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Riforma costituzionale. Per la sanità andrà meglio o peggio? Le ragioni del “Sì” e del “No” 

di Corrado De Rossi Re

Roche ha promosso ieri a Roma un momento di confronto sul tema. A favore del "Sì" per il superamento degli attuali 21 sistemi sanitari diversi si sono scherati il presidente di Farmindustria, quello dell'Iss e il segretario generale di Cittadinanzattiva oltre al responsabile sanità del Pd Federico Gelli. A difendere le ragioni del "No" il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri.

29 SET - Dopo l’approvazione in via definitiva da parte del Parlamento, il prossimo 4 dicembre saremo tutti chiamati ad esprimerci in merito alla Riforma costituzionale che verrà sottoposta a referendum confermativo. Ma quanto ne sanno i cittadini, i professionisti insomma, tutti noi in fondo, sulla reale portata della modifica costituzionale che andremo a votare? Se molto si è discusso circa la scomparsa del bicameralismo perfetto, poco o nulla ancora si è detto sulle ricadute sul Sistema Salute, a livello sia nazionale sia regionale, che non saranno di poco conto.

Per comprendere meglio i possibili impatti sul sistema sanitario e contribuire ad un’opinione pubblica più informata, Roche con il patrocinio di Farmindustria e dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane ha promosso ieri a Roma un momento di confronto e discussione sul tema “Riforma costituzionale e salute: possibili scenari nazionali e regionali”. Grazie alla partecipazione di esponenti istituzionali, nazionali e regionali, esperti e tecnici del settore, rappresentanti dell’associazionismo, sono state presentate ed approfondite le ragioni del Sì e del No (più che altro del Sì, ad onor del vero…), per offrire un primo contributo ad un dibattito sui possibili cambiamenti e sulle ricadute in materia sanitaria derivanti dall’eventuale modifica costituzionale.

Perché molti non sanno, cittadini in primis a giudicare dalle interviste presentate nel corso dell'incontro, che il quesito referendario del 4 dicembre si porta dietro, oltre alle già citate modifiche strutturali del Parlamento, una sostanziale (e sostanziosa) modifica del Titolo V Cost. laddove (Art. 117) la riforma intende incidere pesantemente sulla cosiddetta legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

In buona sostanza, per quanto riguarda la Sanità, secondo la riforma costituzionale dovranno tornare allo Stato tutte le competenze esclusive di "Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali" che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale nonché le "Disposizioni generali e comuni per la tutela della salute" mentre alle Regioni rimarranno le competenze per la "Programmazione e l'organizzazione dei servizi sanitari".

"E' innegabile" ha esordito il Presidente e AD di Roche Maurizio De Cicco in apertura dei lavori "che oggi le Regioni, e con esse i rispettivi servizi sanitari, si muovano a velocità enormemente diverse. Ci auguriamo pertanto che il prossimo referendum sia una vera occasione per dare maggiore stabilità al comparto sanitario e con esso anche al settore farmaceutico quale parte integrante del sistema salute".

Le modifiche più salienti stabilite dalla riforma sono state spiegate da Gianfranco Ferrari, Costituzionalista della Bocconi, secondo cui "se da un lato è innegabile un rafforzamento del Centro, soprattutto in campo sanitario, che nel lungo periodo attenuerebbe la classica immagine a macchia di leopardo del settore, dall'altro qualche rischio strutturale esiste. A cominciare" ha sottolineato "dalla possibilità di avere una maggioranza in Senato ben diversa da quella della Camera dei Deputati". E sebbene la "potenza" legislativa sia sostanzialmente diversa, il rischio è quello di non velocizzare gli iter legislativi nella misura ricercata dalla stessa riforma.

Ma è lo scenario di salute e di governance sanitaria quello che, nel corso del dibattito, ha preoccupato di più. Walter Ricciardi, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità e Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane, dopo un'approfondita "diagnosi" sullo stato attuale di salute degli italiani, con particolare riferimento alle differenze sempre più evidenti di aspettativa di vita (oltre che di disponibilità strutturali) a seconda del territorio in cui si vive, ha salutato l'ipotesi di vittoria referendaria del Sì come una concreta possibilità di "riportare la palla al centro" per avere la reale possibilità di intervenire in quelle Regioni dove molti servizi sono sostanzialmente assenti".

Con un'accortezza, ha fatto eco Antonio Gaudioso, Segretario generale di Cittadinanzattiva, di non pensare alla riforma costituzionale come un "semplice tornare indietro nel tempo, quando tutto dipendeva da Roma". "Il modello introdotto con la riforma del 2001 è sostanzialmente imploso" ha ricordato "implementando a livello locale tutti i difetti e i peccati di un centralismo miope e distante dai bisogni dei cittadini. I ministeri si sono moltiplicati per 21 e la deriva federalista ha portato enormi problemi, fino ai tracolli spesso mal gestiti con eterni Piani di rientro. Il problema" ha quindi avvertito Gaudioso "non è tanto il rapporto tra centralismo e federalismo bensì tra potere e responsabilità".

E nell'incisività di un eventuale intervento commissariale da parte dello Stato (non più affidato ai Governatori…) sulle regioni inadempienti nell'erogazione dei LEA starebbe anche gran parte dell'efficacia della riforma attuale.

Anche Claudio De Vincenti, Sottosegretario alla presidenza del consiglio dei Ministri,non vede altra strada ( e ci mancherebbe…) che quella traguardata dalla riforma costituzionale per dare concretezza ai principi stessi della Carta sanciti nell'Art. 32. "Bisogna richiudere la forbice che si è sempre più aperta dal 2001" ha sottolineato "anche se allora l'intendimento non era certo quello del "ciascuno fa quel che vuole". E il problema, oggi, secondo De Vincenti "non è la differenza dei modelli ma la differenza delle tutele".

Le ragioni del No, sostanzialmente unica voce discordante nel corso del dibattito, sono state quindi sottolineate da Maurizio Gasparri, Vicepresidente del Senato, che ha dubitato della possibilità di mettere ordine alla frammentazione sanitaria con questa riforma. "E questo" ha spiegato "proprio in virtù della dichiarata assegnazione alle Regioni dell'organizzazione dei servizi in un settore, come quello sanitario, dove programmazione e organizzazione sono tutto".

Argomentazioni puntualmente contestate da Federico Gelli, XII Commissione Affari sociali della Camera che se da un lato non ha esitato a definire la riforma del 2001 come "un fallimento", dall'altro ha esortato a non dimenticare che l'attuale proposta mette ordine anche nel settore sociale sino ad oggi lasciato alla libera iniziativa regionale.

Addirittura, per Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria a cui è stato affidato l'intervento conclusivo "si poteva fare molto di più". Del resto che il comparto industriale farmaceutico soffra enormemente 21 sistemi diversi, con regole di accesso e contrattazioni diverse è cosa ben nota. "Una frammentazione" ha aggiunto "che nuoce ai pazienti, ai cittadini ma anche agli investimenti. Senza contare" ha esemplificato "che se un farmaco viene autorizzato all'immissione in commercio non si capisce perché la sua disponibilità non debba essere la stessa su tutto il territorio nazionale". 
 
Corrado De Rossi Re

29 settembre 2016
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