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Sanità e diritti. Ma è possibile che sembra ricordarsene solo Cottarelli?

di Antonella Monastra

Nel turbinio di allarmi e smentite sui possibili nuovi tagli alla sanità è mancato qualsiasi riferimento al diritto alla salute. Non ne parlano le Regioni né il Governo, attenti solo alla "governance". Ne ha parlato invece il neo commissario alla spending review, da membro del Fmi. Per fortuna, ma certo è disperante

18 OTT - Seguendo in questi giorni notizie, commenti e reazioni sulla nota del DEF 2013 relativa alla Sanità ed, in ultimo, la Legge di stabilità del Consiglio dei Ministri mi è venuto da pensare alla distanza siderale tra le persone ed il governo che, con le sue scelte e i suoi provvedimenti, di esse dovrebbe occuparsi, alleviandone i problemi e creando presupposti per una vera giustizia sociale. Si tratta di scelte, invece, che di giorno in giorno sopprimono i diritti nel silenzio peloso di tutti coloro che dovrebbero invece alzare la voce, come dice bene il Prof. Cavicchi.
 
E coloro che lo hanno fatto sino ad ora, medici, parlamentari, amministratori regionali, non mettono in discussione la correttezza e la necessità di scelte ragionieristiche per far fronte alla gravissima crisi economica che viene ripetuta  come un mantra per giustificare politiche che invece sono nefaste anche per l’economia stessa del nostro Paese. Crisi dovuta, non dimentichiamolo mai, ad un mondo finanziario immorale e spregiudicato, del quale nessuno si pone il problema di colpire concretamente regole e meccanismi di profitto.  
 
Il risultato è che la salute viene trattata come bene di consumo e le persone come irresponsabili e voraci  consumatori di farmaci e prestazioni sanitarie “inappropriate” e dispendiose. Si dimentica però che un’ipertrofica ed indiscriminata produzione di beni di consumo sanitari - la cui necessità mai viene dimostrata in relazione alla riduzione di incidenza delle patologie - ha incentivato irresponsabilmente il consumismo sanitario con noti meccanismi di induzione del bisogno.
 
Ragionieri ed economisti, anziché supportare con le loro competenze i decisori, hanno finito col dominare la scena determinando un pensiero unico che sta stravolgendo anche la percezione della realtà da parte di chi governa, riportandoci ad una società ottocentesca sul piano dei diritti e delle tutele. Le catastrofiche conseguenze dell’abolizione nei fatti del diritto alla salute, si sta traducendo in una società che sta peggio nel suo complesso poiché uno standard di salute diffuso a tutte e a tutti “conviene” anche a chi può permettersi autonomamente garanzie per la propria salute. 
 
E’ innegabile che la trasformazione del diritto alla salute per tutti in privilegio per pochi sia avvenuto dietro la spinta di chi ha tutto l’interesse a smontare il sistema universalistico delle cure e della promozione del benessere a favore della sanità privata, che alimenta un giro di affari miliardario rispondendo alla logica del profitto a qualunque costo come tanti scandali ci hanno raccontato. 
Una delle ragioni fondanti dell’esistenza di un sistema sanitario pubblico è la riduzione degli effetti delle disuguaglianze sociali sulla salute. Ma ai i determinanti sociali della salute vanno aggiunti moltissimi determinanti di natura ambientale che sfidano la sanità verso risposte cui essa risulta essere spesso inadeguata.
 
Guardando solo un attimo al passato come non considerare una vera rivoluzione dei modelli sanitari la potabilizzazione delle acque, la raccolta in collettori fognari delle acque reflue, le vaccinazioni. Tutti interventi di Sanità pubblica che hanno interagito fortemente con l’assetto sociale, migliorando diffusamente la qualità della vita e determinando un cambiamento epocale. La locuzione “Sanità pubblica” si riferiva ad un sistema di interventi complessivi su tutta la popolazione per il bene e la salute di tutta la comunità, seppure imposti in modo direttivo e paternalistico. Simili politiche sottendevano anche uno sforzo che aveva il merito di coinvolgere tutte le istituzioni, nessuna esclusa, nel raggiungere efficacemente l’intera popolazione, anche quella difficilmente raggiungibile. Ciò comportava un impiego di risorse non indifferente, ma degli effetti ne beneficiavano tutte e tutti con ricadute positive anche sul piano dell’economia reale.
 
