Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Giovedì 28 MARZO 2024
Governo e Parlamento
segui quotidianosanita.it

Senato. De Filippo sui corpi di migranti all’ospedale di Catania, formazione per assistenza a donne soggette a mutilazione genitale e ausili per l’ossigenoterapia


I locali dove si sono svolte le operazioni di esame delle salme, sono stati individuati in modo da escludere ogni possibile conseguenza sulla salute degli utenti e del personale dell'ospedale. Il Ministero della salute ha emanato nel 2007 Linee guida destinate alle figure professionali sanitarie per il sostegno a donne e bambine sottoposte a mutilazioni. Per i pazienti che si spostano si sta valutando la possibilità di consegna del proprio ‘stroller’, per averne in cambio uno compatibile con l'unità di base disponibile nella Regione.

10 MAR - Il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo è intervenuto ieri in commissione Sanità al Senato per rispondere a tre interrogazioni. La prima, presentata da Nunzia Catalfo (M5s) riguardava il trasferimento presso l'ospedale "Vittorio Emanuele" di Catania di alcuni corpi di migranti periti in mare. De Filippo ha spiegato che i locali dove si sono svolte le operazioni di esame delle salme, sono stati individuati “a seguito di scrupolosa valutazione, per escludere ogni possibile conseguenza sulla salute degli utenti e del personale dell'ospedale, ospitavano un tempo la clinica ostetrica, ormai trasferita presso altro presidio, e non risultano più utilizzati per attività assistenziale né per punto nascita”. Inoltre, ha aggiunto, “a scopo meramente precauzionale, gli Enti preposti hanno provveduto all'isolamento della zona per la durata delle operazioni”.
 
Questa la risposta integrale di De Filippo: “Secondo quanto comunicato dalla Prefettura–Ufficio territoriale del Governo di Catania, la Marina militare ha provveduto al recupero del relitto del naufragio del 18 aprile 2015 e dei corpi dei migranti deceduti a seguito del tragico evento. Il Commissario straordinario per le persone scomparse ha coordinato le operazioni di identificazione delle salme recuperate e di prelievo del DNA, che sono state affidate all’Istituto "Labanof" dell'Università degli studi di Milano. In tale contesto, il 3 luglio 2015 sono giunti al Porto di Catania i primi 13 cadaveri rinvenuti nel natante affondato e, sulla base delle intese raggiunte in sinergia con le Forze dell'ordine, il Comune di Catania e l'Azienda ospedaliera universitaria "Policlinico–Vittorio Emanuele", i Vigili del fuoco hanno curato il trasferimento dei corpi dal container refrigerato della Marina militare ai locali messi a disposizione dall'Azienda ospedaliera. Durante le operazioni di trasporto sono stati adottati tutti i dispositivi di sicurezza previsti per evitare eventuali contaminazioni.
I locali dove si sono svolte le operazioni di esame delle salme, individuati a seguito di scrupolosa valutazione, per escludere ogni possibile conseguenza sulla salute degli utenti e del personale dell'ospedale, ospitavano un tempo la clinica ostetrica, ormai trasferita presso altro presidio, e non risultano più utilizzati per attività assistenziale né per punto nascita. Le prestazioni assistenziali degli attigui laboratori di analisi e ambulatorio di diagnosi prenatale che, comunque, si trovano in un altro edificio, sono state temporaneamente espletate in altri siti.
A scopo meramente precauzionale, gli Enti preposti hanno provveduto all'isolamento della zona per la durata delle operazioni (dalle ore 16 del venerdì alle ore 4 della domenica) ed alla pulizia straordinaria dell'area adiacente ai locali in questione al termine dell'esame autoptico dei corpi, circoscrivendo il disagio per le persone al tempo strettamente necessario per lo svolgimento delle stesse operazioni. Allo stato attuale, non è previsto il trasferimento di ulteriori salme da identificare nel territorio della Provincia di Catania.

