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PMA. “È legittimo impedirla alle coppie gay”. Le motivazioni della Corte Costituzionale


Rese note le motivazioni della Consulta che ha respinto, lo scorso giugno, le questioni di legittimità sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge 40/2004, là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. "L'infertilità 'fisiologica' della coppia omosessuale (femminile) non può essere omologabile all'infertilità della coppia eterosessuale affetta a patologie riproduttive". LA SENTENZA

23 OTT - Depositata la sentenza della Corte Costituzionale con la quale, lo scorso giugno, veniva confermata l'illegittimità del ricorso alla procreazione assistita da parte delle coppie gay. La Consulta è così intervenuta sulle questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge 40/2004.
 
Nella sentenza si spiega come, l’ammissione alla Pma delle coppie omosessuali, "esigerebbe la diretta sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale, di entrambe le idee guida sottese al sistema delineato dal legislatore del 2004, con potenziali effetti di ricaduta sull’intera platea delle ulteriori posizioni soggettive attualmente escluse dalle pratiche riproduttive (oltre che con interrogativi particolarmente delicati quanto alla sorte delle coppie omosessuali maschili, la cui omologazione alle femminili – in punto di diritto alla genitorialità – richiederebbe, come già accennato, che venga meno, almeno a certe condizioni, il divieto di maternità surrogata)".
 
Inoltre, si sottolinea come l’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale (femminile) non possa essere omologabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive. "Si tratta di fenomeni chiaramente e ontologicamente distinti - si spiega -. L’esclusione dalla Pma delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale".
 
Viene poi richiamato quanto stabilito dalla Corte di cassazione riguardo all’affidamento del minore nato da una precedente relazione eterosessuale, dopo la manifestazione dell’omosessualità della madre e l’instaurazione, da parte sua, della convivenza con altra donna (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 gennaio 2013, n. 601). 
 
"Vi è una differenza essenziale tra l’adozione e la Pma - si legge nella sentenza -. L’adozione presuppone l’esistenza in vita dell’adottando: essa non serve per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo. Nel caso dell’adozione, dunque, il minore è già nato ed emerge come specialmente meritevole di tutela – così nella circoscritta ipotesi di adozione non legittimante ritenuta applicabile alla coppia omosessuale – l’interesse del minore stesso a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate: interesse che – in base al ricordato indirizzo giurisprudenziale – va verificato in concreto (così come, del resto, per l’affidamento del minore nato da una precedente relazione eterosessuale). La Pma, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Il bambino, quindi, deve ancora nascere: non è, perciò, irragionevole – come si è detto – che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni 'di partenza'”.
 
Quanto poi all'accusa di dar così luogo a una ingiustificata disparità di trattamento in base alle capacità economiche, facendo sì che l’aspirazione alla genitorialità possa essere realizzata da quelle sole, tra le coppie omosessuali, che siano in grado di sostenere i costi per sottoporsi alle pratiche di Pma in uno dei Paesi esteri che lo consentono, la Consulta sottolinea come il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero "non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione".
 
E ancora, si aggiunge, non viene violato l’art. 31 della Costituzione, il quale "riguarda la maternità e non l’aspirazione a diventare genitore". Allo stesso modo, "non si può considerare violato l'articolo 32" circa il rischio di incidere negativamente sulla salute psicofisica della coppia a causa dell'impossibilità di formare una famiglia con figli con il proprio partner. "La tutela costituzionale della salute - si spiega - non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l’evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione".

23 ottobre 2019
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