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Intervista esclusiva al ministro della Salute Ferruccio Fazio


Pubblico o privato? "Se la sanità è buona non bado alle formule. Ma nessuno mette in discussione la governance pubblica del Ssn”. Così il ministro della Salute, nell'intervista rilasciata a Quotidiano Sanità. E sul federalismo fiscale nessun timore per il Sud: “Non sarà penalizzato perché l’ammontare delle risorse non sarà toccato”

di Cesare Fassari

03 MAG -
Professor Fazio, Lei è al Governo fin dall’inizio della legislatura in qualità prima di sottosegretario, poi di viceministro e ora di ministro della Salute. Che idea si è fatto del nostro sistema sanitario?
La prima considerazione è che l’Italia ha un buon sistema sanitario. Universale, solidale, di buona qualità clinica e assistenziale. Con un ottimo equilibrio tra il governo nazionale dei Livelli essenziali di assistenza e il loro monitoraggio, a garanzia dell’uniformità della risposta assistenziale e i governi regionali, responsabili direttamente verso i propri cittadini delle performance dei loro sistemi sanitari locali. La seconda considerazione è che, a distanza di oltre 30 anni dall’istituzione del Ssn, persistono differenze inaccettabili nella qualità e nei risultati delle cure tra Nord e Sud del Paese.
La terza considerazione è la conferma della necessità di far evolvere definitivamente il nostro sistema da una logica ospedalocentrica, che ha caratterizzato la sanità italiana degli ultimi cinquant’anni, verso una sanità integrata ospedale-territorio, in grado di rispondere adeguatamente ai nuovi scenari demografici e ai nuovi bisogni assistenziali che ne derivano. Ci rendiamo conto che entro il 2050 un italiano su tre avrà più di sessantacinque anni? E che non sarà più possibile, come avviene ancora oggi in molte parti del Paese, assistere in ospedale pazienti con problematiche derivanti da patologie come il diabete o da altre malattie croniche?

Ma sono anni che si parla di medicina del territorio, di H24 di alternativa all’ospedale. Cosa ostacola, a suo parere, l’effettiva realizzazione di una rete integrata di servizi sanitari?
Due fattori. Il primo è individuabile nella storica resistenza del mondo ospedaliero verso quella che erroneamente è stata spesso vissuta come una potenziale perdita di ruolo. Per anni siamo stati inchiodati dall’equazione “più letti-più potere”, cui erano legati i singoli primari e che il ddl sul governo clinico intende superare togliendo la titolarità dei letti ai primari, in favore di una gestione flessibile dei letti nell’ambito del dipartimento.
La seconda sta nella simmetrica resistenza al cambiamento da parte dei medici di famiglia che, fino a qualche anno fa, apparivano molto legati alla loro individualità professionale. Oggi le cose sono cambiate. L’80% dei medici di famiglia è convinto della validità dell’associazionismo. Un cambiamento di mentalità e cultura che il Governo ha contribuito nettamente a incentivare mettendo sul piatto 350 milioni di euro per finanziare l’associazionismo e per promuovere la territorializzazione dei codici bianchi e verdi del Pronto soccorso. Senza contare la grande potenzialità delle nuove farmacie, diventate veri e propri presidi sanitari multifunzionali grazie alla riforma recentemente approvata in Parlamento. E senza contare, infine, il processo di razionalizzazione virtuosa della rete ospedaliera che siamo riusciti a conseguire grazie ai Piani di rientro dal deficit in atto in molte Regioni del Centro Sud. Proprio quelle più arretrate sulla medicina del territorio.

In molti sostengono che avremo davanti tre anni di riforme. Pensa che anche la sanità sarà coinvolta dal processo riformatore e se sì in quale campo?
Senz’altro. Del resto lo stiamo già facendo. A partire dal riassetto dell’Educazione continua in medicina che abbiamo affidato all’Agenas, razionalizzando contestualmente il sistema dell’accreditamento, ora in capo ai provider e non legato ai singoli eventi, per rinnovare e rilanciare questo sistema straordinario di aggiornamento permanente per tutti gli operatori della sanità che accompagnerà tutti i nuovi processi di evoluzione organizzativa, scientifica e tecnologica del nostro sistema sanitario. E poi con il cambiamento nelle regole per la valutazione dei bandi sulla ricerca biomedica, per premiare finalmente il merito e la competenza e dare concrete possibilità ai giovani ricercatori italiani di mettersi in luce con progetti innovativi. Abbiamo inoltre varato il nuovo Piano nazionale della prevenzione, che dà forte impulso all’innovazione anche in questo campo, puntando molto sulla medicina predittiva. E infine, dopo anni di attesa, la nuova rete delle cure palliative oggi è finalmente realtà, grazie alla legge appena approvata e da noi fortissimamente voluta.

