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Medicina di genere. Palagiano (Idv): "Orgoglioso di aver presentato per primo una mozione in Parlamento"


Il capogruppo Idv in Commissione Affari Sociali della Camera, illustra in questa intervista il senso della sua mozione sulla medicina di genere presentata nel giugno 2010. E che la prossima settimana, secondo quanto previsto dal calendario dei lavori, sarà sottoposta al voto dell’Aula. 

15 MAR - Avevamo parlato nei giorni scorsi di una mozione sulla medicina di genere, presentata da Livia Turco, su cui l’Aula di Montecitorio avrebbe dovuto esprimersi questa settimana. In realtà il calendario dei lavori della Camera ha fatto slittare il voto alla prossima settimana. A darcene conferma è Antonio Palagiano, capogruppo Idv in Commissione Affari Sociali della Camera, che rivendica il fatto di essere stato il primo, quasi due anni fa, a presentare una mozione sulla medicina di genere. Mozione che ora finalmente insieme a quella della Turco (Pd), della Binetti (Udc-Terzo Polo), della Martini (LnP) e di Palumbo (Pdl), sullo stesso argomento, verranno votate da Montecitorio.
 
 
Onorevole Palagiano, da cosa nasce l’esigenza di una mozione sulla medicina di genere?
Come premessa vorrei dire che circa due anni, era il giugno 2010, ho presentato questa mozione e ho dovuto faticare non poco per arrivare in queste settimane, anche in coincidenza con la festa della donna, ad avere una discussione prima e una calendarizzazione del voto poi. L’esigenza nasce dal fatto che la medicina di genere è una medicina che studia le differenze fra i due sessi non soltanto da un punto di vista anatomico ma anche da un punto di vista funzionale, fisiologico, biologico, psicologico. Le donne sono quelle che consumano più farmaci in assoluto ma, stranamente, questi farmaci sono sperimentati soltanto sull’uomo.
Ignorare oggi questa questione non è soltanto anacronistico, ma anche irresponsabile, irrazionale ed antieconomico.
 
Lei ha più volte sostenuto che la medicina di genere conviene, in che senso?
Una maggiore appropriatezza della terapia significa dare una migliore terapia alle nostre donne, alle nostre bambine, ma anche ai nostri uomini e anche ai nostri bambini.
Credo che convenga allo Stato perché una terapia più giusta, una terapia migliore è l’obbiettivo di tutti, a partire dal ministero della Salute.
 
Questo ovviamente dovrebbe cambiare le regole per la ricerca.
Ma anche per la sperimentazione, per la prevenzione, per i trattamenti, per la formazione del personale e per l'accesso alle terapie.
La donna si ammala più facilmente perché ha un organismo diverso ma anche perché svolge il doppio ruolo di lavoratrice fuori e dentro a casa. Questo dovrebbedarle il diritto ad una terapia più specifica.
 
Al Senato c’è una legge sulla sperimentazione farmacologica.
Si, e gli emendamenti accolti spingono proprio le aziende farmaceutiche che vogliano investire in Italia attraverso la ricerca, a rendersi conto che i farmaci vanno sperimentati su entrambi i generi.
 
In sostanza cosa chiede la sua mozione?
La mozione chiede al Governo un potenziamento della ricerca medica e della ricerca scientifica, nonché di quella farmacologica, nella direzione della medicina di genere. Obiettivo è una legge che prevede che chiunque venga in Italia per fare delle ricerche debba tener conto che fra i pazienti che utilizzano per la prima volta una determinata terapia vi debbano essere, per forza, delle donne, e noi proponiamo il 50 per cento. La mozione chiede anche di inserire la medicina di genere nei programmi dei corsi di laurea e di specializzazione non soltanto per il personale medico, ma anche per il personale sanitario che ha a che fare con le donne. Chiediamo inoltre anche l’istituzione di percorsi particolari nelle nostre strutture sanitarie.
 
Cosa intende per percorsi particolari?
Credo che l'ospedale sia un luogo in cui sia necessario creare una cultura medica specifica di genere. Occorrono sicuramente dei percorsi speciali, per esempio per garantire un corretto andamento della gravidanza e una corsia preferenziale – penso al percorso rosa – per la partoanalgesia. Si tratta di un grosso problema e non ci sono i soldi, ma di fronte ad una richiesta del 90 per cento delle donne di non soffrire, il Paese offre risposte soltanto per il 16 cento. Se vogliamo davvero sconfiggere il problema dei tagli cesarei in percentuali elevatissime dobbiamo consentire anche in Italia il parto indolore. Un approccio di genere permette un’adeguata appropriatezza terapeutica e un sensibile risparmio per il sistema sanitario nazionale.

15 marzo 2012
© Riproduzione riservata

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