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Governo Monti/2. L'agenda per la sanità. Il collasso del sistema per la non autosufficienza

di Lucia Conti

Fondi ridotti o azzerati con la minaccia del taglio orizzontale all'assistenza previsto dalla delega fiscale e assistenziale. L'allarme al 3° Forum sulla non autosufficienza di Bologna. Ecco il 3° Rapporto nazionale con la foto di un'Italia spaccata in due che chiede aiuto al nuovo Governo

17 NOV - Tra le prime questioni da affrontare per il Governo Monti e per i neo ministri del Welfare Elsa Fornero e della Salute Renato Balduzzi c'è sicuramente la non autosufficienza. I dati sono drammatici e presentano un gap tra Nord e Sud inaccettabile. A fronte di una spesa media annua per l'assistenza ai disabili di 2.500 euro procapite (già molto bassa), nel Nord si arrivano a spendere 5.000 euro a tesa, al Sud non si superano i 650 euro ad assistito.
 
Su questa realtà già minata dalla scarsità di risorse e dalle differenze terriotriali pesa poi come un macigno la delega fiscale e assistenziale che prevede tagli per 20 miliardi di euro all'assistenza attraverso una riforma del settore di cui il precedente Governo non ha fatto in tempo a delineare ambiti e caratteristiche.
Questa realtà è stata ben delineata al 3° Forum nazionale della non autosufficienza concluso a Bologna proprio alla vigilia dell'insediamento del nuovo Governo.  “Rispetto al resto del Continente – ha spiegato Gabriella Sebastiani, ricercatore dell’Istat – in Italia il reddito disponibile è diminuito senza che ci sia stato un sostegno adeguato da parte del welfare. I sistemi di protezione sociale sono tutti destinati alla funzione della vecchiaia, e le poche risorse residuali vengono indirizzate verso il sostegno alla povertà e situazioni di esclusione sociale. Il sistema ormai è al collasso: c’è una drastica riduzione dei fondi se non un azzeramento di alcuni come quello per la non autosufficienza, e al contempo le risorse delle famiglie calano mettendo in crisi la rete degli aiuti informali”.

Una situazione allarmante certificata non solo dall’Istat, ma anche dal Censis. La Fondazione di ricerca sociale, che svolge circa 150 ricerche all’anno, rappresentata al Forum da Carla Collicelli, vicedirettore generale Censis, ha focalizzato l’attenzione su tre potenti fenomeni: invecchiamento, nuovi italiani, megacities. Considerando che dal 2002 al 2010 c’è stato un incremento fortissimo di ultracentenari (+165%), la logica conseguenza è che aumentano i ‘non autosufficienti’ ma anche gli ‘autosufficienti’. La visione, se vogliamo, è paradossale ma lineare: molti anziani possono continuare la propria esistenza con una qualità di vita maggiore. Si passa dall’acuzie alla cronicità. “Il welfare ha visto crescere, soprattutto per quel che riguarda la sanità, la propria spesa negli ultimi anni in maniera abbastanza sostanziosa e ora si trova di fronte a tagli e contenimenti che riguardano sia gli enti locali per il sociale che il servizio sanitario nazionale per le regioni”, ha osservato Collicelli, secondo la quale “la crisi finanziaria si innesta su una crisi di modello: serve un veloce ripensamento del sistema per evitare di avere danni troppo ingenti. Come? La resistenza al cambiamento è forte, bisognerebbe avere un maggiore coordinamento tra le risorse spontanee e istituzionali, pubbliche e private, mettere a frutto il grande potenziale esistente evitando gli sprechi”.

Punta molto sulla reazione che tutti, operatori e stakeholders, devono avere, Marco Trabucchi, dell’Università Tor Vergata Roma e direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia. “Nel campo degli anziani possiamo risparmiare e indirizzare i pochi soldi che ci avanzano alle cose veramente utili. Il che ovviamente non significa che dobbiamo accettare una situazione per molti aspetti inaccettabile sul piano umano e civile, però dobbiamo fare. La sofferenza è forte, non possiamo pensare alle nostre crisi ma fare”.

“Fare”: è il must che anima tantissime comunità italiane, come ad esempio la Comunità Sant’Egidio, rappresentata a Bologna dal portavoce Mario Marazziti. “Noi viviamo con più forza il contatto con chi non ce la fa, e registriamo da anni un aumento di persone e famiglie in difficoltà, non solo delle povertà estreme. Quel che vorrei sottolineare però è che, paradossalmente, tutto si scarica sulla tanto bistrattata famiglia italiana che, in questo quadro, emerge come una piccola Pompei. La famiglia regge meglio che nel resto d’Europa e nel Mondo, è una risorsa immensa che rischia però di sfasciarsi e, proprio come Pompei, di non tornare più”. Ma anche per Marazziti un cambiamento di modello è necessario ed urgente. “Serve un welfare che non giochi sul fatto che tanto c’è la famiglia e ci pensa lei, e quindi si può anche non fare nulla, non fare la riforma del sociale e tanto altro. Lo snodo cruciale è qui: se lo capiamo, allora abbiamo una buona occasione per cominciare sin d’ora ad affrontare i problemi del futuro che sono già quelli del presente”.