Nessuna riforma di sistema, però?
Guardi, la sanità è un sistema complesso e in continua evoluzione. Necessita per questo di una manutenzione costante per adeguarne la struttura ai bisogni in cambiamento ma anche alle nuove opportunità che provengono dalla ricerca scientifica e tecnologica. E nessuno deve restare fermo. Anche le Regioni oggi virtuose e con un’ottima sanità non possono adagiarsi sul presente perché in brevissimo tempo potrebbero trovarsi indietro rispetto alle innovazioni dei bisogni e della scienza.

E sul rapporto pubblico e privato? Il vecchio motto “meno Stato più mercato” sembra ormai in disuso parlando di sanità…
Facciamo chiarezza. Il nostro è un sistema a governance pubblica e tale deve rimanere. Poi operano buoni gestori pubblici e buoni gestori privati. Se la sanità è buona non bado alle formule, mi interessano i risultati. Sono l’unica cosa importante.

Federalismo fiscale. Siamo prossimi ai decreti delegati. Al di là delle soluzioni tecniche per i costi standard resta un dubbio. Il Nord vuole più soldi e il Sud non vuole rimetterci: come facciamo a far quadrare i conti senza scontentare nessuno?
La sanità buona costa meno della sanità cattiva. E, come sappiamo, è fuori discussione che la sanità buona esista soprattutto al Centro Nord. Detto questo il Sud non sarà penalizzato perché l’ammontare delle risorse non sarà toccato dal federalismo fiscale.
Ma è chiaro che si accentuerà la logica del fallimento politico legato a una cattiva gestione della sanità e ai conti in rosso che ne conseguono. Un processo del resto già in atto a prescindere dal federalismo fiscale con l’avvio dei Piani di rientro che ha già dato ottimi risultati in Abruzzo e Sicilia.

Testamento biologico, RU 486, fecondazione assistita: secondo lei dovrebbe prevalere di più la scienza o la morale?
Intanto parlerei di etica e non di morale. E non dobbiamo temere le ragioni dell’etica. Ciò premesso si tratta di tematiche verso le quali qualsiasi decisione deve essere impostata sulle conoscenze scientifiche. Le più autorevoli, e non a caso è nostra prassi rigorosa quella di non prendere decisioni senza consultare il Consiglio superiore di sanità, il massimo organo di consulenza scientifica del Governo. Ma è indubbio, per non eludere il senso della sua domanda, che, a differenza del mondo anglosassone, da noi la tradizione e la cultura della Chiesa Cattolica hanno un riconoscimento storico e costituzionale, mai messo in discussione da alcuno.

Gli operatori sanitari attendono da anni il governo clinico: pensa sia la volta buona per la riforma parlamentare oppure saranno le Regioni ad adottare da sole provvedimenti in materia?
Mi auguro che lo facciano! Ne hanno facoltà e certamente potranno modellare al meglio il governo clinico sul loro sistema di governance della sanità. Penso tuttavia, e per questo vedo con favore quanto si sta facendo in Parlamento, che il Ssn abbia bisogno di riferimenti omogenei in questa materia e pertanto invito le Regioni a non vedere con diffidenza quelle norme che possono apparire di dettaglio, ma che in realtà sono norme di principio, che il Parlamento sta esaminando per favorire il coinvolgimento degli operatori nella gestione e per garantire più trasparenza e merito nelle nomine dei dirigenti sanitari e dei primari. Sono due obiettivi importanti sui quali sono convinto che tutte le Regioni possono tranquillamente convenire, senza sentirsi in alcun modo scavalcate nelle loro competenze.

