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Turco (Pd): “Il ministero della Salute deve contare di più”


Intervista a tutto campo per l’ex ministro della Salute nel governo Prodi che inaugura il nuovo sito “Media” della Fnomceo. Il federalismo va rivisto “serve più governo nazionale della sanità pubblica, più unità del Paese e meno egoismo territoriale”.

03 APR - E’ Livia Turco a inaugurare la sezione dedicata ai politici del nuovo sito della Fnomceo “Media- Medici in Azione”. E l’ex ministro spazia dai problemi e le aspettative dei camici bianchi alle priorità del sistema, tra le quali spicca la riforma delle cure primarie. Ma un punto sul quale l’esponente Pd insiste è la necessità che il ministero della Salute torni a contare di più nella sanità, a partire dal suo ruolo di garante di una sanità equa e di pari qualità  in tutta Italia.
 
Ecco l'intervista integrale.
  
Onorevole Turco, dall'osservatorio privilegiato del Ministero che Lei ha diretto, come ha visto cambiare la figura del medico in Italia?
Nei due anni da ministro della Salute ho avuto molte occasioni di confronto con i medici italiani. Sia in situazioni e contesti nei quali abbiamo giustamente valorizzato la loro professionalità e competenza, penso alle iniziative sulla ricerca, sulla sicurezza delle cure, sulle eccellenze terapeutiche presenti nel nostro Paese.
Sia in quei casi di crisi profonda nei quali i medici vengono, anche se spesso ingiustamente, messi alla berlina dai media, come negli episodi di malasanità o in relazione a problematiche controverse come quella dell’intramoenia. Anche in questi frangenti ho comunque sempre cercato il confronto e il dialogo per trovare soluzioni condivise per la sicurezza e la qualità delle cure e per una gestione trasparente dei possibili conflitti di interesse, sempre presenti nella sanità. E non solo nel caso dell’intramoenia. Basti pensare alla mia battaglia per cambiare le regole della nomina dei direttori scientifici degli Irccs, per introdurre anche in Italia il sistema del peer review per il finanziamento della ricerca  o le nuove regole da me proposte per rendere finalmente trasparenti i criteri di nomina dei primari e per una regolamentazione efficace dell’intramoenia, purtroppo vanificata dalle proroghe infinite che hanno reso fino ad oggi difficile e parziale la corretta applicazione della nostra legge del 2007.
Ebbene in queste situazioni così diverse ho potuto cogliere una sorta di doppia identità della categoria medica. Da un lato una grande affezione alla professione, con un forte senso di identità e autonomia. Dall’altro lato, però, ho avvertito il crescere di uno stato di disagio, di smarrimento nei confronti di una realtà sanitaria in continua evoluzione (sia in termini di sistema che di bisogni di salute) verso la quale i medici non mi sono apparsi sempre pronti a rispondere adeguatamente. Del resto, conversando con alcuni di loro, a partire anche dal presidente Bianco, ho potuto trarre il convincimento che questa crisi di identità sia fortemente radicata nella categoria che, non a caso, si interroga sempre più spesso su quali binari dovrà correre per tornare ad essere protagonista del sistema salute. A tutto tondo.

