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Tra cronicità e sostenibilità. Ecco come deve cambiare la sanità. Per rispondere ai nuovi bisogni di assistenza di una popolazione sempre più anziana e affetta dalle multi-patologie

di Vito De Filippo

Servirà una vera e propria "rifondazione organizzativa". Dalle reti ospedale-territorio alla presa in carico multiprofessionale delle cronicità. Un nuovo modello di governo clinico a gestione integrata per il quale servirà l'apporto e la codisione di tutti i professionisti coinvolti. Una innovaziopne indispensabile di cui parleremo al Forum Risk Management di Firenze

28 NOV - Coinvolgere e responsabilizzare gli assistiti, rafforzare governance distrettuale, riorientare il modello di cura attraverso la pro – attività delle cure e creare un ambiente professionale favorevole allo sviluppo di una cultura organizzativa improntata alla condivisione.
 
Queste le quattro direzioni strategiche cui dovrà puntare la ‘rifondazione organizzativa’ della sanità italiana e di cui si parlerà anche al Forum Risk Management in Sanità che si apre domani a Firenze, insieme a rappresentati delle Istituzioni, delle imprese e dei cittadini.
  
Ma perché questa “rifondazione”? Per rispondere bisogna tener conto che in Italia, come nella maggior parte dei Paesi occidentali, il 70-75% dei degenti ospedalieri appartiene alla categoria dei “cronici acutizzati con poli-morbidità”.
 
Per fronteggiare questa situazione e garantire la gestione ottimale della malattia quando la persona con cronicità è ricoverata in ospedale per altra patologia, per un evento intercorrente o per procedure chirurgiche, elettive o d’urgenza, in molti ospedali è stato adottato un assetto organizzativo basato sulla intensità di cura: le strutture non sono più articolate, come da tradizione, in reparti e o unità operative in base alla patologia e alla disciplina medica ma in aree che aggregano i pazienti in base alla maggiore o minore gravità del caso e al conseguente livello di complessità assistenziale, per garantire la più completa integrazione delle diverse competenze professionali e per trattare le diverse patologie in pazienti riuniti in un’unica piattaforma logistica di ricovero.
 
Tale assetto organizzativo prevede tre livelli: un livello di intensità alta che comprende le degenze intensive e sub-intensive; un livello di intensità media che comprende le degenze per aree funzionali (area medica, chirurgica, materno infantile) e un livello di intensità bassa dedicata a pazienti post acuti.
 
Questa articolazione consente al medico, cui è affidata la responsabilità clinica del paziente, di concorrere alla cura secondo le proprie competenze e al tempo stesso consente all’infermiere, cui è affidata la gestione assistenziale per tutto il tempo del ricovero, di valorizzare appieno la propria capacità professionale.
 
Altro aspetto è l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse tecnologiche e strutturali e delle risorse umane, la riduzione dei posti letto non utilizzati e un migliore impiego delle risorse, mentre ulteriori elementi che caratterizzano un modello innovativo dell’assistenza in ospedale sono rappresentate dalla figura del tutor medico e dal team infermieristico dedicato.
 
Dal momento del ricovero fino alla dimissione il paziente dovrebbe essere affidato ad un unico interlocutore, il tutor medico, che lo seguirà per tutto il percorso diagnostico e terapeutico. Il tutor si potrà avvalere di altri specialisti che potranno intervenire in rapporto alle specifiche esigenze del paziente, ma che dovranno conoscere e condividere la gestione complessiva del caso e le scelte terapeutiche effettuate. Il team infermieristico è un gruppo costituito da infermieri esperti, individuati secondo criteri quali la formazione avanzata/specifica sulla patologia o sulle procedure, l’esperienza lavorativa o l’assistenza diretta in area critica, la partecipazione a corsi di formazione, la motivazione ad approfondire lo specifico ambito clinico o procedura.
 