Quante di queste sinergie riescono oggi ad operare governando la complessità del benessere delle persone e modificando, in termini di giustizia ed equità, anche l’assetto sociale?
Se è vero che la nota sulla Sanità contenuta nel DEF 2013, con la sua pericolosissima carica contro riformatrice sul diritto alla salute - che tanto ci aveva allarmato - è stata smentita dalla legge di stabilità del Consiglio dei Ministri è anche vero che spostando tutto sul Patto per la Salute si pone il Parlamento in secondo piano nel definire la cornice in cui costruire  politiche sanitarie innovative e nel vigilare sul mantenimento delle indispensabili tutele e sull’inviolabilità dei diritti come indicato dalla Costituzione.  La Ministra Lorenzin nella sua audizione nelle Commissioni parlamentari competenti, Affari Sociali e Sanità, ha affermato che il problema del Sistema è la Governance.
 
Non senza l’amarezza di chi ha  vissuto e subito il processo di aziendalizzazione della Sanità c’è da rilevare che sino ad ora si è avuto a che fare con forme di governance che non solo hanno avuto effetti drammatici sul presente, ma non hanno saputo o voluto valutare l’impatto delle scelte fatte sulla dimensione futura; non hanno saputo o voluto immaginare scenari innovativi per ideare un cambiamento del “sistema salute” senza ledere diritti ed equità. Senza contare quanto la gestione del Sistema sanitario sia stata permeabile ad interessi, mafie e malaffare che sono stati in moltissimi casi la vera governance. Adesso che il Governo sposta il terreno di confronto nel rapporto con le Regioni c’è da chiedersi se queste agiranno un’inversione di rotta o se continueranno a perseguire gli equilibri di bilancio usando il metro del ragioniere sui costi del sistema sanitario regionale.
 
Ciò sembra trasparire dalle parole del Presidente della Conferenza delle Regioni che considera il Patto per la Salute “chiave per garantire qualità ed efficienza della spesa”. E i diritti dove sono finiti?  In quest’ultimo caso il risultato sarà, presto o tardi, una violazione del diritto alla salute con gli strumenti e le modalità già paventati dalla nota del DEF 2013 e probabilmente riproposti in forma meno “frontale” e dichiarata. Ticket, ridefinizione in senso riduttivo dei LEA, riduzione indiscriminata della spesa farmaceutica per far quadrare i conti, saranno nei fatti un’aggressione alle garanzie per la salute collettiva. Invertire la rotta vuol dire piuttosto considerare la prevenzione e la medicina territoriale i punti da cui partire per ridefinire tutto il sistema delle cure  e la sua “governance”. Investire su prevenzione e medicina territoriale significa avviare percorsi virtuosi che conciliano risparmio e qualità.
 
E’ allarmante vedere come il mutamento  del sistema salute - e della cultura su cui esso si fonda - sia avvenuto senza confronto con i soggetti coinvolti, principalmente cittadini ed operatori, lontano da ogni forma di costruzione partecipata e condivisa di modelli innovativi che solo una “mobilitazione cognitiva diffusa”- per dirla con Fabrizio Barca - può produrre. Persino Cottarelli, dirigente del FMI e nominato da Letta commissario alla nuova spending review e che certamente un rivoluzionario non è, individua, in merito alla Sanità, nella prevenzione e nella promozione di migliori stili di vita, quegli approcci sanitari che “potrebbero contribuire considerevolmente a ridurre la spesa sanitaria” anche se poi indica strumenti discutibili e superficiali.
 
E se per ridurre la spesa sanitaria parla di più concorrenza tra pubblico e privato anche sul fronte della gestione e degli appalti, comunque afferma che “qualsiasi privatizzazione deve essere correlata da garanzie certe a tutela di coloro che non possono permettersi di sostenere il pagamento delle prestazioni sanitarie” e ancora “l’assistenza sanitaria è molto importante e va ben oltre il problema del finanziamento. E’ quindi importante che sia sempre garantita una rete sanitaria efficiente e sicura per tutti coloro che non possono pagare per la propria salute”.
 
Naturalmente non condivido il modello proposto da Cottarelli come non condivido l’uso del Pil come unico indicatore di crescita, ma quello che trovo veramente disperante è che egli faccia affermazioni sul tutela del diritto alla salute che mi sarei aspettata provenissero da tutt’altra parte.
 
Antonella Monastra
Ginecologa, Consigliera Comunale a Palermo

18 ottobre 2013
© Riproduzione riservata

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