Spesa farmaceutica. Dopo anni di allarmi per la spesa dei farmaci venduti in farmacia oggi il problema sembra spostarsi in ospedale dove si registrano costanti aumenti della spesa farmaceutica. Come mai? E quali soluzioni sono allo studio per contenere questa escalation?
Il perché della crescita della farmaceutica ospedaliera sta essenzialmente nella forte innovatività insita nei nuovi farmaci ad uso ospedaliero. Il tema è al centro dell’agenda della Stato-Regioni e sul tavolo vi sono già diverse opzioni. Sia per limitare gli sprechi che purtroppo si verificano nella gestione delle scorte nelle farmacie ospedaliere, sia valutando la possibilità, e i potenziali vantaggi, del trasferimento sul canale farmacia di alcuni prodotti oggi ad uso esclusivo in ospedale. Vi sono poi anche ragioni scientifiche che spiegano questa crescita di spesa. Soprattutto in campo oncologico, dove dobbiamo incentivare gli studi finalizzati a rendere sempre più mirate le terapie al fine di evitare la somministrazione di farmaci innovativi a bassa specificità terapeutica, che hanno costi altissimi a fronte di scarse risultanze sulla loro efficacia in determinate forme tumorali.

Che idea si è fatto dei nuovi presidenti alla guida delle Regioni in difficoltà che ha appena incontrato? Le sono apparsi consapevoli e motivati della sfida che li attende per riportare in asse i loro servizi sanitari?
Molto buona. Sono senz’altro consapevoli e altrettanto determinati. Ho già incontrato e avuto contatti con i neo presidenti del Lazio e della Campania e a brevissimo incontrerò quello della Calabria. Devo dirle che ho subito notato un cambio di passo e di atteggiamento rispetto alle precedenti Giunte con le quali, mi dispiace dirlo, abbiamo avuto molte difficoltà di dialogo e confronto nella gestione dei Piani di rientro.

Vedrebbe ancora bene Vasco Errani alla guida dei presidenti delle Regioni?
Dovrei rifiutare questa domanda perché lungi dal Governo influenzare in alcun modo una decisione che spetta solo alle Regioni, ma posso comunque affermare con grande serenità che con Errani c’è sempre stato un buon colloquio. Lo stesso che conto di avere con chiunque, e di qualsiasi parte politica, dovesse prendere il suo posto alla guida della Conferenza dei presidenti regionali.

È stato presentato e messo on line dal Ministero il modello di verifica delle performance sanitarie basato sull’esperienza del Sant’Anna di Pisa. Un gran bel lavoro che però appare più orientato ai manager e ai medici che ai cittadini. Pensa che potremo vedere anche in Italia un modello trasparente di valutazione dei medici e degli ospedali basato sugli esiti delle prestazioni in Internet accessibile e comprensibile dai pazienti?
Sì, anche se per arrivare a ragionare in termini di esiti la strada è ancora lunga perché occorre stratificare e rendere omogenei i dati sugli ingressi e sulla specificità dei casi trattati, per evitare conclusioni sommarie e fuorvianti che potrebbero derivare da un esame grossolano che si limitasse a registrare il risultato secco di un intervento a prescindere dalle caratteristiche del caso trattato. Su questo stiamo già lavorando in collaborazione con il professor Perucci che ha sviluppato un sistema basato sugli esiti nel Lazio. Vogliamo poi arrivare ad una vera interattività dell’informazione on line sulle performance e in proposito abbiamo ricevuto interessanti proposte dal professor Ricciardi della Cattolica. Ma vogliamo fare ancora di più, implementando il nostro modello di valutazione anche con altri indicatori che tengano conto della valutazione dei cittadini, sia attraverso gli audit civici che monitorando la soddisfazione dei pazienti trattati.

È un periodo che non si parla quasi per nulla del problema droga. Al contrario è molto sentito l’allarme alcol giovanile. Pensa che ciò derivi da nuovi scenari di consumi e dipendenze oppure è solo questione di trend giornalistici?
Purtroppo persistono ambedue le emergenze. Le dipendenze restano un problema per i nostri giovani e l’allarme è sempre innestato, soprattutto in relazione alle nuove tendenze di consumo, come il binge drinking, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi. Fenomeni che non hanno nulla a che vedere con la tradizionale cultura del vino che resta un patrimonio nazionale da valorizzare e salvaguardare all’interno delle nostre tradizioni e che può anzi essere di aiuto per ribaltare un approccio sbagliato al consumo di alcol legato allo sballo per lo sballo. Prima di tutto dobbiamo quindi affrontare un problema culturale e anche di conoscenza dei rischi effettivi. Un lavoro sul quale siamo molto impegnati anche ai fini della prevenzione degli incidenti stradali correlati all’alcol o alle droghe