In merito alla vicenda segnalata, il Ministero della salute ha peraltro provveduto ad attivare il Comando Carabinieri per la Tutela della salute, ed il Nucleo antisofisticazioni e sanità di Catania ha fornito le precisazioni di seguito riportate. I locali utilizzati per l’esame autoptico erano stati individuati in esito ai sopralluoghi delle Autorità coinvolte (prefetto, questore, procuratore capo, due assessori del Comune, direttore dell'Azienda ospedaliera e responsabile dell’equipe medica autoptica).
Il container refrigerato della Marina militare è stato collocato a tre metri circa dall’ingresso dei locali e le operazioni di scarico e trasporto delle salme sono state effettuate da personale specializzato dei Vigili del fuoco. Durante le operazioni, alle quali hanno assistito, tra gli altri, il prefetto, il procuratore capo, i due assessori, il direttore sanitario aziendale, non si è verificato alcun inconveniente. Le salme erano custodite in apposite sacche in plastica e negli ambienti utilizzati sono stati attivati condizionatori portatili prima dell’arrivo dei corpi.
Al termine di ciascun esame, le salme venivano composte in singole bare, sigillate a cura della ditta di trasporti funebri contattata. Le sacche ed il materiale monouso utilizzato in sede autoptica sono stati trattati come rifiuti speciali, sigillati in contenitori e smaltiti a cura dell’Azienda ospedaliera. La sanificazione degli ambienti esterni ed interni è stata curata da operatori del Comune di Catania e delle ditta interna alla struttura ospedaliera. Il NAS di Catania ha verificato che i locali utilizzati (posti al piano terra/rialzato del padiglione 10), non ospitano da tempo servizi dei reparti di ostetricia e ginecologia, mentre presso i laboratori di anatomia patologica (primo piano) e di citogenetica e diagnosi prenatale (secondo piano), non vengono effettuati interventi; le pazienti sono monitorate e sottoposte alle analisi nel corso della gravidanza”.

Catalfo (M5s) in sede di replica si è dichiarata non soddisfatta della risposta, rimarcando che il trasferimento delle salme dei migranti presso l'ospedale "Vittorio Emanuele", per l'inadeguatezza della sede e per l'inappropriatezza delle metodiche usate, ha posto a repentaglio la salute dei cittadini e del personale sanitario e medico.

E’ stato poi il turno di Donella Mattesini (Pd) e della sua interrogazione sulla formazione destinata al personale sanitario per l'assistenza alle donne e bambine sottoposte a pratiche di mutilazione genitale femminile. Il sottosegretario ha ricordato come il Ministero della salute ha emanato, con decreto ministeriale 17 dicembre 2007, le Linee guida destinate alle figure professionali sanitarie, nonché ad altre figure professionali che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate le pratiche di MGF, per realizzare una attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche.
 
