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Esclusivo. Trapianti. Nanni Costa replica a Marino: "Non è vero che abbiamo troppi centri"

di A. Nanni Costa

Nei giorni scorsi il senatore Marino (Pd) aveva sollevato dubbi sull'eccessivo numero di centri trapianto. In questo articolo il direttore del Cnt fa il punto sulla situazione della rete, chiarendo che in realtà sono solo 44 gli ospedali italiani dove si effettuano trapianti. Grazie alla razionalizzazione delle equipe. Ma è vero che le Regioni tardano a chiudere i centri poco produttivi

03 LUG - In Italia nel 2011 sono risultati attivi ed autorizzati 111 programmi di trapianto; 42 hanno svolto attività di trapianto di rene, 22 di fegato, 17 di pancreas, 3 di intestino, 16 di cuore, 11 di polmone. Tra essi 6 si sono dedicati esclusivamente al settore pediatrico.
Rispetto alla popolazione ed al numero di trapianti complessivo (2.948 nel 2011) la numerosità dei programmi appare sovrapponibile o inferiore a quella di paesi come la Francia, la Spagna e la Germania, mentre nel Regno Unito è attivo un numero inferiore di programmi, ma con un numero complessivo di trapianti ridotto rispetto agli altri grandi paesi.

Una più accurata indagine evidenzia un sistema caratterizzato da un numero di centri trapianto inferiore a quello dei programmi attivi, perché in 11 casi la stessa equipe chirurgica effettua attività di trapianto sia di rene sia di fegato, in 17 casi di rene e pancreas, in 3 di intestino e fegato, in 6 casi di cuore e di polmone. Il numero complessivo delle equipe autorizzate ed attive è di 81 su tutto il territorio nazionale; altrettanto importante appare la concentrazione di più equipe all’interno della stessa azienda sanitaria che si verifica in 36 casi, riducendo a 44 su tutto il territorio nazionale il numero degli ospedali in cui si svolge attività di trapianto.
 
Se il numero complessivo di autorizzazioni (120) e di programmi attivi (111) può apparire elevato, la concentrazione delle attività in un più ridotto numero di equipe (81) rappresenta un elemento di forza in termini di expertise e di limitazione del rischio.
In termini di controllo dei costi e di concentrazione organizzativa appare tuttavia ancora più significativo il ridotto numero di ospedali (44) nei quali l’attività  di trapianto viene effettuata, perché è evidente che i trasporti, i servizi diagnostici (radiologie e laboratori), i servizi generali  e l’organizzazione dell’ospedale possono consentire il controllo del consumo di risorse senza penalizzare la qualità nei servizi erogati. In questo senso è certamente positiva la concentrazione dei programmi attivi in un numero molto più ridotto di ospedali.  La definizione di centro trapianti come struttura identificata solo in base all’autorizzazione appare fortemente limitativa per una reale analisi della situazione.
 
Sempre in termini di costi va anche considerato che la totalità dei centri affianca al trapianto altre attività di chirurgia specialistica ad alta complessità, determinando un ridistribuzione dei costi per intervento chirurgico, non solo rispetto ai numero dei trapianti, ma sul complesso degli interventi che comprende anche interventi non trapiantologici. Rapportare i costi solo all’attività di trapianto senza tenere conto di questo fattore di correzione induce una sostanziale sovrastima.
Un altro punto critico riguarda il numero dei trapianti effettuati per centro. Su questo la norma quadro (legge 91 del 99) è chiara: dovrebbero essere chiusi su iniziativa delle regioni i programmi che per 2 anni consecutivi non raggiungono la metà dei livelli minimi indicati dal Centro nazionale trapianti e validati dal Consiglio Superiore di Sanità.
In base ai dati 2011, ad eccezione dei programmi esclusivamente pediatrici che hanno specifici criteri di valutazione, solo 10 su 111 non hanno raggiunto la metà dei livelli di attività minimi. Se questi risultati si dovessero ripetere nel 2012 le Regioni saranno invitate dal Centro Nazionale a chiudere il programma. Per assicurare la cogenza della norma è in via di approvazione un accordo di Stato-Regioni sulla sostenibilità della rete che, assieme ad altre misure di razionalizzazione relative all’organizzazione trapiantologica, potrà rendere esecutive queste scelte necessarie.
 
