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Responsabilità professionale sanitaria: indennizzo o risarcimento?

di Tiziana Frittelli

L’Italia è il paese nel quale si paga il più alto risarcimento del danno alla persona. Non possiamo permetterci che sul Fondo SSN, istituzionalmente destinato alle cure di un Paese sempre più anziano e sempre più bisognoso di cure, si paghino i risarcimenti per danni non patrimoniali più alti d’Europa, a carico di medici e strutture che producono sanità  tra i livelli più alti al mondo

15 NOV - Siamo ormai vicini alla conclusione dell’iter di approvazione del ddl Gelli in aula al Senato, per poi passare di nuovo alla Camera per l'approvzione definitiva.
 
Uno dei punti difficili da realizzare, ma sicuramente centrali della riforma, concerne gli obblighi assicurativi a carico della struttura sanitaria e sociosanitaria, sia pubblica che privata, per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d’opera, nonché per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie.
 
Rimane fermo l’obbligo, per i professionisti che operano all’interno delle suddette strutture, di provvedere alla stipula, con oneri a proprio carico, di adeguata polizza di assicurazione per colpa grave, al fine di garantire efficacia all’azione di rivalsa esercitata nei loro confronti dalla Corte dei Conti, ovvero dall’impresa di assicurazione, eventualmente azionata in via diretta dal danneggiato, altra novità del ddl Gelli.
 
Come più volte sottolineato, non esiste un pari obbligo di assicurare a carico delle imprese assicuratrici, tanto che il ddl ha equiparato l’assicurazione delle strutture “ad altre misure analoghe”, che altro non sono se non la c.d. autoritenzione del rischio, sulla cui problematica è intervenuto il Senato, in sede di emendamenti al ddl Gelli approvato alla Camera, disponendo che il decreto interministeriale (Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro della Salute e del MEF), che dovrà determinare i requisiti minimi delle polizze assicurative, preveda anche le condizioni di operatività delle altre analoghe misure,  disciplinando le regole per la previsione nel bilancio delle strutture di un Fondo rischi e di un Fondo per la messa in riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunziati.
 
Peraltro, a carico del premio assicurativo indirettamente, in quanto direttamente a carico delle imprese assicurative, attraverso il versamento di un contributo annuale, sarà anche il Fondo di Garanzia, per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, istituito presso lo stato di previsione del Ministero della Salute e gestito dalla CONSAP.
 
A questo proposito giova ricordare che molte regioni e moltissime aziende pubbliche sono in regime di autoritenzione del rischio, totale e parziale, ed è, pertanto, da ritenere che il Fondo di Garanzia si presenterà insufficiente rispetto alle necessità (il fondo interverrà nei seguenti casi: a) danno di importo eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati dalle strutture o dagli esercenti; b) le strutture pubbliche e private si trovino assicurati da un’impresa in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa) e, comunque, essendo il relativo costo traslato sul premio, provocherà un ulteriore incremento dei costi a carico delle strutture pubbliche o private assicurate.
 
Anche al fine di calmierare il premio assicurativo, uno degli emendamenti di maggior rilievo introdotti al Senato al ddl Gelli concerne l’aggancio alle tabelle del codice delle assicurazioni private che consentirà la possibilità di definire un perimetro certo ed uniforme sul quale le imprese assicuratrici potranno basare la loro offerta di premio. Infatti tali norme (art. 138 e 139 del d.lgs 7 settembre 2005 n. 209), già richiamate dall’art. 3 della c.d. legge Balduzzi relativamente al risarcimento del danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria, saranno oggetto di riforma del ddl Concorrenza, nel senso dell’inclusione del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche nell’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto dalle tabelle.
 
E’ nota la discussione che ferve in dottrina e in giurisprudenza circa l’assorbibilità o meno del danno morale, del danno esistenziale o di altri eventuali danni non patrimoniali c.d. “abiologici”, nel danno biologico, della quale si à parlato in un interessante convegno organizzato da Medicina e diritto a Milano l’11 novembre  intitolato “Il danno alla persona”.
 
Certamente, se il danno morale latu senso inteso si ritiene assorbito dal danno biologico, ne deriva che la liquidazione debba aver luogo nell’ambito del relativo sistema tabellare, con conseguente riduzione e prevedibilità dell’entità del danno risarcibile. Infatti, la proposta di riforma del ddl Concorrenza prevede che il sistema di valutazione previsto dal codice di assicurazione privato assuma una portata onnicomprensiva nei confronti di tutte le ripercussioni non patrimoniali correlate alla lesione alla salute, predefinendo a livello normativo un ambito delimitato per i risarcimenti nei sistemi obbligatoriamente assicurati (RC auto e, dall’approvazione del ddl Gelli in poi, il sistema della responsabilità sanitaria).
 
In tal senso si era già pronunciata la Corte Costituzionale con sent. n. 235 del 2014, chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 139 del d.lgs 209 del 2005, relativamente alla riconducibilità al danno biologico, da liquidare secondo una specifica tabella predefinita (al momento normativamente inesistente, di prassi quella del tribunale di Milano), dell’intera area del danno non patrimoniale per sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.
 
Nella prospettazione dei giudici remittenti alla Consulta era stato eccepito che “il meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) di lesioni di lieve entità derivanti da sinistro stradale, introdotto dall’art. 139 del d.lgs n. 209 del 2005, darebbe luogo ad un sistema indennitario che limiterebbe la piena riparazione del danno, ancorandolo a livelli pecuniari riconosciuti, per via normativa, equi ex ante, ma che, sia per la rigidità dell’aumento percentuale dell’importo nella misura massima del quinto (20%), sia per la (ritenuta) impossibilità di liquidare l’eventuale, non contemplato, danno morale, non consentirebbe una adeguata personalizzazione”.
 
La Corte costituzionale ha respinto le censure di legittimità, sulla base di due assunti: in primis, posto che, se è pur vero che l’art. 139 cod. ass. fa testualmente riferimento al “danno biologico” e non anche al “danno morale”,  con la sentenza n. 26972 del 2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ben chiarito  come il cosiddetto “danno morale” - e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile del danno non patrimoniale, nell’ipotesi in cui l’illecito configuri reato - «rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente».
 
In secondo luogo, la Consulta ha asserito che il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 cod. ass. - per il profilo del prospettato vulnus al diritto all’integralità del risarcimento del danno alla persona - va condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata, nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi, perseguendo anche fini solidaristici,  con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi.
 
Ed è proprio quest’ultima lungimirante argomentazione di sistema che deve considerarsi rilevante, a maggior ragione,  nel campo della responsabilità da med-mal, considerando che sia i premi assicurativi, sia le franchigie, sia il fondo rischi in caso di autoritenzione del rischio sono a carico del Fondo Sanitario Nazionale, ovvero del Fondo destinato alle cure. In questo ambito, infatti, la strada migliore appare proprio quella di un sistema che, attraverso la “convenzione” delle tabelle, si avvicini ad una linea indennitaria, al fine di effettuare un contemperamento tra l’interesse dei danneggiati all’integrale risarcimento del danno, che comunque già comprenderebbe nelle tabelle i danni patrimoniali e non patrimoniali, e quello generale e di sistema di preservare il Fondo del Servizio sanitario Nazionale per le finalità specifiche di cura per il quale è stato costituito.
 
Proprio per rispondere ad esigenze di equità sociale e caricare sul Fondo dedicato alle cure solo la quota di risarcimento che non pregiudichi la cura per tutti, bisogna trattare diversamente il danno alla persona procurato ad una vittima di reato ordinario e quello derivante da un’attività obbligatoriamente assicurata, che necessita di un forte contemperamento di interessi di tipo globale, senza che sia lasciata discrezionalità al singolo giudice, da sempre abituato a trattare il caso singolo concreto.
 
L’Italia, di fatto, è il paese nel quale si paga il più alto risarcimento del danno alla persona. Non possiamo permetterci che sul Fondo SSN, istituzionalmente destinato alle cure di un Paese sempre più anziano e sempre più bisognoso di cure, si paghino i risarcimenti per danni non patrimoniali più alti d’Europa, a carico di medici e strutture che producono sanità  tra i livelli più alti al mondo.
 
Ancora una volta l’equità di sistema non si può cercare in  una risposta uguale a situazioni diverse, ma risposte diversificate per tipologie di responsabilità. In altre parole, la responsabilità sanitaria va inquadrata in un sistema più di tipo indennitario (attraverso la “convenzione” delle tabelle, riassuntive sia dei danni patrimoniali che di tutti quelli non patrimoniali) che risarcitorio per varie ragioni:
 
1) in quanto trattasi di un sistema obbligatoriamente assicurato, in gran parte a carico dei bilanci destinati alle cure;
2) in quanto i danni si consumano in un sistema universalistico di cure, certamente teso a produrre utilità sociale piuttosto che danni sociali;
3) in quanto spesso la cura è stata trattata dalla giurisprudenza come una obbligazione di risultato (la guarigione) piuttosto che di mezzi (l’offerta di cure appropriate);
4) perché un ambito sociale ed economico cosi importante deve essere trattato in maniera equa dal legislatore, piuttosto che in maniera isolata dai giudici, non tenendosi in giusto conto né il fatto che i risarcimenti/premi siano a carico dei bilanci destinati alle cure, né che vengano prodotti in un complesso processo di cura alla persona: la strutturata “mediazione” dei molteplici interessi che, comunque, afferiscono alla  med-mal (interesse alla tutela della salute sia nella dimensione individuale che in quella collettiva) deve trovare la giusta ed adeguata sede nella decisione del legislatore. 
 
 
Sul piano della responsabilità sanitaria le grosse sfide rimangono piuttosto quelle della efficace gestione del rischio, che permei tutti i processi sanitari e, ancor più, e del recupero della frattura tra medico e paziente, attraverso un percorso etico di nuova alfabetizzazione e di reale comunicazione, senza il quale neppure gli sforzi per arrivare ad una nuova legge approderanno ad alcunché, perché il medico non può  essere un demiurgo, la persona malata un fastidio, la sanità un business.
 
Tiziana Frittelli
Vicepresidente di Federsanità

15 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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