggi, però, assistiamo ad un’altra proroga, nonostante sia convinta che in molti casi riportare l’intramoenia dentro l’azienda non richieda grandi investimenti strutturali, ma semplicemente riorganizzare gli spazi già esistenti.
 

Farmacia dei servizi
Non sono contraria al fatto che la farmacia offra al cittadino maggiori servizi, ma anche in questo caso credo che il sistema possa funzionare solo a condizione di evitare alcuni pericoli. Il primo è quello che la farmacia dei servizi si trasformi in un modo per privatizzare la cura. Il secondo è un’iper frammentazione dell’assistenza in tanti luoghi sganciati l’uno dall’altro, con una spesa per il Ssn ancora più elevata senza però alcun miglioramento del percorso terapeutico del paziente.
Potenziare il territorio è essenziale, ma se non si costruisce una rete solida tra l’ospedale e il territorio, quindi tra i diversi nodi del territorio, il cittadino rischia di sentirsi ancora più abbandonato. In Italia cresce l’incidenza di malattie croniche, oncologiche e neuro-degenerative. I pazienti hanno bisogno di una rete che parta dall’ospedale, passi per il territorio ed arrivi in casa loro. Il percorso terapeutico è un sistema coordinato di assistenza. Attenzione, dunque, a non frammentare le cure in una lunga serie di singole prestazioni scollegate e senza controllo.
Inoltre, se queste prestazioni, come quelle che saranno introdotte nelle farmacie, non sono parte di un sistema unico, rischiano di essere attivate a macchia di leopardo aumentando ancora più il divario assistenziale tra le aree del Paese. Una sanità a due velocità che già oggi è evidente e che in alcune Regioni richiederebbe una riqualificazione complessiva dei sistemi sanitari. Soprattutto al Sud occorre incentivare non solo la rete dei servizi territoriali, ma anche riqualificare le strutture ospedaliere e riconvertire quelle che non offrono standard di qualità adeguati.
Costruire un sistema solido e di qualità. Credo che sia questa la vera priorità. Poi si potrà anche pensare a rendere le farmacie un punto di riferimento di tutta una serie di prestazioni, ma in questo momento non è la farmacia dei servizi a risolvere i problemi della sanità in Italia. Né da un punto di vista economico, né assistenziale.
 
 
Punti nascita
Ridurre i punti nascita è giusto, ma anche in questo caso nessun progetto di riconversione può avvenire senza prima costruire una rete solida. Ricordiamo che l’Italia è fatta di micro-Comuni, con una dispersione molto ampia. Chiudere i punti nascita con meno di 500 parti, o anche 1.000, non sarà facilissimo. È un progetto che va realizzato con enorme cautela, per non lasciare alcune aree completamente scoperte.
Condivido pienamente la volontà di Fazio di riqualificazione i servizi e ridurre i cesarei, che al Sud hanno raggiunto tassi altissimi. Credo che per raggiungere tale obiettivo la condizione fondamentale sia diffondere il parto indolore, che è una battaglia che conduco da anni. Per implementare l’uso dell’epidurale, però, non basta intervenire sul piano politico. Occorre da una parte sensibilizzare la classe medica e dall’altra avviare progetti di preparazione al parto per le donne, affinché l’evento nascita non sia affrontato con paura e il cesareo non sia un modo per evitare il dolore, ma una necessità estrema.
Dopo i recenti casi di malasanità in sala parto, la commissione Igiene e Sanità ha chiesto di aprire un’indagine sull’evento nascita. Proprio in questa occasione ho insistito affinché si approfondisse anche quello che avviene prima e dopo il parto nella convinzione che sia necessario e urgente riaccendere i riflettori su tutto il percorso parto e non confinarlo solo sul piano della sicurezza tecnica.
Bisogna ridare alla maternità tutta l'attenzione che merita. C’è qualcosa che non va, secondo il mio parere, se in Italia solo il 16% delle donne frequenta dei corsi di preparazione al parto. Corsi che sono convinta possano anche incrementare il ricorso al parto naturale. In questa fase della vita, infatti, è normale che in mancanza di informazioni la donna sia preoccupata e abbia paura. Ma queste paure possono essere dissolte attraverso una fase di formazione e dialogo con i professionisti. Preparazione a cui, secondo me, dovrebbero partecipare anche i padri.
C’è poi tutta la fase successiva alla nascita, ancora più delicata se si tiene conto che molte donne, ma anche una quota degli uomini, sviluppano la “depressione post-partum” che, nei casi più gravi, è la causa di avvenimenti drammatici, fino all’uccisione del proprio figlio. Non si tratta però solo di questo. La nascita di un figlio non è un evento che si limita al parto, anzi, quello non è che l’inizio di una fase della vita che è indubbiamente difficile da gestire. Le coppie devono essere aiutate a diventare genitori, per il benessere del bambino e dei genitori stessi.
Purtroppo, anche là dove questi programmi erano stati attivati, sono stati spesso interrotti per la mancanza di risorse.
Credo che se si vuole veramente riqualificare l’evento nascita, allora occorra ricominciare a porre l’attenzione su un’assistenza complessiva della maternità, e non solo alla prestazione.
 
 
Lucia Conti


25 ottobre 2010
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