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Terapia intensiva aperta. Antezza (Pd): “Reparti open per migliorare la qualità di cura dei malati”


Linee guida per aprire i reparti di Terapia intensiva; formare adeguatamente medici e infermieri; Piani nazionali di edilizia sanitaria per attrezzare gli ospedali per favorire la presenza delle famiglie. Questi in sintesi i punti della proposta di legge della deputata Antezza che mira ad aprire i reparti di TI. 

04 NOV - “Il mio obiettivo è realizzare dei reparti di Terapia intensiva perché è dimostrato che per i pazienti il contatto con i familiari migliora la qualità della cura. Reparti parti 12 ore di nelle terapie per adulti e 24 per le terapie intensive pediatriche. Ma per fare questo c’è bisogno di compiere un salto culturale perché in Italia la presenza dei familiari nei reparti di Ti è soggetta a molte restrizioni”. Con queste parole Maria Antezza (Pd), componente Commissione Agricoltura e bicamerale Infanzia, ha presentato oggi la sua proposta di legge insieme alla mozione che mira appunto ad aprire i reparti di terapia intensiva ai familiari dei pazienti.
 
Entrambi gli strumenti, lo diciamo subito, sia la proposta di legge che la mozione non sono stati ancora calendarizzati.
 
Una proposta il cui obiettivo principale ha spiegato Antezza “è porre al centro del sistema il malato in quanto persona e non solo come un corpo da curare. È auspicabile una valorizzazione del paziente e che quindi apertura significhi prioritariamente conciliazione delle tecnologie di questi reparti con le esigenze e capacità di relazione di incontro”.
 
La Pdl si compone di quattro articoli.
Il primo prevede che la realizzazione di reparti di Ti aperta diventi obiettivo prioritario del Psn.
Il secondo parla di realizzazione di linee guida per la realizzazione di reparti di TI aperta. E quindi regolamentazione degli orari di apertura di visita ai pazienti da parte dei familiari, la definizione di tempi e modalità per una comunicazione tra equipe curante, pazienti e familiari. Poi la previsione della figura dello psicologo  per il supporto psicologico sia al paziente che ai familiari, percorsi formativi per il personale sanitario tutto per acquisire e aggiornare un’adeguata competenza professionale in tema di comunicazione. Ma anche definizione nei piani di edilizia sanitaria di adeguati spazi per l’accoglienza nelle terapie intensive aperte.
 
Il terzo articolo mette in capo anche alle regioni dei compiti per la realizzazione dei reparti di TI aperta. Ovvero: trasformazione dei reparti in modo che possano essere aperti, l’organizzazione di corsi di formazione per il personale sanitario per favorire quei modelli assistenziali di cui parla la proposta.
 
Infine il quarto ed ultimo articolo prevede una relazione annuale sullo stato di attuazione della Pdl. Tutto questo naturalmente senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
 
“Reparti di Terapia Intensiva Aperta diciamolo subito non significa senza regole. Questa non è una concessione al paziente ma un suo diritto una risposta efficace ai suoi bisogni”. Ha spiegato Alberto Giannini, responsabile Terapia intensiva pediatrica della Fondazione Ca Grande – Opsedale maggiore policlinico Milano.
 
Ma i rischi infettivi ci sono se si aprono i reparti di terapia intensiva? Paolo Malacarne, Direttore UO Anestesia e rianimazione Asl 6 Pisana lo ha escluso fermamente: “Abbiamo fatto temponi su mani e naso dei parenti che entravano nei reparti. E dopo un anno di analisi i batteri che abbiamo trovato nei pazienti e che causano infezioni sono altri. Quindi non sono i familiari a portare i batteri. I familiari devono lavarsi le mani prima e dopo. La presenza dei familiari è fondamentale il loro è un apporto di qualità nei confronti dei pazienti, che migliorano la qualità di cura”.
 
D’accordo con questa analisi si è detta Silvia Scelsi, Vice presidente Aniarti che ha portato la sua esperienza come infermiera. “Noi – ha spiegato - abbiamo sempre sostenuto il progetto. Non ci sono prove scientifiche contro l’apertura ma anzi tutte le evidenze sono favorevoli. Gli infermieri hanno dato vita ad un progetto itinerante in tutta Italia. Abbiamo portato l’esperienza di chi aveva aperto e ascoltato chi si diceva contrari. Alla fine tutti erano favorevoli. Con un percorso di formazione adeguato e con costi accessibili si può arrivare a cambiare le cultura”.
 
Daniela Sbrollini(PD), Vice presidente della Commissione Affari Sociali della Camera ha spiegato che “i tempi non solo sono maturi ma anzi siamo in ritardo. Nostro dovere essere operativi e dimostrare la sensibilità del legislatore. Impegno non deve essere formale per questo è necessario calendarizzare a breve il Dd in Commissione. Il diritto alla salute deve essere a 360° per non far soffrire ai pazienti il senso dell’abbandono. La rete familiare è fondamentale in certi momenti”.
 
“Il governo si esprimerà nel lavoro parlamentare. I dati che abbiamo a disposizione sono assolutamente in linea con quanto contiene la proposta di cui parliamo”. Così Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute. “Già oggi – ha aggiunto – ci sono le possibilità per chi vuole agire. Nel Patto per la Salute c’è un capitolo sull’umanizzazione e non è un semplice declinazione del concetto. Se lo leggiamo con attenzione si vede che alle regioni si affida una parte di sperimentazione organizzativa e di formazione del personale. Il governo quindi in fase di dibattito parlamentare darà il suo contributo”. 

04 novembre 2014
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