Questa la risposta integrale di De Filippo: “La pratica delle mutilazioni genitali femminili (MGF) è una tradizione profondamente radicata in molte comunità, in gran parte concentrate in 29 Paesi africani, prevalentemente nell’Africa Subsahariana, che l’immigrazione ha fatto conoscere anche in Europa e in Italia. Il fenomeno è presente anche in alcuni paesi dell'Asia e del Medio Oriente, ed è generalmente caratterizzato da profonde implicazioni di ordine psicologico, economico, sociale e culturale. Dette pratiche sono proibite dalle leggi della maggior parte dei Paesi occidentali e africani. Secondo il Rapporto UNICEF pubblicato nel 2013, nel mondo sono più di 125 milioni le bambine e le donne che hanno subito le MGF, e almeno 3 milioni di bambine sono a rischio di subire la pratica ogni anno. In Europa, il numero di donne e ragazze che convivono con le conseguenze derivanti dalle MGF è ancora sconosciuto, sebbene il Parlamento Europeo stimi che la cifra si aggiri intorno alle 500.000 unità, con altre 180.000 donne e ragazze a rischio di essere sottoposte alla pratica ogni anno (Fonte Amnesty International, 2010). In Italia, dove le donne residenti, provenienti dai Paesi africani definiti a "tradizione escissoria", sono poco meno di 160 mila (fonte ISTAT anno 2014), le stime più recenti dell’Istituto Piepoli, per il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, parlano di circa 39.000 donne o ragazze che hanno subito una qualche forma di mutilazione dei genitali femminili. Uno studio a cura dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto della povertà del 2011, fa riferimento a circa 35.000 donne o ragazze. Per contrastare la pratica delle mutilazioni genitali femminili, in Italia è stata appositamente varata la legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile". Tale legge è divisa in due capitoli, e fa precedere significativamente le misure preventive alle misure punitive, in considerazione del fatto che una prevenzione efficace potrebbe vanificare le misure di repressione, perché non ci saranno bambine sottoposte alle MGF. È necessario, pertanto, fare opera di sorveglianza e prevenzione, soprattutto nei confronti delle figlie delle donne che hanno già subito tali pratiche nel loro Paese d’origine. Il Ministero della salute ha quindi emanato, con decreto ministeriale 17 dicembre 2007, le Linee guida (previste all’articolo 4 della legge n. 7 del 2006) destinate alle figure professionali sanitarie, nonché ad altre figure professionali che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate le pratiche di MGF, per realizzare una attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche. Le Linee guida rappresentano un importante strumento per le Regioni, al fine di attivare nel proprio territorio tutte le iniziative volte alla formazione del personale sanitario. Un elemento importante è costituito dalle risorse finanziarie previste dalla legge n. 7 del 2006 e destinate alla formazione, ma anche a campagne di informazione e di divulgazione della cultura dei diritti umani e del diritto all’integrità della persona.

Il Ministero della salute ha trasferito alle Regioni, dal 2005, i fondi destinati dalla citata legge alla formazione, intesa anche come occasione per accrescere le conoscenze sul tema del diritto alla salute e sulla medicina transculturale, sulla delicatezza dell’approccio alla sessualità delle donne straniere, al loro corpo, alla maternità ed alla salute in generale, per un totale di 14.625.768,86 euro. Dal 2009 e poi in maniera incisiva dal 2011, a causa delle norme di stabilizzazione economica, gli importi inizialmente previsti dalla legge n. 7 del 2006 (2.500.000 euro/anno), sono stati significativamente ridotti fino agli attuali circa 177 mila euro/anno. La ripartizione dei fondi, dal 2009, previa Intesa in Conferenza Stato-Regioni, viene effettuata secondo un criterio misto, che prevede: il 70 per cento del totale sulla base della popolazione residente ed il 30 per cento secondo il numero delle donne immigrate, titolari del permesso di soggiorno, presenti nel territorio regionale e provenienti dai Paesi dove sono effettuate pratiche di mutilazioni genitali. Il Ministero della salute effettua, dall’entrata in vigore della legge n. 7 del 2006, periodiche ricognizioni sull’utilizzo dei fondi in oggetto. Sulla base dell’ultimo monitoraggio, avviato nell’ottobre 2013, a cui non tutte le Regioni hanno risposto, in nessuna Regione sono state segnalate pratiche di MGF eseguite in Italia, né sono stati avviati interventi legali per il reato di pratica di MGF, tuttavia la presenza di donne che hanno subito mutilazioni genitali è stata rilevata in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Puglia, Sardegna, Provincia Autonoma di Trento. Sono presenti centri di riferimento per l’assistenza alle donne e bambine mutilate nelle seguenti Regioni: Friuli Venezia Giulia, Toscana, Sardegna, Puglia, Lazio, Lombardia, Emilia Romagna, e sono state eseguite plastiche ricostruttive in Friuli Venezia Giulia, Puglia, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte. In particolare, dal 2006 al 2013 risultano ben 957 le donne in cui sono state riscontrate dette mutilazioni e per 284 di esse è stato effettuato un intervento di plastica ricostruttiva. Le Regioni hanno inoltre provveduto ad organizzare attività formative, corsi, seminari, convegni per personale sanitario, mediatori culturali, operatori dei consultori familiari, medici di medicina generale, scuole. Nell’ambito della prevenzione e del contrasto alla violenza di genere, il 7 maggio 2014 è stata sancita l’Intesa in Conferenza unificata sul "Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere" previsto dal decreto-legge n. 93 del 2013, convertito dalla legge n. 119 del 2013, in cui il Ministero della salute, coordinando l’apposito sottogruppo tematico "Formazione" della "Task force" interministeriale, appositamente costituita presso il citato Dipartimento delle pari opportunità, ha previsto tra i contenuti delle iniziative formative, la sensibilizzazione sul tema delle mutilazioni genitali femminili, per accrescere la capacità di interagire con le donne che hanno subito tale pratica e prevenirne l’adozione nei confronti delle figlie minori”.