Va anche considerato che dal 2002 al 2012 sono state concesse solo 10 nuove autorizzazioni attualmente attive e che tra queste 3 riguardavano un nuova tipologia di trapianto e 5 attività precedentemente assenti nella Regione di appartenenza; l’obiettivo di limitare il numero dei centri è stato raggiunto, anzi, nel caso del cuore e del polmone è evidente che i livelli minimi erano stati fissati senza considerare l’invecchiamento rilevante della popolazione dei donatori, che ha necessariamente ridotto il numero dei cuori e dei polmoni idonei e prelevabili, riducendo il numero di trapianti per centro e, conseguentemente, allontanando i livelli minimi.
 
Un’altra significativa considerazione riguarda lo studio del flussi dei pazienti iscritti in lista di attesa, ottenuto grazie alla qualità del sistema informativo ed alla tracciabilità quotidiana delle liste. 
Se consideriamo l’uscita di lista per trapianto come l’evento determinante per il destino del paziente in attesa, nel 2011 possiamo rilevare che l’80 % dei pazienti in attesa di fegato ha ottenuto un trapianto; lo stesso dicasi per il 73% dei pazienti in attesa di rene, il 68% dei pz in attesa di cuore ed il 67% dei pazienti in attesa di polmone. I tempi medi di attesa in lista sono di 2,1 anni per il fegato e per il polmone, 2,5 anni per il cuore e 2,8 anni per il rene.
Si tratta di dati positivi che hanno consentito  di mantenere in equilibrio e/o diminuire come è avvenuto per il fegato il numero dei pazienti in lista e di garantire la complessiva solidità del sistema.
 
Peraltro la qualità dei centri viene monitorizzata dal 2002 attraverso audit programmati associati alla pubblicazione in chiaro dei risultati ottenuti dai singoli centri, con valutazioni della sopravvivenza in termini sia generali, sia in funzione della complessità della casistica. Tutti i dati sono pubblicati sul sito del ministero della Salute, facendo attenzione anche alla qualità ed alla numerosità dei dati inseriti da ciascun centro. I dati vengono anche confrontati con quelli del principale registro europeo (CTS di Heidelberg) che, nella stragrande maggioranza dei casi,  appaiono meno postivi di quelli italiani. L’Italia è tra l’altro l’unico paese europeo che pubblica gli esiti ottenuti da tutti i centri trapianto.
Da tutto questo esce una valutazione complessiva positiva della rete trapiantologica sia in termini di risultati sia in termini di trasparenza. Con certezza possiamo affermare che la rete italiana è la più controllata a livello europeo.
 
Un’analisi obiettiva non può tuttavia prescindere da una descrizione delle criticità: tra esse citiamo la ridondanza di alcuni programmi nella stessa città o in citta vicine, la mancata costruzione di reti fra centri trapianto per utilizzare servizi comuni, la mancata chiusura dei centri che, come previsto dalla norma, non abbiano raggiunto per due anni consecutivi la metà degli standard previsti e rimangano tuttora attivi con bassi numeri, la relativamente scarsa attenzione delle regioni al tema numerosità.
Aspetti certamente critici, da affrontare con le Regioni, ma che non possono oscurare la situazione di eccellenza della trapiantologia italiana, come la Commissione europea e gli stessi Stati membri dell’Unione europea hanno più volte riconosciuto.
 
Alessandro Nanni Costa
Direttore del Centro nazionale trapianti

 

03 luglio 2012
© Riproduzione riservata

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