Un sistema di governo clinico e di gestione integrata deve prefiggersi, tra gli obiettivi primari, di ridurre i ricoveri impropri ed anche quelli, certamente più numerosi, che, seppure appropriati, originano da una carenza di assistenza e dall’insorgenza di complicanze croniche. Un ruolo significativo in tal senso può essere svolto da due nuove tipologie di servizi che hanno recentemente trovato una sistematizzazione nel Patto per la salute 2014-2016 e nel Regolamento n. 70/2015.
 
Il DM 70/2015 definisce i criteri e gli standard di riferimento per la riorganizzazione ospedaliera, con la finalità di guidare i processi regionali di riassetto organizzativo-strutturale e di qualificazione della rete assistenziale ospedaliera. Tale riassetto, insieme al rilancio degli interventi di prevenzione primaria e secondaria nonché al potenziamento delle cure primarie territoriali, costituisce linea programmatica fondamentale del SSN.
 
In questo quadro gli obiettivi di cura nei pazienti con cronicità, non potendo essere rivolti alla guarigione, sono finalizzati al miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, alla minimizzazione della sintomatologia, alla prevenzione della disabilità e al miglioramento della qualità di vita.
 
Il paziente di riferimento è spesso una persona, per lo più anziana, affetta da più patologie croniche incidenti contemporaneamente (comorbidità o multimorbidità), le cui esigenze assistenziali sono determinate non solo da fattori legati alle condizioni cliniche, ma anche ad altri determinanti (status socio-familiare, ambientale, accessibilità alle cure, ecc.).
 
Per vincere questa sfida è necessaria la definizione di nuovi percorsi che siano in grado di prendere in carico il paziente nel lungo termine, prevenire e contenere la disabilità, garantire la continuità assistenziale e l’integrazione degli interventi sociosanitari.
 
Il Piano di cura è lo strumento di sistema, redatto e gestito da tutti gli attori assistenziali, fondamentale per la presa in carico e per il follow up attivo.
 
Talora il paziente entra nel sistema per pura occasionalità e diviene lui stesso il costruttore del suo iter assistenziale, mancando una 'gestione pro-attiva' raccordata tra i vari livelli. Nei servizi c'è una tendenza all’approccio basato sulla attesa e sulla gestione routinaria dei pazienti, mentre l’assistenza deve essere concepita e strutturata in una logica pro-attiva. Tale logica è presupposto fondamentale per l’efficacia e l’efficienza delle cure, particolarmente per le patologie a lungo termine, nelle quali è più facile che il paziente si perda (drop out), con tutte le conseguenze relative all'emergere di complicanze e al peggioramento della qualità di vita.
 
Come è ormai noto, nell’attuale contesto epidemiologico caratterizzato da malattie croniche, non autosufficienza, disabilità, comportamenti a rischio per la salute, i bisogni socio sanitari della popolazione non possono che trovare risposte più efficaci e a minor costo nel territorio, piuttosto che nell’ospedale.
 
La definizione del Piano di cura e la stipula del Patto di cura rientrano tra i compiti propri del medico di medicina generale e del pediatra di libera sceltache abbiano preso in carico un paziente cronico; nella sua stesura, il medico dovrà tener conto delle diverse competenze specialistiche e professionali, sia mediche che delle altre professioni sanitarie, sociosanitarie e sociali coinvolte nel processo di cura per il sovrapporsi di patologie diverse, di funzioni lese o compromesse o di problematiche socio-assistenziali, operando una sintesi adeguata alla specifica condizione clinica.
 
In questi ultimi anni sono stati messi in atto una serie di interventi di politica sanitaria finalizzati alla riorganizzazione delle Cure con un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta nel governo della domanda e dei percorsi sanitari.
 
Anche la legge 189/2012 ed il Patto per la Salute 2014-2016 hanno fornito un ulteriore forte impulso alla riorganizzazione delle Cure Primarieprevedendo l’attivazione di modelli organizzativi basati sull’integrazione professionale e la partecipazione di pazienti e famiglie.
 