In sede di replica, Mattesini (Pd) dichiarandosi soddisfatta della risposta, ha segnalato l'opportunità di rafforzare le iniziative per la formazione e l'aggiornamento del personale medico, e auspicato approfondimenti in merito alla concreta destinazione dei fondi a tal fine stanziati portatili.
 
Infine, De Filippo ha risposto all'interrogazione di Maurizio Romani (Idv) sull'omogeneizzazione degli ausili per l'ossigenoterapia. De Filippo ha spiegato che si tratta di un problema di difficile soluzione, in quanto riguarda le caratteristiche costruttive di prodotti che hanno libera circolazione nell'Unione Europea, poiché non è possibile imporre a tutti i fabbricanti, italiani e stranieri, la progettazione di raccordi compatibili con tutte le tipologie di bombole di ossigeno portatili. “Una possibile soluzione potrà anche essere ricercata in un'organizzazione a livello interregionale che consenta al paziente, che si sposta da una Regione all'altra, di consegnare il proprio ‘stroller’, avendone in cambio uno pieno, ovvero uno con attacco compatibile con l'unità di base disponibile nella Regione”.
 
Questa la risposta integrale di De Filippo: “Il problema sollevato dagli interroganti è noto da tempo al Ministero della salute e si ripropone ciclicamente, in particolare in corrispondenza dei periodi di vacanza, quando i pazienti si spostano da una Regione all'altra.
Al momento attuale, sono disponibili vari tipi di dispositivi medici trasportabili, utilizzabili come moduli portatili di ossigenoterapia ("stroller"). Tuttavia, manca una uniformità degli "attacchi" utilizzati per collegare detti "stroller", a fini di ricarica, alle bombole-unità base di ossigeno medicinale, e da ciò deriva il problema, che incontrano alcuni pazienti, i quali, spostandosi in un'altra Regione, trovano difficoltà per la ricarica dei loro "stroller". Tale problema è di difficile soluzione, in quanto riguarda le caratteristiche costruttive di prodotti che hanno libera circolazione nell'Unione Europea, poiché non è possibile imporre a tutti i fabbricanti, italiani e stranieri, la progettazione di raccordi compatibili con tutte le tipologie di bombole di ossigeno portatili. Il Ministero della salute ha già coinvolto in passato le associazioni di categoria per affrontare la questione, ed intende continuare ad intraprendere idonee iniziative, in particolare per l'emanazione di norme tecniche che regolino gli attacchi per la ricarica dei moduli di respirazione portatili. Indipendentemente dalle citate iniziative, una possibile soluzione potrà anche essere ricercata in un'organizzazione a livello interregionale che consenta al paziente, che si sposta da una Regione all'altra, di consegnare il proprio "stroller", avendone in cambio uno pieno, ovvero uno con attacco compatibile con l'unità di base disponibile nella Regione”.

Romani (Idv), replicando, si è dichiarato parzialmente soddisfatto della risposta: la soluzione da ultimo indicata, ove effettivamente perseguita, potrà almeno in parte ovviare alle criticità attualmente sussistenti; è tuttavia necessario, a suo giudizio, addivenire alla messa a disposizione di raccordi compatibili con le diverse tipologie di bombole di ossigeno portatili. 

10 marzo 2016
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Governo e Parlamento

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy