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Gli Stati Generali, per la sanità un’occasione da non perdere

di Cesare Fassari

Cosa non va in sanità e cosa andrebbe fatto per superare le attuali disomogeneità assistenziali e le carenze palesi di alcuni ambiti (per primi cure primarie e cronicità) lo sappiamo da tempo e la cosa incredibile è che sulle ricette c’è un accordo quasi unanime (salvo inevitabili sfumature) tra i vari esperti ed anche tra le varie componenti politiche e istituzionali titolari della gestione del Ssn. Anche per questo non c'è alibi ad un mancato serio utilizzo della pioggia di miliardi in arrivo dalla UE

14 GIU - Le cronache odierne sull’avvio della serie di incontri promossa dal Governo dal titolo “Progettiamo il Rilancio” ma che tutti i media chiamano Stati generali (come del resto li aveva chiamati lo stesso premier Conte quando annunciò l’idea alcuni giorni fa), sono caratterizzate da due tipologie di commento: una di colore, con sfumature più o meno critiche sulla scenografia e sulla fisionomia quasi monarchica che avrebbe assunto il padrone di casa; l’altra invece puntata tutta sul rischio che la settimana di confronto si risolva in una inutile passerella senza che emerga un piano d’azione concreto.
 
Pochissime le note positive all’iniziativa con una non scontata eccezione nell’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari su Repubblica (articolo circondato del resto da altre note di segno opposto sullo stesso giornale).
 
In linea di massima i toni dei commenti sono, anche quando non dichiaratamente negativi, alquanto scettici sulla possibilità/capacità di questo Governo di gestire con efficienza la massa di denaro che a breve potrebbe inondare il Paese grazie ai maxi finanziamenti anti crisi della UE.
 
In tutto si potrebbe arrivare infatti a circa 200 miliardi di euro per l’Italia tra Recovery Fund, ribattezzato “Next Generation Eu” (circa 170 miliardi) e Mes (altri 36/37 miliardi di euro).
 
E’ evidente che una dote finanziaria di tale portata richiede idee chiare e certamente anche nuove procedure burocratico-legislative per garantirne una rapida fruibilità senza gli intoppi cui siamo abituati. Ma questo vorrei darlo per scontato, e allora di cosa stiamo parlando?
 
Vogliamo veramente credere che questo Governo con i suoi apparati statali centrali e periferici insieme alle grandi aziende strategiche del Paese, in una parola “il sistema Paese” che, checché se ne dica, annovera nelle sue varie articolazioni professionisti di tutto rispetto in ogni campo, non abbia idee su come utilizzare questi 170 o 200 miliardi?
 
Il punto non è questo. Il punto è la capacità, in ogni caso certamente in mano al Governo, di far scattare la scintilla del “fare” rispetto a quella del “rimandare” o comunque “frenare” per paura o interessi contrastanti.
 
Il senso della settimana “Progettiamo il Rilancio” (o se più vi piace “Stati generali”) è questo. Un tentativo, forse effettivamente “antico” nei suoi protocolli istituzionali (che restano comunque molto liturgici anche se in webinar), mirato a raccogliere e compattare in pochi giorni tutte le forze interessate alla svolta: imprese, sindacati, corpi intermedi, grandi istituzioni, settori e comparti storici e nevralgici per l’economia e la società itaiane.
 
A costoro, questa è la promessa, verrà presentato un Piano articolato con tre grandi obiettivi annunciati ieri da Conte: modernizzazione del Paese; transizione ecologica; inclusione sociale, territoriale e di genere.
 
Di più non sappiamo, tranne qualche accenno più generale al significato di questi tre target (vedi discorso integrale di Conte) e personalmente non mi spaventa una settimana di discussioni (anzi forse sette giorni sono pure pochi) alla condizione che, al termine, si lavori effettivamente alla predisposizione concreta e tangibile di quei piani e di quei progetti senza i quali non potremmo mai attingere ai finanziamenti della UE.
 
E sarà su quelle carte progettuali che saremo doverosamente chiamati ad esprimere le nostre valutazioni, le chiacchiere di oggi, sulla scelta di Villa Pamphili o sulle “veline” di Casalino, mi appassionano poco.
 
Ultima considerazione. La sanità, è noto, avrà un ruolo forte in questa progettualità. Nel caso del Mes, qualora alla fine decidessimo di chiederlo, sarà addirittura monopolistico ma anche in caso di “no Mes”, nei piani da presentare per l’accesso ai 170 miliardi del “Next Generation Eu”, di sanità ce ne sarà parecchia.
 
E quindi anche in questo caso la domanda ovvia attorno a quell’enorme flusso di denaro potrebbe essere: per farne cosa? La risposta stavolta non è complessa né richiede grandi idee innovative. Semmai la sfida sarà quella di selezionare per bene le tante progettualità emerse in anni di analisi critica del nostro sistema sanitario realizzate da molti centri di ricerca, non solo italiani, e anche dalle esperienze reali maturate nei singoli territori costantemente monitorate dalle diverse griglia Lea.
 
In altre parole cosa non va in sanità e cosa andrebbe fatto per superare le attuali disomogeneità assistenziali e le carenze palesi di alcuni ambiti (per primi cure primarie e cronicità) lo sappiamo da tempo e la cosa incredibile è che sulle ricette c’è un accordo quasi unanime (salvo inevitabili sfumature) tra i vari esperti ed anche tra le varie componenti politiche e istituzionali titolari della gestione del Ssn.
 
Quindi anche in questo caso la parola d’ordine può riassumersi in quel “fare presto e fare bene” che per primo su questo giornale ha voluto usare Filippo Palumbo, perché il “cosa fare” lo sappiamo. E non c’è aibi che tenga.
 
I soldi tra poco non saranno più “il problema” ma è certo che l’occasione (unica) di rinnovare, modernizzare e rendere sempre più performante, equo e accessibile il nostro Ssn, non possiamo permetterci il lusso di vanificarla.
 
Cesare Fassari

14 giugno 2020
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