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Manovra. Spandonaro (Ceis): mancano interventi di lungo respiro


Intervista di Quotidiano Sanità al coordinatore del Ceis Sanità di Tor Vergata, l’economista Federico Spandonaro. “Ancora una volta a livello centrale non si agisce sull’efficienza/efficacia del sistema, quanto sul versante finanziario. E questo deve preoccuparci, perché la spesa sanitaria italiana non solo è già sotto i livelli medi europei, ma è cresciuta anche poco nel medio-lungo periodo”.

22 GIU - Professor Spandonaro, che idea si è fatto di questa manovra?
Per analizzare la manovra economica nel suo impatto sul settore sanitario, è utile distinguere alcuni piani complementari, ma non sovrapponibili: quello finanziario, da leggere insieme a quello economico, e quello dell’attendibilità delle previsioni, da leggersi con quello dell’efficienza degli interventi.
Si spieghi.
Il governo ha più volte ribadito che la manovra non toccherà la Sanità e questa affermazione è sostanzialmente vera assumendo l’ottica finanziaria, implicita nella manovra. E infatti  alle Regioni e Province autonome è richiesto di partecipare al risanamento della finanza pubblica per 4,5 miliardi di euro nel 2011 (5,5 nel 2012), ove la Sanità contribuirà “solo” per 600 milioni annui, con corrispettiva riduzione nel finanziamento ordinario. Da un punto di vista finanziario, essendo le risorse liberate dai vari interventi stimate credibilmente, forse persino in difetto, contrariamente a un uso invalso nel passato, la manovra finanziaria è sostanzialmente neutrale, ma questo non vuol dire che implichi maggiore efficienza.
E allora perché tanta obiezione da parte delle Regioni?
Perché c’è per l’appunto una seconda opzione di lettura per questa manovra, che va al di là della portata dei singoli provvedimenti. Il punto infatti è che l’ammontare complessivo dei tagli, in assenza di “miracoli” regionali sul versante dell’efficienza,  rischia di minare nel breve periodo la stessa possibilità delle Regioni di far fronte ai propri compiti in termini di servizi e prestazioni erogate ai cittadini. E questo vale per tutti i servizi ma, considerando che la sanità assorbe tra il 70 e l’80% dei bilanci regionali, è chiaro che è su questo settore che si addensano le principali preoccupazioni. Basti pensare che, già al netto di questa manovra, le Regioni, in base al finanziamento statale ricevuto, dovevano comunque far fronte a un disavanzo prevedibile di almeno 6 miliardi nel 2010 e di altri 7 miliardi nel 2011. Una quota tutt’altro che irrilevante di per sé, ma che assume una valenza ancora più significativa considerando che oltre la metà della cifra in questione si concentra in poche Regioni per lo più già gravate da livelli rilevanti di tassazione propria.
Come giudica invece nel merito i singoli provvedimenti?
Ho molti dubbi sulla qualità degli interventi, intesa sia come reale incentivo all’efficienza, che come rispetto delle regole istituzionali dettate dal federalismo. Le regole restrittive sul personale agiscono inopportunamente anche sulle Regioni con i conti a posto, invadendo così una sfera gestionale di competenza regionale. L’altro settore colpito significativamente è ancora quello farmaceutico. Si agisce spostando i margini dei grossisti, internalizzando i risparmi impliciti nella pratica degli sconti tra grossisti e farmacisti, come peraltro già fatto per i generici con il decreto terremoto Abruzzo. Ma la norma non contiene elementi di stimolo all’efficienza distributiva e lascia ancora incomprensibilmente salvo il meccanismo dei margini in percentuale del prezzo dei farmacisti.  Anche lo spostamento di quote di mercato ospedaliero su quello territoriale, al di là del fatto meramente finanziario del riequilibrio dei tetti, ha una valenza di difficile lettura.
Insomma questa manovra non le piace.
Non è questo il punto. Una manovra non deve piacere, deve essere efficace subito ma deve anche essere in grado di porre le basi per lo sviluppo. In questo caso sembra invece prevalsa una logica squisitamente congiunturale, sebbene senz’altro giustificata dalla crisi. Ma, e mi limito alla sanità, mancano interventi (certamente da integrare con quelli a livello regionale o quanto meno che siano da ausilio a quelli), di largo respiro, capaci di incentivare efficienza/efficacia del sistema.  Ma quello che più mi preoccupa è che, essendo la spesa sanitaria italiana già sotto i livelli medi europei, ed essendo anche cresciuta poco nel mediolungo periodo, andrebbe definitivamente chiarito se in prospettiva gli eventuali recuperi di efficienza (per quanto di breve periodo) si ritiene debbano essere reinvestiti nel settore (nelle aree dove la tutela vacilla) oppure debbano andare a contribuire al risanamento della finanza pubblica, scontando un modello che implicitamente ritiene sovrastimata la spesa sanitaria. Data la natura eminentemente equitativa dell’intervento pubblico in Sanità, e anche gli impatti sullo sviluppo industriale del settore, la questione non è di poco conto.

C.F.
 
In allegato la valutazione della Corte dei Conti sulla manovra

22 giugno 2010
© Riproduzione riservata

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