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Pma eterologa. Il problema etico del diritto del nato a conoscere la verità 


È stato reso noto il documento del Cnb che affronta il tema della delicata “conoscenza delle proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa”. Tecnica che la legge 40/04 vieta ma che una sentenza della Consulta potrebbe far cambiare. 

17 GEN - Avevamo dato la notizia nel novembre scorso dell’approvazione da parte del Comitato nazionale per la bioetica del documento: “Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa”, ora il testo è stato reso pubblico.
 
Il Comitato pur non entrando nel merito della valutazione etica della Procreazione medicalmente assistita e della sua regolamentazione giuridica nel nostro Paese, si limita a considerare il problema etico del diritto del nato a conoscere la verità sulle modalità in cui è stato concepito e conseguentemente della propria discendenza biologica.
 
“Il documento – si legge – ritiene raccomandabile che i genitori rivelino al figlio le modalità del suo concepimento attraverso filtri e criteri appropriati (proporzionalità, sostenibilità, rilevanza, attinenza, ecc.) anche con l’ausilio di una consulenza”. E inoltre viene raccomandato “che al nato si riconosca sempre il diritto di accedere a quei registri dove sono conservati i dati genetici e la storia clinica dei datori di gameti, dato che trattasi di notizie a volte indispensabili per la sua salute”.
 
Per quanto concerne invece l’altro aspetto ovvero “se la ricerca di una discendenza possa giustificare nell’ambito della fecondazione artificiale il diritto del nato di conoscere anche i dati anagrafici del donatore/donatrice o datore/trice di gameti”, il comitato non è stato in grado di dare una risposta unitaria.
 
Alcuni membri del Cnb sono convinti che sia più opportuno conservare l’anonimato anagrafico in considerazione del fatto che il legame tra i “procreatori biologici” e il “nato” è di carattere “genetico ma non relazionale”. In questo caso, infatti “la preoccupazione primaria è quella che il disvelamento anagrafico possa alterare l’equilibrio esistenziale della famiglia di origine con possibili interferenze esterne nel progetto familiare”.
 
Gli altri membri del Comitato che di contro riconoscono al nato il diritto ad un’informazione piena nei confronti di chi ha ceduto i gameti ritengono che “una informativa sulle proprie origini è ritenuta indispensabile per la ricostruzione della identità personale del nato”. Ricostruzione dell’identità “come diritto fondamentale del nato” in contrapposizione “all’interesse dei genitori a mantenere il segreto e dei donatori a conservare l’anonimato. Una conoscenza, altresì, motivata da ragioni di parità e non discriminazione, non essendo legittimo sotto l’aspetto sia etico che giuridico impedire solo ai nati attraverso tale tecnica di ricercare le informazioni sulle loro origini biologiche”.
 
I genitori dunque è bene che rivelino al figlio le modalità del suo concepimento seppur attraverso filtri e criteri appropriati come la “consulenza psicologica in grado di fornire il sostegno necessario a tutte le parti coinvolte lungo il precorso del disvelamento”, viceversa secondo il Cnb è sbagliato “eludere la richiesta di conoscere la verità” che viene vista come “una specifica forma di violenza: la violenza di chi, conoscendo la verità che concerne un’altra persona e potendo comunicargliela, si rifiuta di farlo, mantenendo nei suoi confronti un’indebita posizione di potere”.
 
Qualora, infine, la cura e la tutela della salute del minore lo rende necessario, il Cnb ritiene “indispensabile che il medico e/o la struttura medica, venuti a conoscenza delle modalità di procreazione del nato, informati in modo esauriente i genitori, o previa autorizzazione di questi ultimi o, nel caso del loro diniego, dell’autorità giudiziaria competente, abbiano sempre la possibilità di richiedere l’accesso ai registri e l’utilizzo dei dati necessari per i trattamenti diagnostici e terapeutici del minore paziente. Con analoga finalità si auspica la possibilità che tra i centri medici e il donatore/datore vi sia un rapporto continuativo nel tempo”.
 
 
Il documento composto da 32 pagine, diviso in 6 parti ha in più una postilla finale che contiene le motivazioni di chi come Maria Luisa Di Pietro e Carlo Flamigni hanno espresso il proprio voto contrario al testo.
 
“La Pma nella forma eterologa priva – scrive Maria Luisa Di Pietro – il nascituro della garanzia di essere pensato e portato all’esistenza all’interno di una relazione interpersonale esclusiva, viola il suo diritto a conoscere la propria identità familiare e introduce elementi di disordine sociale non facilmente gestibili. Si pensi, tra l’altro, alla difficoltà di ricostruire una storia sanitaria familiare in un contesto in cui le relazioni parentali sono state stravolte”. La bioeticista pone inoltre l’accento sul fatto che la Legge n. 40/2004 vieta la fecondazione eterologa  e si sarebbe aspettata “una riflessione più ampia sulla questione” anche a fronte della sentenza della Corte Ue che stabilisce che “vietare la PMA nella forma eterologa non costituisca in alcun modo una violazione dei diritti dell’Uomo, avvallando indirettamente la stessa legge italiana”.
 
Diverso, per ragioni di metodo e di merito, il voto contrario di Carlo Flamigni che firma la seconda postilla alla fine del documento del Cnb. “Gli scopi del parere non rientrano nei compiti istituzionali previsti, e l’analisi etica è carente” è il primo giudizio del ginecologo che poi a conclusione del suo lungo argomentare aggiunge “Mi sono chiesto molte volte le ragioni per le quali si è scelto di discutere un documento che non ha niente a che fare con la bioetica e che mi sembra assolutamente inutile; mi sono chiesto anche le ragioni della scelta di promuoverlo prima della fine dell’anno, malgrado che qualche voce di dissenso si levasse, di tanto in tanto, nelle discussioni. Credo che il Comitato – che malgrado abbia detto ben poco non ha ormai più niente da dire – sia preoccupato per l’eventualità di una decisione governativa che lo collochi tra gli “enti inutili” e che per questo stia accelerando la conclusione di documenti che meriterebbero una diversa attenzione (o, come in questo caso, di attenzione non ne meriterebbero). Se fosse così, sarebbe un errore: non c’è niente di più inutile di un ente inutile che non sa di esserlo”.

17 gennaio 2012
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