Tale normativa, prevede che le Regioni, nell’ambito della propria autonomia decisionale ed organizzativa, istituiscono le Unità complesse di cure primarie (UCCP) e le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) quali forme organizzative della medicina convenzionata integrata con personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione delle Cure Primarie. Le UCCP, di norma organizzate in sede unica ed integrate nella rete telematica aziendale e/o regionale, costituiscono una forma organizzativa multiprofessionale in cui operano in forma integrata Medici di Medicina Generale in tutte le loro funzioni, i Pediatri di Libera Scelta, gli Specialisti Ambulatoriali ed altre figure professionali del territorio, secondo modalità operative e “standard organizzativi/strutturali” individuati dalle singole Regioni. Le AFT quali forme organizzative mono-professionali della medicina convenzionata (Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta) sono funzionalmente collegate alle UCCP.
 
La diffusione delle nuove forme aggregative sul territorio, in specie delle UCCP, rappresenterebbe un passaggio fondamentale per favorire l’approccio multispecialistico nella presa in carico del paziente cronico e nella realizzazione del Piano di cura; il che permetterebbe di ridurre i costi del Servizio sanitario, evitando spesso inutili consulenze e ricoveri inappropriati, e favorendo la riduzione delle liste di attesa.
 
Per dare concreta attuazione alla citata normativa occorre che siano siglati i nuovi Accordi Collettivi Nazionali (ACN) cui fare riferimento per la stesura degli Accordi Integrativi Regionali (AIR) della Medicina Convenzionata, ma la durata delle trattative, in corso ormai da molti mesi, è un chiaro indizio delle difficoltà incontrate nel raggiungimento degli Accordi.
 
I nuovi modelli organizzativi previsti dalla legge n.189 del 2012 (AFT – UCCP) si caratterizzano per un approccio multiprofessionale, cardine della risposta alla complessità. Attraverso tali forme aggregative il cittadino avrà dei riferimenti appropriati per tutto l’arco della settimana e potrà contare su una squadra, che lavorando in modo sinergico, costituisca per lui una vera a propria rete di protezione realizzando così un cambiamento radicale nell’attuale modo di operare, basato su un approccio multidisciplinare del paziente. Le cure primarie così rivisitate offriranno un’assistenza personalizzata, multiprofessionale e multidisciplinare.

E’ evidente che i medici di famiglia sono i principali attori di questa rivoluzione e pertanto la piena attuazione della riforma passa necessariamente attraverso la stipula della nuova convenzione. Sicuramente abbiamo finora riscontrato un alto senso di responsabilità da parte di tutti gli attori del sistema, consapevoli che i migliori risultati in termini di salute si ottengono solo attraverso un impegno che vede integrarsi tutte le professionalità e le competenze, per una presa in carico globale del paziente. In tal senso auspichiamo che si giunga il prima possibile alla sottoscrizione del nuovo Accordo Collettivo Nazionale.

Nel frattempo in alcune aziende sanitarie a Nord e Sud del Paese si stanno attivando modalità di integrazione professionale nelle cure primarie prevedendo l’istituzione dell’infermieristica di comunità e di famiglia, come si è rilevato nel primo documento elaborato dal Tavolo tecnico-scientifico per la professione in relazione alla nuova domanda di salute che ho istituito al Ministero della Salute.

Ricordo che l’OMS Europa, nel documento “Salute 21” del ’98, propone un ruolo, quello dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità, quale consulente specialista-generalista con formazione post base, in grado di agire soprattutto a livello preventivo attraverso la valutazione e la gestione integrata dei bisogni di salute di un gruppo di cittadini a lui assegnato, in stretta collaborazione con il Medico di Medicina Generale (MMG).