Da anni non si parla più di "pletora medica"; si va anzi verso una costante diminuzione dei camici bianchi: come immagina nel prossimo futuro la fisionomia e lo sviluppo della professione?
Si tratta di due temi ben distinti. Per quanto riguarda la fine della pletora medica, penso che si debba intervenire quanto prima per scongiurare le previsioni di un prossimo futuro “senza medici” nel nostro sistema sanitario. Le soluzioni vanno cercate in una maggiore coordinazione tra Università e mondo del lavoro, ma anche in una ridefinizione dei ruoli e delle modalità di lavoro del medico. Oggi non possiamo negare che le nuove generazioni in camice bianco stentano a trovare un lavoro sicuro e a tempo indeterminato come accade per molte altre categorie.
Ma è certo che, nel caso dei medici, il precariato, se vogliamo, appare ancora più grave perché a queste persone è affidata la salute e la vita dei cittadini. E pertanto non possiamo immaginare un futuro dove il medico che ti cura e ti assiste pensi più a come sbarcare il lunario piuttosto che alla terapia giusta per te.
Da qui, e rispondo alla sua domanda sullo sviluppo della professione, si capisce che la prima cosa da programmare per il futuro è la messa in sicurezza del lavoro medico. Negli ospedali ma anche nel territorio, dove è tempo che la tanto auspicata riforma della medicina territoriale giunga finalmente in porto. E per farlo è indispensabile che i medici facciano anch’essi la loro parte, garantendo con forme di rapporto di lavoro diverse quel servizio H24 per sette giorni alla settimana che, per quanto ho potuto, ho cercato di affermare con le “Case della Salute”.
Cosa funziona e cosa non funziona nell'attuale sistema universitario e post-universitario in cui si forma la classe medica del futuro?
Come ho già detto serve prima di tutto un maggiore collegamento tra formazione e lavoro. L’Università deve aprirsi di più alla realtà lavorativa dei medici. Coinvolgere maggiormente gli ospedali nella formazione e accettare una maggiore specificità della formazione per i medici di medicina generale e in generale per quelle figure che diventeranno i nuovi medici del territorio per i quali penso a percorsi formativi specifici attenti alle cronicità e alla nuova evoluzione demografica della popolazione che sta cambiando profondamente i bisogni di salute.
Poi occorre introdurre due grandi innovazioni: la prima è quella di una maggiore attenzione al rapporto e alla relazione medico-paziente che deve trovare specifici percorsi formativi in tutte le fasi della formazione universitaria e post laurea; la seconda è l’affermazione, anche in campo universitario, della medicina di genere perché è assurdo che ancora oggi, tranne le debite eccezioni, il genere non sia valutato con la dovuta attenzione in tutte le sue ricadute in campo biologico, farmacologico, assistenziale.
Immagini di tornare Ministro: quale sarebbe il primo provvedimento che metterebbe oggi in campo per migliorare la Sanità del nostro Paese?
Darei un’accelerazione definitiva al progetto delle Case della Salute. Oggi la priorità assoluta è quella di offrire al cittadino una vera alternativa all’ospedale. Il mio sogno è che per la persona malata o comunque in difficoltà non esista più solo l’ospedale, che deve fare ciò per cui è nato e cioè curare le acuzie con efficacia ed efficienza e per questo deve essere “liberato” dal ricorso inappropriato al ricovero o al Pronto Soccorso.  Ma per riuscirci deve esserci una rete sanitaria diffusa, di prossimità, capace di rispondere al bisogno costante di assistenza, anche continuativa, penso soprattutto alla domiciliare per i non autosufficienti, capace di mettere in rete medici, infermieri e tutte le altre professionalità sanitarie necessarie, senza dimenticare la realtà del terzo settore e dei servizi socio-assistenziali comunali, costruendo un nuovo sistema sanitario finalmente integrato.
Ma, aggiungo una seconda priorità, per arrivare a ciò occorre anche ripensare il sistema di governance del Ssn. L’esperienza del federalismo, per quanto importante e irrinunciabile nella sua vocazione di avvicinare i servizi alle comunità, ha mostrato molte lacune nella capacità di fare delle diversità territoriali un momento di stimolo al miglioramento. Oggi, a distanza di tanti anni dalla regionalizzazione, dobbiamo infatti constatare che le Regioni più avanzate in sanità sono sempre le stesse, come sempre le stesse sono quelle che stentano a raggiungere livelli adeguati di qualità ed efficienza. E questo non va bene.
Penso che il ministero della Salute debba tornare a contare di più nel governo della sanità, ferme restando le prerogative regionali. E’ tempo che il compito costituzionale, che spetta ancora oggi allo Stato, in termini di garanzia di livelli uniformi di assistenza, sia finalmente attuato e per farlo serve più governo nazionale della sanità pubblica, più unità del Paese e meno egoismo territoriale. Perché un malato è tale da Milano a Palermo e le differenze nella cura e nell’assistenza che ancora oggi registriamo non sono accettabili in un Paese come l’Italia.
La comunicazione in ambito sanitario è un tema assai delicato. Pensiamo al caso “Di Bella” o alla sovraesposizione mediatica del virus H1N1. Secondo Lei, quali sono gli errori da evitare quando si propone un argomento di tale delicatezza al grande pubblico?
Prima di tutto dovremmo rinunciare al facile protagonismo o peggio alla strumentalizzazione nei quali cadono troppo spesso la politica ma anche gli addetti ai lavori. Da parte mia nei due anni di governo della Salute ho cercato di rendere trasparenti tutti gli atti e tutti i percorsi decisionali intrapresi. Anche in circostanze difficili come quando dovetti affrontare lo scandalo del Policlinico Umberto I di Roma (sì sempre lui) dopo una denuncia della stampa che mi convinse della necessità di un messaggio e di un’azione forti per ridare serenità ai cittadini sulla realtà della qualità del nostro servizio sanitario nazionale. O come in altre circostanze drammatiche di emergenza alimentare (le mozzarelle alla diossina o i rifiuti di Napoli), cercando sempre di trasmettere la verità dei fatti e delle effettive potenziali ricadute sulla salute dei cittadini, affidandomi ai pareri e alla competenza delle autorità scientifiche del Paese, anche quando il loro responso poteva apparire “scomodo” per chi rivestiva responsabilità di Governo.
L’ho fatto perché credo nella trasparenza e nella verità, ma anche nella consapevolezza che i cittadini sono molto più maturi di quanto si creda. Sulla salute non si può giocare con le opinioni o con i messaggi. Ognuno di noi, al di là del proprio ruolo o professione, sa bene che la sensibilità nei confronti della propria salute è altissima in ogni categoria o classe sociale. La comunicazione sanitaria deve essere quindi sempre attenta a non nascondere ma anche a non enfatizzare i fatti e anche su questo terreno la competenza e la capacità dei medici di ascoltare e comunicare sono fattori essenziali per un rapporto “sano” tra sanità, scienza e opinione pubblica.
 

03 aprile 2012
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