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Sicurezza alimentare. Cirio (FI): “Norme siano applicate con stesso rigore in tutta Europa”


È l'appello lanciato dal parlamentare europeo che chiede all'Europa "maggiore equilibrio, perché se è pur vero che con la salute non si scherza". "A volte, si ha l’impressione che l’Ue scelga più per burocrazia che per tutela, e che gli adempimenti per le nostre aziende non siano una garanzia per la salute ma solo un aggravio di costi".

03 MAR - Eletto nelle liste di Forza Italia e membro del gruppo del Partito Popolare, Alberto Cirio sta dedicando buona parte della sua esperienza ai temi legati alla sicurezza alimentare. Racconta del suo particolare impegno affinché  le risorse destinate all'Italia "arrivino e non restino a metà strada perché non richieste o perché i progetti vengono bocciati". Altra questione che gli sta particolarmente a cuore è l'uniformità delle verifiche, "non ha senso che aziende rumene possano usufruire di controlli meno pressanti". E ribadisce che "l’Italia è all’avanguardia nella gestione della sicurezza alimentare. I nostri prodotti sono di alta qualità, sani e certificati". 
 
Onorevole Cirio, la sicurezza alimentare è un argomento che da tempo è al centro delle politiche europee. Qual è il suo impegno rispetto a questa tematica?
Il mio obiettivo è triplice, durante questa legislatura. Da un lato, infatti, voglio vigilare sulla corretta applicazione della normativa esistente in materia di sicurezza alimentare, che permette di tutelare le produzioni di qualità differenziandole da quelle che non rispettano un determinato disciplinare di produzione, e punendo le contraffazioni. Dall'altro lato sono molto determinato ad orientare la legislazione futura verso un ampliamento di queste tutele anche ad altri settori che non sono ancora toccati, nonché verso un approfondimento di quelle già esistenti, affinché non vi siano vuoti legislativi e tutte le situazioni meritevoli di tutela siano prese in considerazione. Infine, mi sto impegnando a fare sì che le risorse destinate all'Italia, per la sicurezza alimentare così come per tutte le altre politiche, arrivino in Italia e non restino a metà strada perché non richieste o perché i progetti vengono bocciati. Tra le sfide principali, però, c’è anche quella di fare in modo che le regole vengano applicate con egual rigore in tutta Europa: non ha senso che aziende rumene possano usufruire di controlli meno pressanti. Il mantenimento degli standard per la sicurezza alimentare è un costo, quindi, una maggiore tolleranza verso di loro si traduce in concorrenza sleale verso le nostre aziende.

L’Italia come si colloca nell’ambito della sicurezza in campo alimentare?
La scelta di collocare in Italia, a Parma, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare fu, a suo tempo, un grande successo diplomatico di Silvio Berlusconi, ma non vi è dubbio che il gioco sia stato facilitato dall'immagine che l'Italia ha: un posto in cui si mangia bene. E questo ci è riconosciuto da tutti (i francesi si sentono in competizione con noi e fanno fatica ad ammetterlo, ma noi siamo sicuramente in testa). Chiaramente, per questo dobbiamo ringraziare il buon Dio per averci dato un clima che permette coltivazioni di qualità, ma anche i milioni di cervelli pensanti che ci hanno insegnato a trasformare in maniera eccellente, tramandandoci una tradizione culinaria a livelli altissimi.

Quali sono i vincoli a cui siamo sottoposti?
Rispetto a un tempo, sicurezza alimentare significa oggi molte cose, non solo occuparsi della salubrità di un prodotto, ma anche assicurarsi, ad esempio, che pur nella sua qualità non nuoccia per qualche motivo al consumatore finale. Pensate alla complessità delle intolleranze, che implica specifiche procedure e una informazione mirata. Bisogna fare attenzione, però, perché sull’altare di un principio giusto non venga sacrificata la vita delle nostre aziende. L’Europa in questo senso ha bisogno di più equilibrio, perché se è pur vero che con la salute non si scherza, a volte, si ha l’impressione che l’Ue scelga più per burocrazia che per tutela, e che gli adempimenti per le nostre aziende non siano una garanzia per la salute ma solo un aggravio di costi. Questo è ciò che è accaduto in passato, ma che non deve più verificarsi e il ruolo di un europarlamentare, dal momento che è il Parlamento europeo ad approvare questi regolamenti, deve essere proprio quello di vigilare in questa direzione.