È il professionista sanitario che, grazie alla sua formazione, è responsabile della gestione dei processi infermieristici in ambito familiare/comunitario. Opera in collaborazione con l’equipe multidisciplinare per aiutare gli individui e le famiglie a trovare le soluzioni ai loro bisogni di salute, a gestire le malattie e le disabilità croniche. Ogni infermiere, in associazione con altre figure professionali, agisce come risorsa di salute fornendo consigli sugli stili di vita e sui fattori comportamentali a rischio, e rappresenta il promotore chiave della salute nella comunità. Individua bisogni inespressi, si rende garante della presa in carico lungo l’intero percorso assistenziale del paziente, della continuità delle cure e del suo nucleo familiare. Garantisce l’elevata cooperazione tra gli operatori coinvolti nel progetto di cura e si rende garante dell’educazione terapeutica. Si rende garante altresì dell’adesione dei pazienti ai diversi follow-up, e che i problemi sanitari delle famiglie siano rilevati e curati al loro insorgere attraverso la diagnosi medico-infermieristica precoce. Identifica gli effetti dei fattori socio economici sulla salute della famiglia e attiva l’intervento della rete dei servizi territoriali.
 
L’infermiere di famiglia/comunità è responsabile dell’assistenza infermieristica rivolta alle persone, alle famiglie in ambito comunitario; è responsabile dei modelli assistenziali proposti con attenzione agli aspetti preventivi, clinici e psico-educativi in una prospettiva multidisciplinare. Le funzioni caratterizzanti di questo profilo funzionale possono essere catalogate in cinque macro aree: 1. Assistenziale (gestire i percorsi assistenziali alla persona/famiglia; gestire il rischio clinico/assistenziale; attivare la rete di servizi sociali) 2. Ricerca applicata (collaborare/attuare progetti di ricerca selezionati) 3. Consulenza (erogare consulenza in qualità di esperto) 4. Prevenzione (attuare interventi educativi, rilevare situazioni a rischio per il mantenimento della salute) 5. Manageriali (facilitare la cooperazione dei servizi territoriali). L’infermiere di famiglia/comunità è un professionista con competenze avanzate che analizza i bisogni del paziente e della famiglia, garantisce sul territorio la continuità assistenziale e contribuisce alla promozione della salute.
 
Tale funzione specialistica non è ancora formalmente e contrattualmente riconosciuta ancorché i livelli formativi universitari e post laurea siano delineati da anni; tuttavia nell’Atto di Indirizzo per il rinnovo contrattuale è già prevista la direttiva all’Aran per il riconoscimento contrattuale. L'infermiere di famiglia/comunità è responsabile della gestione dei processi assistenziali sanitari, socio sanitari nell’ambito della comunità. L’infermiere di famiglia, in possesso di competenze avanzate, prende in carico il bisogno espresso dal paziente, definisce gli interventi assistenziali specifici, in stretta collaborazione con il MMG o il consulente medico specialista, coordina le attività degli eventuali altri operatori sanitari e si occupa dell’educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari.
 
Elemento fondamentale, che garantisce l’efficacia degli interventi, è che l’infermiere non agisce in modo isolato ma in stretta collaborazione con il MMG, secondo strategie integrate con i servizi del Distretto sanitario. Questo profilo è una naturale evoluzione di funzioni professionali già svolte per la salute della collettività. Molti infermieri operano con diversi ruoli nelle cure primarie, ma la novità sta nella proattività e nell’estensione dell’assistenza alle famiglie e alla comunità. è quindi l’unione di diverse competenze (Skill mix) sia di natura professionale che relazionale.
Laddove questa esperienza avanzata si è realizzata non mi risultano problemi con i medici, tutt’altro anche per loro e per la loro funzione gli infermieri di famiglia/comunità sono divenuti una risorsa fondamentale e strategica.
 
Pertanto, è necessario un Piano di cura (almeno annuale),redatto dal medico al momento della presa in carico e successivamente regolarmente aggiornato, grazie al quale il paziente viene 'agganciato' al suo percorso personalizzato attraverso la precisa definizione delle scadenze del follow up; il Piano, condiviso tra i vari attori, diviene lo strumento della gestione pro-attiva, grazie al quale il paziente viene monitorato stabilmente in tutte le tappe assistenziali predefinite e richiamato, attraverso un sistema di allerta, in caso di drop out. Il Piano di Cura darà inoltre visibilità alle performance di tutti gli attori e renderà monitorabili in itinere gli indicatori di processo e di esito.
 