Il dati del terzo Rapporto sulla non autosufficienza
Il Forum è stato anche l’occasione per presentare il 3° Rapporto promosso dall’Irccs-Inrca per il Network nazionale per l’invecchiamento. Che ricorda anzitutto come, secondo le proiezioni dell’Istat, la popolazione ultraottantenne in Italia, quella presso cui si concentra il maggior fabbisogno assistenziale, passerà dagli attuali 2,9 a ben 7,7 milioni nel 2030, con un numero di persone non autosufficienti pari a 3,5 milioni contro gli attuali 2 milioni. Ma “a fronte di questa richiesta di assistenza sempre maggiore, siamo di fronte all’ormai progressivo indebolimento delle strutture familiari” che fino ad oggi, più del sistema pubblico, si sono occupate degli anziani non autosufficienti, osserva il rapporto. Infatti cresce il numero di nuove forme familiari, single, divorziati, monogenitori non vedovi e vedovi.
L’Italia è pronta ad affrontare il futuro? Il timore è che non lo sia. Il quadro dell’assistenza domiciliare (Adi) descritto dal precedente Rapporto, che indicava come in Italia la diffusione dei servizi fosse complessivamente limitata e come l’offerta del servizio fosse disomogenea tra le Regioni (con il Sud penalizzato), e la situazione ad oggi non sembra molto cambiata. Per la precisione “un leggero incremento della copertura” dell’Adi c’è stato ma, osserva il rapporto, a questo “si sta accompagnando una diminuzione dell’intensità del servizio, intesa come numero di ore di assistenza erogata per singolo caso trattato. In media in Italia il 3,6% degli anziani ha ricevuto questo servizio (contro il 3,3% nel 2008 e l’1,9% nel 2001), per un totale di 19 ore di assistenza (erano 22 nel 2007)”.
 
Il modello di Adi al Nord è quello di un servizio che offre accessi di breve durata ed un mirato intervento sanitario prevalentemente di natura infermieristica. Questo spiega la copertura di Regioni quali l’Emilia-Romagna e il Friuli-Venezia Giulia, dove l’8,3% e il 7,7% degli anziani hanno ricevuto accessi Adi solo per rispettivamente 21 e 7 ore annue (solo 26 e 9 minuti alla settimana per utente).
Anche per quel che riguarda l’assistenza di tipo sociale, garantita dai Comuni attraverso i servizi di Assistenza Domiciliare (Sad) e finalizzata a supportare gli anziani con le attività strumentali della vita quotidiana (le cosiddette Iald), il confronto con i dati dello scorso anno suggerisce che la situazione sia rimasta sostanzialmente invariata. Gli anziani utenti del servizio erano l’1,8% della popolazione nel 2006, mentre secondo l’indagine Istat relativa all’anno 2007 sarebbero calati all’1,7%. Al contempo, però, è cresciuto il costo medio per caso trattato, è il leggero aumento rispetto ai 1.646 euro del 2006, attestandosi a 1.761 euro per soggetto anziano assistito
“Nel caso del Sad – osserva il Rapporto – è ancora più marcato il ‘Nord-Sud’ già osservato nell’ambito dell’Adi. Nelle Regioni del Sud molte amministrazioni comunali non sono in grado di offrire il servizio: mentre nel Nord-Est il 96,1% dei Comuni eroga il servizio Sad, nell’Italia Meridionale ed Insulare sono rispettivamente l’83,0% e l’88,2% a fare altrettant”o

Per quanto riguarda l’assistenza residenziale e socio-assistenziale, “la momentanea sospensione dell’’indagine Istat in materia non consente di verificare le variazioni rispetto ai precedenti indicatori, che nello scorso Rapporto mostravano una copertura dei servizi residenziali pari al 3,0% della popolazione anziana nel 2006”. Ma secondo gli esperti che hanno redatto il Rapporto, “tale valore, già in leggera diminuzione rispetto al 3,1% del 2001, era indicativo di come in Italia, rispetto in particolare ad altri contesti nazionali nord-occidentali, l’assistenza residenziale abbia un ruolo piuttosto marginale”.
Dai dati del ministero della Salute, prese in considerazione nel Rapporto anche se, precisano gli esperti, “utilizza classificazioni differenti di assistenza residenziale rispetto all’Istat”, emerge che nel 2006 il tasso di ospedalizzazione per 100 anziani nei reparti di lungodenza e riabilitazione sono stati rispettivamente pari allo 0,8% e al 2,5%. Il tasso di degenze nelle sole RSA (presidi residenziali per anziani non autosufficienti necessitanti di un medio-elevato supporto assistenziale e di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative) nello stesso anno è stato dell’1,2%. Per quanto riguarda le differenze regionali, si passa da contesti dove i ricoveri e le istituzionalizzazioni sono molto frequenti quale la Lombardia (Rsa 3,5%; lungodegenza 0,3%; riabilitazione 5,1%) e il Trentino-Alto Adige (Rsa 4,0%; lungodegenza 3,1%; riabilitazione 5,0%) ad altri quali la Campania e la Basilicata dove non è frequente né l’uso di residenze ad elevata intensità assistenziale sanitaria (0,1% e 0% per le Rsa rispettivamente), né il ricorso all’ospedale in setting post-acuto (lungodegenza: 0,4% in entrambe le Regioni; riabilitazione 1,4% e 0,8%). Interessante il caso del Lazio in cui, a fronte di un ricorso alle RSA molto basso (0,5%) di tassi di ospedalizzazione in lungodegenza e riabilitazione intensiva medio-elevati (0,6% e 3,3%), la durata delle degenze in questi reparti è elevatissima (84,2 giorni vs media italiana di 33,5 nella lungodegenza; 38,7 giorni vs 25,1 in riabilitazione). “Quest’ultimo dato – si legge nel Rapporto - suggerisce che la carenza di Rsa adeguatamente attrezzate ad accogliere pazienti in dimissione da ospedale potrebbe in qualche modo contribuire all’allungamento improprio delle degenze in post-acuzie e pertanto impedire uno spostamento di risorse dall’ospedale al territorio”.


Infine l’annoso capitolo dei trasferimenti monetari, che secondo il Rapporto “rappresentano la più importante misura a sostegno degli anziani non autosufficienti in Italia, sia in termini di risorse pubbliche impiegate che per l’ampiezza dell’utenza”. Dai dati emerge che nell’ambito dei trasferimenti lo strumento con maggiore diffusione è l’indennità di accompagnamento (ex legge n. 18 del 1980), che “ha conosciuto nel corso dell’ultimo decennio una diffusione senza precedenti che ha in larga parte determinato l’incremento della spesa complessiva dei trasferimenti agli invalidi civili. Nel 2002 – ricorda il Rapporto - la spesa pubblica per l’indennità di accompagnamento si attestava a circa 7,5 miliardi di euro; per il 2011 l’Inps preventiva per questo intervento una spesa superiore ai 13,5 miliardi (per la maggior parte destinata ad anziani non autosufficienti)”.
Per quanto concerne la copertura dello strumento, nel 2008 il tasso di fruizione dell’indennità di accompagnamento per invalidità civile tra la popolazione anziana (comprendendo anche le prestazioni per non udenti e non vedenti) è stato pari al 12,5% (12), in aumento dello 0,6% rispetto al 2007. A fare da capofila è l’Umbria, nella quale un anziano su cinque di fatto beneficia dell’indennità, la percentuale più alta sul territorio nazionale. Al contrario, il Trentino-Alto Adige (7,8%) ed il Piemonte (9,5%) si mantengono sotto la soglia del 10% e costituiscono le Regioni con le percentuali di beneficiari di indennità più basse. Tra le Regioni del Centro-Nord, oltre alla già citata Umbria, solo le Marche (13,8%) e il Lazio (12,8%) sono al di sopra della media nazionale. Al Sud, sono Basilicata e Molise a registrare le percentuali di beneficiari dell’indennità più basse, mentre in tutte le altre Regioni i beneficiari oscillano tra il 13% e il 18%.
Nel periodo 2004-2008 è incrementato il tasso di fruizione in tutte le Regioni italiane. La Regione meno generosa è stata il Trentino-Alto Adige, dove tra il 2007 e il 2008 la percentuale di anziani con indennità è addirittura diminuita.

Un’altra misura di supporto erogata sotto forma di trasferimento monetario, ricorda poi il Rapporto, sono gli assegni di cura comunali che, “sebbene la spesa per questi strumenti non sia paragonabile a quella per i trasferimenti di titolarità nazionale, hanno rappresentato negli ultimi anni un architrave delle politiche regionali su cui si è concentrato lo sforzo riformatore regionale”.
Uno sguardo ai trasferimenti monetari comunali (esclusi quelli regionali e provinciali) rivela come la spesa per questo tipo di strumento in Italia sia molto contenuta, di poco superiore ai 78 milioni di euro nel 2007, considerando anche il costo di voucher ed altre tipologie di buoni sociosanitari. Gli abitanti dei Comuni del Nord hanno maggiormente usufruito di questi benefici: in Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia, le tre Regioni con le amministrazioni comunali più “generose” in tal senso, i tassi di copertura sono stati rispettivamente di 2,53, 1,65 e 0,84 (vs una media nazionale dello 0,54%). “I bassissimi tassi di copertura nelle Regioni del Sud – conclude il Rapporto - non solo suggeriscono che in queste aree del Paese i Comuni possano disporre di minori entrate fiscali, ma anche che a livello di spesa municipale le risorse disponibili vengano prioritariamente allocate ad altri settori assistenziali, quali l’area Disagio Adulti o Minori”.
 
Lucia Conti


 

17 novembre 2011
© Riproduzione riservata

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