L’Aquila. A che punto siamo con la ricostruzione della sanità dopo il terremoto?
Torno da quella città da pochi giorni e sono rimasto impressionato dal lavoro fatto. La Giunta del presidente Chiodi e le altre istituzioni stanno marciando sulla strada giusta in collaborazione con tutte le categorie della sanità. In particolare poi registro un ottimo accordo con la sanità privata abruzzese che mette fine a un lungo periodo di ombre su quel comparto. E infine sono rimasto profondamente colpito da quanto si sta facendo all’ospedale San Salvatore dove ho visitato le nuove sale operatorie e i nuovi reparti diagnostici che saranno inaugurati il prossimo 6 maggio e che non hanno nulla da invidiare ai migliori reparti italiani ed europei.

Dopo l’ospedale San Salvatore anche quello di Messina è stato danneggiato a causa di un’evidente mal costruzione. Bertolaso ha parlato di 500 ospedali potenzialmente a rischio sismico. Non pensa sia il tempo di intervenire con un grande piano di messa in sicurezza della rete sanitaria cogliendo l’occasione per ammodernare tutto il parco sanitario italiano?
Su questo tema si sta svolgendo un’inchiesta accurata da parte del Senato nell’apposita commissione guidata dal senatore Marino, anche al fine di tracciare una mappa reale del rischio. Sappiamo tuttavia che oggi costa meno costruire ex novo un ospedale rispetto ad una sua profonda, quando necessaria, ristrutturazione. Molti interventi sono comunque già in atto in tutta Italia nell’ambito degli accordi di programma per l’utilizzazione delle risorse stanziate per il piano di ammodernamento strutturale della sanità e molti altri sono in agenda con la decisione del Governo di inserire molte iniziative di ristrutturazione sanitaria nel piano delle grandi opere con il quale vogliamo ridisegnare la rete strutturale e infrastrutturale del nostro Paese.

Un’ultima domanda. Legge 194 sull’aborto, legge 180 per la chiusura dei manicomi, legge 833 che ha istituito il Ssn: tre grandi riforme che hanno rivoluzionato la sanità e il diritto alla salute in Italia. Cambierebbe qualcosa di quelle leggi?
Sulla 194 non ho rilievi particolari da fare. Sulla 180 penso che dobbiamo avere la maturità di ragionare in termini non ideologici. Mi spiego. Se parlassimo di riformare la 180 daremmo l’idea di voler attuare una controriforma, rispetto alla giustissima scelta operata nel 1978 di chiudere i manicomi e dare il via a un nuovo approccio nei confronti della malattia mentale, che oggi ci è invidiato ed è emulato in gran parte del Mondo. Dobbiamo invece pensare a come rispondere agli innegabili disagi in cui versano migliaia di famiglie troppo spesso lasciate sole nella gestione del disagio mentale. Per farlo penso a interventi di carattere legislativo per la residenzialità, come quello proposto dall’onorevole Ciccioli, volti a potenziare l’assistenza domiciliare e a garantire comunque le cure adeguate in ogni frangente. Ma penso anche agli interventi organizzativi per il potenziamento e l’omogeneizzazione dei servizi pubblici e privati, che stiamo inserendo negli obiettivi di Piano 2010. La legge 833, infine, è la nostra legge quadro fondamentale che resta valida in modo assoluto nei suoi principi e nei suoi obiettivi. Ma, come ho già detto, la sanità ha bisogno di una manutenzione costante e infatti anche la 833 è stata negli anni aggiornata e migliorata con diversi interventi legislativi che hanno portato all’aziendalizzazione delle Asl e degli ospedali, alla nascita dei Lea e poi alla piena assunzione di responsabilità delle Regioni. La strada è questa, non si cambia, ma non si deve neanche restare fermi pensando che le soluzioni e gli strumenti validi e attuali trent’anni fa lo possano essere per sempre.

 

03 maggio 2010
© Riproduzione riservata

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