 
Ci risulta che circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche. Il dato diviene ancora più preoccupante alla luce delle più recenti proiezioni epidemiologiche, secondo cui nel 2020 esse rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo.
 
Il tema della assistenza alla cronicità si lega inevitabilmente a quello dell’invecchiamento della popolazione, essendo il paziente di riferimento spesso una persona, per lo più anziana, affetta da più patologie croniche incidenti contemporaneamente (comorbidità o multimorbidità), le cui esigenze assistenziali sono determinate non solo da fattori legati alle condizioni cliniche, ma anche ad altri determinanti (status socio-familiare, ambientale, accessibilità alle cure, ecc.).
 
Entro il 2060 si prevede che il numero di Europei con età superiore a 65 anni aumenti da 88 a 152 milioni, con una popolazione anziana doppia di quella sotto i 15 anni. L’aspettativa di vita alla nascita risulta maggiore nei Paesi con PIL maggiore. Spagna, Italia e Francia si attestano ai primi posti per longevità. L’Europa rispecchia la maggior vita media delle donne (82,22 anni) in confronto di quella maschile (76,11 anni).
 
Secondo i dati ISTAT, in Italia la quota di anziani sul totale della popolazione all’1/1/2014 è pari al 21,4% e le regioni più anziane sono la Liguria (in cui gli over64 all’1/1/2014 costituiscono il 27,7% della popolazione totale), il Friuli Venezia Giulia (24,7%) la Toscana (24,4%), e l’Umbria (23.8%); in un futuro ormai prossimo, (nel 2032), secondo le proiezioni ISTAT, la quota di anziani over65 sul totale della popolazione dovrebbe raggiungere il 27,6%, con circa 17.600.000 anziani in valore assoluto. I dati indicano quindi come all’avanzare dell’età le malattie croniche diventino la principale causa di morbilità, disabilità e mortalità, e gran parte delle cure e dell’assistenza si concentra negli ultimi anni di vita. Inoltre si è osservato che le disuguaglianze sociali sono uno dei fattori più importanti nel determinare le condizioni di salute.
 
Invecchiamento, cronicità e disabilità, che spesso si associano a più complessive situazioni di esclusione sociale, comportano la definizione di un nuovo modello di risposta alla domanda di assistenza, che renda il sistema più prossimo ai cittadini e ai loro bisogni. Questi fattori impongono, pertanto, la definizione di strategie di assistenza coordinate ed integrate con azioni e prestazioni di natura socio-assistenziale.
 
Il welfare di “nuova generazione” dovrebbe quindi essere caratterizzato da una forte connotazione “integrata” tra prestazioni di sostegno sociale, di assistenza alla persona, di cura e riabilitazione, capaci di rispondere anche a situazioni complesse nelle quale vengano particolarmente valorizzati l’autonomia del paziente (empowerment, ability to cope) e la sussidiarietà orizzontale (famiglie, reti parentali, volontariato, formazioni sociali) e verticale (Comune, Regione, Stato) anche attraverso lo sviluppo un sistema di servizi sociali forte, capace di tenere le persone al proprio domicilio (assistenti familiari o badanti formate).
 
La Strategia Nazionale Aree Interne, di cui il Ministero è parte istituzionale interessata, promuove una progettazione partecipata dal basso. Questa azione, che pone Comuni e ASL su uno stesso piano sul livello decisionale e di responsabilità attuative, rispetto a una strategia di sviluppo dell'area cui ogni parte è chiamata a concorrere, si rivela feconda quando tutti gli attori si mettono in gioco per definire e raggiungere risultati comuni e sostenibili.
 
