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Errori in sanità. Solo in 1 caso su 3 è colpa del medico. Serve prevenzione del rischio clinico

di Benedetto Fucci

Il dibattito in corso alla Camera sulla responsabilità dei medici e dell'ente è necessario e deve anzi essere accelerato; ma bisogna affrontare con forza il tema degli standard tecnologici, strumentali e organizzativi degli ospedali

03 LUG - Ho letto con interesse l’articolo pubblicato su Quotidiano Sanità del 29 giugno sugli errori in sanità. I dati emersi sul numero di denunce a carico dei medici e sull’entità delle cause pendenti confermano due elementi: il dibattito in corso, alla Camera, sulla responsabilità dei medici è necessario e deve anzi essere accelerato; bisogna affrontare con forza il tema degli standard tecnologici, strumentali e organizzativi degli ospedali. In particolare quest’ultimo punto, spesso sottovalutato, è molto importante. Come emerso di recente, infatti, nella maggior parte dei casi i problemi derivano da un’organizzazione inadeguata, dall’uso di strumenti obsoleti, da incomprensioni banali sulla cartella clinica. Solo un terzo degli errori sarebbe riconducibile a condotte del medico.

Questi elementi sono molto importanti anche sul piano concettuale perchè, come per esempio osservato dall’Avv. Vania Cirese, autorevole esperta del settore, ai giorni nostri è ormai anacronistico riferirsi solo all'attività svolta dal libero professionista e non anche a quella della struttura sanitaria, la quale (anche in base a disposizioni di legge già vigenti: si veda il decreto legislativo 502 del 1992) deve garantire sul piano strutturale, tecnologico e organizzativo un adeguato livello delle cure. Vi è insomma necessità di un contesto che consenta al medico di lavorare bene e in serenità. Questo significa parlare di temi quali la responsabilità degli enti e dei loro dirigenti preposti, appunto, agli aspetti organizzativi, strutturali e gestionali.

La mia riflessione è che questi elementi debbano spingerci ancor di più ad affrontare in modo adeguato e strutturale il tema del sistema di analisi e di prevenzione del rischio clinico a livello nazionale. L’ultimo intervento in materia, contenuto nel “Decreto Balduzzi” del 2012, fu del tutto inadeguato in quanto si passò da un testo iniziale del provvedimento positivo a un testo poi modificato in peggio e soprattutto privo delle necessarie risorse economiche: questo fu peraltro uno dei motivi che mi spinsero, allora, a votare contro quel provvedimento in dissenso dalle indicazioni del mio gruppo parlamentare.

Oggi in Italia non esiste, a differenza di altre realtà anche europee e a noi vicine come la Francia, un vero e univoco modello nazionale di gestione del rischio che si rifaccia a una metodologia riconosciuta. Se in alcune realtà locali (capofila sono stati il Veneto e la Toscana) ci sono unità sul rischio clinico già operative e questo rappresenta un elemento positivo sul piano territoriale, è altrettanto vero che tali interessanti esperienze non sono nelle condizioni di "fare rete".

Evidenzio questo tema sia per la sua oggettiva importanza, sia perchè esso viene in parte trattato nelle proposte di legge sulla responsabilità all'esame della Commissione Affari Sociali della Camera. In altre parole il dibattito in atto alla Camera, pur con tempi che io stesso non esito a definire troppo lunghi, va seguito anche per l'interesse di questo specifico punto, il cui esame deve a mio parere procedere di pari passo con quello relativo alla responsabilità del medico e dell'ente. Senza infine dimenticare che un efficace sistema di gestione del rischio clinico contribuirebbe anche a ridurre le dimensioni oggi notevoli, e quindi anche la portata delle loro conseguenze sul piano economico per il Ssn, della “medicina difensiva” che, secondo i dati di un’indagine portata all’attenzione della Camera, ha un’incidenza sulla spesa sanitaria pari a circa il 10 per cento.

Benedetto Fucci
Segretario della Commissione Affari Sociali della Camera


03 luglio 2015
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