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Fertility Day. Intervista a Alessandra Kustermann: “Il problema esiste, ma va affrontato nelle scuole e nelle Università. Non basta solo un giorno l’anno”


Per la ginecologa del Policlinico di Milano dire che la fertilità è un bene comune è un messaggio importante. Così come riconoscere che la sterilità è una malattia che va presa in carico dal Ssn. Ma bisogna farlo nel giusto modo. Non va quindi cancellata l’importanza del messaggio che compete al Ministero, anche se un Fertility Day non basta.

02 SET - “Contenuti scientificamente corretti, perché il problema c’è e non possiamo nasconderci dietro un dito. Ma avrei scelto una strada differente per comunicarli. Un Fertility Day non basta, sarebbe stato più opportuno stimolare il dibattito tra le giovani generazioni nelle scuole superiori e nelle Università per far capire che gli stili di vita, le malattie sessualmente trasmesse e gli anni che passano possono mettere a repentaglio la loro fertilità. Perché non tutti lo sanno. E anche concentrarsi sulle azioni concrete che lo Stato potrebbe e dovrebbe mettere in atto per migliorare le possibilità dei giovani di andarsene di casa e affrontare la vita autonoma ad un’età in cui il desiderio di avere un figlio coincide con l’età biologicamente più adatta".
 
Interviene sul Fertility Day, Alessandra Kustermann, Direttore della Uoc Pronto soccorso e accettazione ostetrico-ginecologico del Policlinico di Milano. Un medico da trent’anni in prima linea per la difesa dei diritti delle donne. Che suggerisce la sua chiave di lettura: “Non cancelliamo l’importanza del messaggio della campagna di comunicazione del Ministero. Può essere modificato e soprattutto non leggiamolo solo come un invito a fare figli. Penso che il desiderio di avere figli in alcune donne, e non in tutte, non debba scontrarsi con le difficoltà oggettive legate alla disoccupazione giovanile e con la difficoltà di realizzarsi prima di tutto come donne”.
 
Dottoressa Kustermann, la campagna di comunicazione sul Fertility Day ha incassato critiche da più parti, il Ministro Lorenzin si è detta disponibile a cambiarla. Qual è il suo parere? 
Non entro nel merito della campagna di comunicazione, sono un medico e non un esperto in questo campo. Ma credo che da un punto di vista strettamente scientifico e della tutela dei diritti delle donne, le intenzioni che erano alle spalle di questa campagna non siano contestabili. È importante comunicare alle giovani generazioni che biologicamente la fertilità diminuisce con l’aumentare dell’età della donna. Penso però che la strada per far arrivare questo messaggio non sia un Fertility Day. Meglio concentrarsi sulle azioni concrete che lo Stato potrebbe e dovrebbe mettere in atto per consentire alle nuove generazioni di diventare autonome e di affrontare la vita adulta ad un’età in cui il desiderio di avere un figlio è biologicamente più facile. Soprattutto ritengo che sarebbe più proficuo creare dei momenti di confronto, dei focus group, nelle scuole superiori e nelle Università per discutere con i giovani dei loro desideri e delle loro difficoltà rispetto alla possibilità di creare una propria famiglia.
 
In sostanza, quali sono i punti nodali sui quali concentrarsi?
Dire che la fertilità un bene comune è un messaggio importante, proprio perché come donne abbiamo chiesto che la sterilità sia considerata come una malattia e che le cure siano inserite nei Lea, anche la fecondazione eterologa. Una richiesta portata avanti sul solco di quanto indicato dalle sentenze della Corte Costituzionale. Così come è corretto affermare che c’è una maggiore frequenza di sterilità dopo i 35-40 anni. Per questo penso che sia sbagliato leggere questa campagna solo come un invito a fare figli. La procreazione cosciente e responsabile è tutelata dalla stessa legge 194 che ha consentito alle donne di interrompere la gravidanza quando non in grado di affrontare la maternità. La scelta di essere o non essere madre è una scelta che la donna deve attuare in piena libertà, e deve essere presa in scienza e coscienza. E la libertà delle donne la si tutela nel momento in cui a tutte vengono date, fin dall’adolescenza, le stesse informazioni. Devono avere ben chiaro quali sono i limiti biologici che la natura ha dato. Alle donne non può arrivare solo il messaggio che è possibile conservare la fertilità per tutta la vita e quindi procreare anche a 50 anni senza problemi. In quest’ottica è perciò giusto che il ministero della Salute informi del contrario. Non dimentichiamo che i risultati di una fecondazione medicalmente assistita possono essere molto scarsi dopo i 40 anni e con possibilità di successo che non superano il 10-15%. La fecondazione eterologa può essere una soluzione per alcune donne, ma i dati in Italia dimostrano che non è facile trovare donatrici di ovociti. Inoltre, viene attuata in pochissimi Centri ricorrendo molto spesso a donatrici che vivono in altri Paesi. Insomma affidandosi alle tecniche di fecondazioni assistita non si ottengono gli stessi risultati che si otterrebbero nel periodo in cui le potenzialità di fertilità della donna sono al massimo.
 
Tirando le somme…
Credo che la libertà delle donne e degli uomini di capire e di scegliere consapevolmente si tuteli maggiormente con una informazione corretta data fin dalla più giovane età piuttosto che con spot pubblicitari. Resto in attesa di sapere cosa il Governo abbia intenzione di fare per aiutare i giovani ad uscire prima di casa, trovare un lavoro e realizzare i propri sogni per anticipare le tappe. In ogni modo, come ho già ribadito, penso che la scuola e le Università siano il luogo dove affrontare questi argomenti che devono entrare a far parte del bagaglio culturale di ognuno di noi.
 
Ester Maragò

02 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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