Nelle diverse realtà regionali sta assumendo rilevanza strategica la presenza di un “punto unico di accesso” (PUA) ai servizi sanitari e sociosanitari, funzionalmente o strutturalmente organizzato, capace di dare una risposta efficace ed immediata al paziente con un bisogno di salute e assistenza semplice, o pronto ad avviare un percorso articolato di presa in carico del paziente che presenta bisogni di salute più complessi, per i quali è necessario valutare anche la situazione familiare, sociale ed economica.
 
E’ poi fondamentale la definizione di un il Piano di cura personalizzato (PAI)che definisca gli obiettivi ed i risultati attesi in termini di mantenimento o miglioramento dello stato di salute della persona con patologia cronica e individui il livello di complessità, la durata dell’intervento, le prestazioni sociosanitarie che dovranno essere erogate, compatibilmente con le risorse a disposizione, individuando le responsabilità dei soggetti/strutture coinvolte e gli operatori che seguiranno il paziente e tenendo conto anche della situazione socio-ambientale del paziente, inclusa la presenza di relazioni familiari e di Caregiver di riferimento.
 
Condividere indicatori di esito e di processo, è responsabilizzante per chi sia chiamato a esercitare il ruolo di decisore pubblico, sia in qualità di committente di un servizio (perché così può vigilare sulla qualità e sulla risposta a esigenze e aspettative), sia in qualità di fornitore di un servizio (perché così rimodulare in modo efficiente ed efficace la propria offerta, crescendo in competitività).
 
E', infine, auspicabile che sia possibile condividere indicatori di esito e di processo sia sanitari che sociali, anche se su questi ultimi sono ancora troppo ampi i margini di miglioramento della qualità e disponibilità di patrimonio informativo, mentre su quelli sanitari stiamo già lavorando per crescere nella capacità di valutare l’assistenza territoriale e fronteggiare, dal punto di vista sanitario, la sfida della cronicità e dell’invecchiamento in buona salute.
 
L’Intesa Stato-Regioni del 10 luglio 2014 concernente il “Patto per la Salute per gli anni 2014-2016” prevede, al fine di definire le principali linee di intervento nei confronti delle principali malattie croniche, la predisposizione del “Piano nazionale della Cronicità” (PNC) da approvare con Accordo sancito dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le PPAA di Trento e Bolzano.
 
Il Piano Nazionale Cronicità nasce dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale tutte le attività in questo campo,proponendo un documento, condiviso con le Regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune, centrato sulla Persona ed orientato su una migliore organizzazione dei Servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli Attori dell’assistenza.
 
Il fine è quello di contribuire al miglioramento della tutela per le persone affette da malattie croniche, riducendone il peso sull’individuo, sulla sua famiglia e sul contesto sociale, migliorando la qualità di vita, rendendo più efficaci ed efficienti i Servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai Cittadini.
 
Il documento, approvato in Conferenza Stato-Regioni il 14 settembre 2016, indica la strategia complessiva e gli obiettivi di Piano, attraverso i quali migliorare la gestione della Cronicità nel rispetto delle evidenze scientifiche, dell’appropriatezza delle prestazioni e della condivisione dei Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA).
 
 
I messaggi chiave del PNC
• Una nuova cultura del sistema, dei servizi, dei professionisti e dei pazienti, che coinvolga e responsabilizzi tutte le componenti del sistema socio-assistenziale.
• Un diverso modello integrato ospedale/territorio in cui l’ospedale sia concepito come uno snodo di alta specializzazione del sistema di cure, che interagisca con la Specialistica ambulatoriale e l’Assistenza Primaria.
• Un sistema di cure centrato sul paziente “persona” (e non più “caso clinico”), che mantenga il più possibile la persona malata al suo domicilio riducendo il rischio di istituzionalizzazione.
• Una nuova prospettiva di valutazione multidimensionale orientata sul paziente-persona, sugli esiti raggiungibili e sul sistema sociosanitario con outcome personalizzati.
 
Vito De Filippo
Sottosegretario alla Salute

28 novembre 2016
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