I prodotti Italiani rispettano la normativa o ci sono ancora passi da fare?
L’Italia è all’avanguardia nella gestione della sicurezza alimentare. I nostri prodotti sono di alta qualità, sani e certificati. Questo non lo dobbiamo solo alle norme Ue, ma soprattutto alla serietà dei nostri produttori agroalimentari italiani che hanno sempre saputo associare qualità e salute. Abbiamo prodotti eccellenti e, come dimostrano i vari studi sul vino e sull’olio, nelle giuste dosi fanno anche bene.

Sappiamo che a livello europeo si sta dando una nuova regolamentazione agli alcolici. Ci può parlare brevemente di questa nuova normativa? E che ricadute può avere sul vino italiano?
La Commissione europea, guidata oggi da Jean-Claude Juncker, adotta e applica una Alcol Strategy di coordinamento delle politiche degli Stati Membri su questo tema, che viene concordata con il Parlamento europeo. La vecchia strategia è scaduta e nei prossimi mesi verrà definita la nuova per il 2015-2020, sulla base di una risoluzione che sarà approvata ad aprile. Dobbiamo fare molta attenzione, però, e vigilare, perché qualcuno sta cercando di mascherare, come guerra all’alcol, l’attacco a una delle produzioni made in Italy di maggiore eccellenza: cioè il vino. E’ il motivo per cui mi sono battuto per ottenere l’incarico di primo relatore della risoluzione che definirà la nuova strategia, un incarico che spetta di diritto al Ppe in quanto principale partito del Parlamento europeo, ma a cui, trattandosi di un tema molto sentito, puntavano molti eurodeputati anche di altri Paesi. Il mio è un impegno in ottica di vigilanza, affinché una finalità giusta non si traduca in un ingiusto danno a una nostra eccellenza con la sua mistificazione: il vino non è alcol, è un alimento. C’è chi vorrebbe addirittura trattarlo come il tabacco, introducendo degli obblighi anche sull’etichetta. L’Europa deve distinguere tra consumo ed abuso di alcol, valutando l’atteggiamento culturale che i vari Paesi hanno sul tema, perché una cosa è bere “per gustare”, altro è bere “per ubriacarsi”. In altre parole: non si può paragonare un buon bicchiere di vino al giorno, con un bicchiere di vodka a colazione. Su questo punto mi batterò particolarmente perché, pur condividendo pienamente la necessità di contrastare la crescita delle dipendenze, la questione fondamentale è che non dobbiamo proibire, ma educare.

Le mense scolastiche sono sovente oggetto di situazioni di criticità per casi di intossicazione. Quali sono i principi che regolano la grande ristorazione a livello europeo?
Le intossicazioni sono, nella stragrande maggioranza dei casi, dovute al mancato rispetto della normativa in termini di conservazione degli alimenti e/o alla mancata considerazione di intolleranze e allergie individuali. Quindi si tratta di casi che sfuggono alla normativa attuale o che non possono rientrarvi. Il Regolamento FIC (acronimo di Food Information to Consumers) lascia poi agli Stati Membri la possibilità di adottare normative nazionali ulteriori, come quella prevista dal Governo Renzi sulla lista degli ingredienti nei ristoranti, nei bar e nelle pasticcerie, relativa soprattutto alle informazioni sugli allergeni.

Il prodotto alimentare Italiano continua ad essere una vetrina per il nostro paese?
Direi che è uno dei principali ambasciatori del made in Italy d’eccellenza.

Se sì, possiamo essere un riferimento per formare operatori in altri paesi europei o della prima fascia extraeuropea?
La sicurezza alimentare è, certamente, uno dei settori su cui l’Italia può fare scuola, all’interno dei confini dell’Unione europea e nel mondo.
 
Claudio Risso

03 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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